Adozione mite

Abbandono del minore: continuità affettiva e adozione mite

 

L’abbandono

Non esiste una “classificazione” di comportamenti che ex se conducono alla pronuncia di abbandono, piuttosto soccorre la valutazione globale del benessere del minore all’attualita’ e come proiezione futura .

Azioni commissive quindi ma anche omissioni, il mancare cioe’ di un progetto educativo e formativo che protegga il minore nel suo intero percorso di crescita e inserimento, l’esporre con il proprio comportamento il minore ad un grave pericolo di compromissione per la salute e le possibilita’ del suo armonico sviluppo fisico e psichico (Cassazione n.21100/28-10-05). L’indicazione normativa e’ per concorde dottrina elastica nel senso che deve necessariamente tener conto delle condizioni sociali ed ambientali del contesto di appartenenza, parametrate pero’ ai livelli “esterni” e storici.

Si afferma quindi il diritto ad un livello minimo di prestazioni genitoriali al di sotto del quale non vi sarebbe una mera inadeguatezza al ruolo parentale ma un autentico abbandono. Nella disamina dei doveri genitoriali si deve quindi tener conto dell’appartenenza generalizzata alla cultura ..non rilevando come giustificazione ad una collocazione al di sotto della soglia minima le problematiche o le insufficienze di base. Il minore nella sua famiglia ben collocato nella societa’ secondo il principio fondamentale dell’inclusione  sociale. Pronunce e atteggiamenti di tolleranza sociale nell’ambito del rispetto dell’alterita’ possono riguardare solo le minoranze etniche e culturali presenti sul territorio.

Un nucleo disagiato ha opportunita’ diverse di superare il proprio disagio a seconda degli strumenti che lo stato sociale nell’accezione solidaristica e di cooperazione mette a disposizione.

Cosi’ come e’ fluttuante e liquida quindi  la definizione dell’abbandono del minore altrettanto lo e’ quella di disagio della famiglia e della possibilita’/impossibilita’ a superarlo.

Resta sullo sfondo la valutazione dell’interesse del minore che prescinde dall’accertamento di una presunta colpa della famiglia configurandosi l’allontanamento ed il collocamento etero familiare come strumento di tutela e non gia’ punizione verso i genitori giustificato dalla mancanza di cure  materiali di aiuto psicologico e morale indispensabile per la formazione e lo sviluppo della personalita’ anche a prescindere quindi da una precisa volonta’ abbandonica.

L’inconsapevole condotta genitoriale e’ particolarmente significativa e spiega come la sig.ra (x), ad es.,  come altre protagoniste di una frangia estrema del tessuto sociale, ha , con le diverse gravidanze, piu’ volte ripercorso la possibilita’ di costituire una famiglia l’unica che e’ nel proprio schema genetico e che sicuramente non corrisponde alla famiglia degli affetti ampiamente intesa.

L’idoneita’ genitoriale si misura sostanzialmente nella capacita’anche e soprattutto di mantenere, educare e istruire i figli in maniera adeguata ad una sana crescita.

Sicuramente il giudice minorile deve tener conto del vissuto della famiglia di origine e sullo stesso lavorare di concerto con i servizi sociali ma lo scopo finale e’ quello di far vivere il minore in un ambiente idoneo come misura protettiva. Il sostegno alle famiglie, i provvedimenti in materia di responsabilita’ genitoriale e gli altri rimedi apprestati dall’ordinamento per l’ipotesi di inadempimento dei doveri genitoriali sono tutte le misure che devono essere tentate ma solo quando, come sottolinea Manera, con “sano realismo” il recupero della famiglia biologica appare probabile senza permettere che questo tempo comporti un ulteriore sofferenza per il minore e la perdita di possibilita’ di inserimento in nuclei diversi anche se adottivi.

Il percorso giurisprudenziale in questi anni ha inteso proteggere come posizioni di partenza parallele e non necessariamente convergenti l’interesse del minore ed il diritto dello stesso a vivere nella propria famiglia di origine.

Non a caso nella nuova formulazione della L.149/01 si parla di diritto del minore ad una famiglia.

Gli interventi di sostegno, cosi’ come le prescrizioni di percorsi personalizzati tendenti a costruire una genitorialita’ responsabile hanno comunque come scopo l’interesse di vedere collocato il minore in maniera adeguata alla propria crescita, il doppio binario dell’affidamento etero familiare e del lavoro sulle famiglie di origine tende ad evitare il verificarsi di ulteriori pregiudizi

Lo svantaggio di base di un nucleo familiare all’attenzione del giudice minorile per ipotesi di abbandono non puo’ pregiudicare un risultato.

