Il Parlamento europeo ha approvato la direttiva: cosa prevede e quali sono i punti di discussione?
Lo scorso 12 settembre è stata approvata la direttiva europea in materia di diritto d’autore relativamente alla sua applicazione online. La direttiva, si propone, infatti, di ridisegnare la mappa dell’utilizzo dei contenuti online, incoraggiata, senza dubbio, dal contesto normativo fermo ormai al 2001 quando internet non aveva ancora un ruolo centrale nel mercato degli Stati membri.
Proprio per questo una disciplina in materia si è resa necessaria e l’Europa ha risposto a questa esigenza di storicizzazione. Non mancano però consistenti dubbi in merito alla sua reale applicazione. Difatti, se da un lato l’Europa ha risposto a un’esigenza di modernità normativa, dall’altro, con la presente direttiva, si rischia di limitare il ruolo di internet.
Ma andiamo per gradi.
L’art. 1 della direttiva in parola espressamente prevede che: “La presente direttiva stabilisce norme volte ad armonizzare ulteriormente il quadro giuridico dell’Unione applicabile al diritto d’autore e ai diritti connessi nell’ambito del mercato interno, tenendo conto in particolare degli utilizzi digitali e transfrontalieri dei contenuti protetti. Stabilisce inoltre norme riguardanti le eccezioni e le limitazioni e l’agevolazione della concessione delle licenze, nonché norme miranti a garantire il buon funzionamento del mercato per lo sfruttamento delle opere e altro materiale”. Pertanto, l’intervento del Parlamento europeo mira a disciplinare gli utilizzi online dei contenuti protetti dal diritto d’autore, prevedendo licenze e concessioni per l’utilizzo a fronte del pagamento di una fee. Certamente assistiamo a uno sfruttamento incondizionato dei contenuti protetti su internet che, se da un lato pregiudica gli interessi dei soggetti che si ritengono lesi, dall’altro favoriscono una libera informazione. Quello che ci si chiede, infatti, è se siano stati correttamente bilanciati i due interessi.
A destare una particolare preoccupazione sono gli articoli 11 e 13 della direttiva.
Articolo 11 della direttiva.
Il primo va a disciplinare la protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale ed indubbiamente va ad incarnare le istanze degli editori che si ritengono lesi dai motori di ricerca che fungono da aggregatori di notizie (un esempio è indubbiamente costituito da google news). Pertanto, l’articolo 11, in particolare, viene considerato – dai più – come il manifesto della vittoria della lotta, intercorsa negli anni, tra i grandi gruppi editoriali e google. Viene infatti previsto: 1. il riconoscimento a favore degli editori di una remunerazione equa e proporzionata per l’utilizzo digitale dei loro contenuti da parte dei prestatori di servizi delle società di informazione; 2. il riconoscimento a favore degli autori di una quota adeguata dei proventi supplementari percepiti dagli editori per l’utilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione.
Preoccupa innanzitutto che non siano stati precisati i criteri per stabilire la detta remunerazione a favore degli editori e degli autori. Pertanto, la norma si presta a un’interpretazione ampia che, in fase di recepimento, può limitare eccessivamente la libera circolazione dei contenuti in internet ovvero lasciare tutto il sistema internet assolutamente invariato, non risolvendo così il quesito della storicizzazione. La limitazione principale può avvenire nel momento in cui, a fronte della previsione della remunerazione, i motori di ricerca ritengano troppo dispendiosa tale attività e, di conseguenza, non facciano più da aggregatori di notizie, limitando la libera informazione in danno agli utenti e molto probabilmente in danno agli stessi editori. Pertanto, l’articolo 11 porta con sé un rischio concreto di una limitazione eccessiva per quanto concerne la circolazione dei contenuti online. E tale rischio non si presenta a monte, come da molti sostenuto: difatti, lo stesso articolo 11 precisa che tale limitazione non si applica nei confronti di utilizzi privati ovvero non commerciali. Ciò vuol dire che ciascun utente potrà sempre liberamente condividere notizie ed articoli – del resto anche il collegamento ipertestuale (c.d. snippet) è sempre consentito. Ma il problema rimane a valle. Vero è che gli utenti potranno condividere liberamente i contenuti giornalistici, ma se i contenuti giornalistici non vengono diffusi dai motori di ricerca, è chiaro che l’intero sistema d’informazione viene necessariamente compresso. Pertanto, il rischio vero è che il reale perdente della surriferita lotta tra i grandi gruppi editoriali e google sia proprio il “diritto acquisito” (finalmente) con internet a una libera informazione.
Articolo 13 della direttiva.
Altro articolo della direttiva che desta particolare preoccupazione è l’art. 13 che disciplina l’utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online. Prevede infatti che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti vadano a concludere accordi di licenza equi ed adeguati con i titolari dei diritti (case discografiche, cinematografiche ecc.). Ciò vuol dire che le piattaforme online possano ovvero debbano esercitare un controllo sui contenuti caricati dagli utenti, escludendo, pertanto, quelli di cui gli utenti non detengono i diritti. Questa norma desta particolare preoccupazione perché impone che i prestatori di servizi di condivisione (molto probabilmente la norma vuole riferirsi ai fornitori di servizi di hosting) svolgano un ruolo di controllo preventivo e generalizzato. Si discute, infatti, se si debba fare ricorso a sistemi tecnologici come quelli di cui dispone youtube (Content ID) in grado di bloccare direttamente i contenuti che ledono i diritti d’autore, senza un reale riscontro dei presupposti di legittimità.
Dai numerosi dubbi che scaturiscono dalla lettura della norma, si comprende, anche in questo caso, il timore di non giungere a una esatta ovvero idonea interpretazione della stessa.
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Non deve sfuggire, però, che la direttiva deve essere recepita all’interno di ciascun Stato membro e il processo di recepimento sarà esso solo in grado di superare i dubbi sollevati, di sollevare le reali criticità ovvero di redimere le questioni sorte in questa fase. Certamente, seppure in via ipotetica, non è mai troppo presto per riflettere sulle sue possibili applicazioni e sui rischi ad essa connessi soprattutto quando in ballo ci sono interessi come quelli relativi alla libera informazione e libera circolazione della cultura.
Paola Carmela D’Amato, nata ad Avellino il 5 luglio 1984, avvocato civilista, si è laureata in giurisprudenza presso l’Università di Napoli Federico II di Napoli.
Dopo una proficua collaborazione con lo Studio legale Sparano ha iniziato l’attività professionale in proprio fondando lo Studio legale D’Amato e dedicandosi, prevalentemente, al diritto della proprietà industriale ed intellettuale.
E’ iscritta nell’elenco degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato.
Assiste diverse aziende campane nella tutela dei marchi.
Assiste aziende di produzione cinematografica nella stipula di contratti e nella gestione legale dei prodotti cinematografici.