La Cassazione ha ribadito piu’ volte la necessita’ che la vita offerta dalla famiglia di origine non sia inferiore alla soglia del minimo indispensabile per non compromettere in maniera grave e permanente la crescita del minore (29/4/98 n.4363); cosi’ come ha letto una presunzione di abbandono nella totale inidoneita’ educativa del genitore (24/10/95 n.11054)

Le famiglie che non recuperano un obiettivo minimo da considerarsi integrati costituiscono quella zona grigia in cui con coraggio alcuni tribunali hanno sperimentato l’adozione mite.

Il semiabbandono permanente quale presupposto di fatto e di diritto viene individuato in tutti quei casi in cui attraverso la valutazione negativa del percorso di sostegno anche a mezzo CTU si evidenzia una incapacita’ senza ragionevole previsione di recupero e/o di superamento di rispondere ai bisogni educativi del figlio pur avendo con lo stesso un rapporto affettivo significativo e che non e’ opportuno cancellare.

Si parla di famiglie inidonee in modo continuativo anche se parziale. Quel che rileva in questa valutazione al di la’ dei fatti specifici che hanno movimentato l’azione e’ la capacita’ di superamento.

L’adozione mite si perfeziona come una forma di adozione i casi particolari ex art. 44 l: 184/1983 in capo agli stessi affidatari cui il minore e’ legato da un rapporto affettivo solido al punto che un allontanamento determinerebbe per lui un serio pregiudizio.

Cio’ accade quando il genitore biologico non ha recuperato, pur desiderandolo, un minimo di attendibilita’.

E’ emblematico infatti di queste situazioni il consenso espresso da minori anche infradodicenni e che si trovano al centro tra queste due mamme e i mondi che rappresentano: il benessere di cui l’una e’ portatrice e la problematicita’ dell’altra. Il minore non esita perche’ nell’accudimento, nelle “cose” riconosce l’affetto.

Si salva, mantenendo intatto il legame affettivo e la possibilita’ di incontro.

Il periodo di affidamento che nell’ipotesi del legislatore era un lavoriamo insieme in realta’ e’ un tempo, uno spazio che viene offerto anche a piene mani per un arduo tentativo di reinserimento. Soprattutto perche’ qualsiasi siano le previsioni anche sulla base di dati esperenziali  sulle capacita’ genitoriali non si puo’ pronunciare l’adottabilita’  se non viene attuato un piano di sussidarieta’ e cooperazione. In questa senso Cass.ne con sentenza n. 11019 del 12.5.06    ha precisato che la situazione di abbandono deve essere accertata in concreto sulla base di riscontri obiettivi non potendo la verifica dello stato di abbandono del minore essere rimessa ad una valutazione astratta compiuta ex ante alla stregua di un giudizio prognostico fondato su indizi privi di valenza assoluta.

Ma la ritrovata disponibilita’ di assistere e curare il minore da parte della famiglia di origine non serve ad interrompere significativamente la condotta abbandonica se non e’ l’espressione costante e monitorata di un profondo ravvedimento – Cass.ne 7/11/83 n.6563

L’adozione mite risponde quindi all’esigenza di assicurare un contesto di cura a minori i cui genitori non possono essere dichiarati decaduti stante il forte legame affettivo.

Il minore pero’ mantiene i rapporti con la famiglia di origine cosi’ come mantiene i doveri ex art. 300c.c.

La normativa sull’affido condiviso e l’introduzione del 709 ter hanno in qualche modo scardinato questa “zona grigia” evidenziando una inadeguatezza nelle scarse visite del genitore non affidatario, nell’insufficiente apporto economico, nel disinteresse verso le aspirazioni e le individualita’.

Le ipotesi di sanzione e/o ammonimento delineano infatti le mancanze significative per l’ordinamento riconducibili, nel loro reiterarsi, nella mancata attuazione di un progetto riparativo, ai provvedimenti limitativi e/o ablativi.

La legge sulla continuità affettiva ha sancito ancor più la tutela del legame affettivo che nasce proprio dalla capacita’ di accogliere un minore in difficoltà e di offrirgli, all’interno di un contesto familiare ed empatico, un contesto che funziona, possibilità di crescita sana ed equilibrata.

Allora ci si chiede se possa avere ancora un senso il vincolo di sangue, l’appartenenza, l’affettivita’, un legame scevro dalla cura o se viceversa la sua mancanza non e’ un codice un elemento di un rito di passaggio ad una condizione diversamente inaccessibile quale quella dell’adozione.

Nata a Napoli il 24/08/55 si e’ laureata in giurisprudenza nel 1982, presso l’Universita’ di Napoli,  discutendo una tesi finale sperimentale sull’imputabilita’ dei tossicodipendenti alla luce della L. basaglia.
Segue il corso biennale del CRF di animatore di comunita’ psichiatrica discutendo la tesi finale Il nuovo concetto di salute mentale.
Segue master Psicologia della comunicazione
Segue il corso seminariale biennale Mediazione familiare, conflittualita’ di coppia e responsabilita’ genitoriale presso l’Universita’ degli Studi di Napoli, discutendo la tesi finale La mediazione familiare, storia e modalita’ di approccio (2003)
Segue il master in diritto di famiglia presso il CEIDA in Roma e discute la tesi finale La genitorialita’ giuridica e le liberta’ fondamentali(2005).

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Processo civile minorile

Le garanzie costituzionali e i doveri genitoriali

 

La tutela del minore all’interno delle nuove norme e del sistema garantista predisposto dal legislatore risente fondamentalmente della trasformazione del concetto di famiglia.

Nella famiglia del terzo millennio  trovano accesso le libertà fondamentali della persona, imprescindibili, anzi arricchite da quelle del ruolo esercitato all’interno del gruppo. Si assiste ad un’osmosi continua tra “dentro” e “fuori”, una continuità mai percepita nella tutela dei diritti della persona tra il pubblico ed il privato.

La tutela della persona non si affievolisce nella famiglia, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano una diversa protezione a seconda che i titolari si pongano o meno all’interno di un contesto familiare. Vengono sottolineati attraverso interessanti e critici passaggi giurisprudenziali i nuovi contenuti dei doveri coniugali e genitoriali, che vedono protagonisti la solidarietà, il sostegno attivo, il rispetto delle singole individualità, l’attenzione alle esigenze personali, senza schemi precostituiti, finalizzati a garantire il perfetto inserimento nel contesto sociale e la partecipazione. Sembra che la grande rivoluzione sia immaginare un privato che aiuti a collocare fuori la persona. La famiglia diventa quindi sintesi del processo di conoscenza, come esperienza affettiva e di cura.. In un’ottica idealtipica weberiana l’amore di cui parla il legislatore non e’ il fine ma lo strumento che consente una sana espansione della persona. Non può trovare ingresso nella prassi giuridica un’affermazione di genitorialità priva dei contenuti descritti, si evolve, quindi, il concetto di educazione andando a fondare proprio l’idoneità genitoriale. L’elemento fondante la responsabilità genitoriale è l’educazione.

Essa si configura come un munus affermato all’art.30C per i genitori, riconosciuto all’interno dell’autonomia che l’art.2 C. attribuisce alla famiglia, contemperato dai  limiti posti dagli artt. 2,8,19, 21 C.

Le libertà di culto, di pensiero, di stampa, libertà di associazione politica, rispetto alle formazioni sociali, sono considerate alla stregua di diritti indeclinabili del minore naturalmente capace, un nucleo base, dunque, che deve essere assunto a modello dell’azione pedagogica dei genitori integrando la serie di diritti e doveri loro assegnati dal primo comma dell’art.30C

Questo dovere si è sostanziato negli anni di nuovi contenuti rispetto a cosa e rispetto al come.

L’ambito genitoriale si delinea attraverso un gioco di cerchi concentrici in cui vengono definiti i limiti massimi e minimi usando come parametri il welfare del minore, il pregiudizio e la violazione dell’ordine pubblico.

Il pregiudizio non è predeterminato così come il welfare, ma, soccorrono a identificarlo vari indicatori psicosociali che permettono di contestualizzare le diverse modalità socio-ambientali, culturali ed economiche, in cui si vanno a misurare i bisogni e la mancanza di tutela degli stessi.

Più precisamente le norme che menzionano le esigenze, i bisogni, rinviando alla famiglia considerata nella sua totalità, si riferiscono però agli interessi della singola famiglia quali emergono dalla concreta esperienza di vita, di quella famiglia della quale eventualmente il giudice debba occuparsi per valutare diritti e doveri dei coniugi e dei figli e per apprezzarne la condotta in termini di adeguatezza o di difformità dagli standards esigibili.

E’ fondamentale quindi il concetto innovativo di famiglia e i nuovi doveri che definisce, quale ad es. descritto nella sentenza 18/4- 10/5/2005 n.9801 Costituisce infatti acquisizione da tempo condivisa che nel sistema delineato dal legislatore del 1975 il modello di famiglia-istituzione al quale il c.c. del 1942 era rimasto ancorato, e’ stato superato da quello di famiglia comunità i cui interessi non si pongono su un piano sovraordinato ma si identificano con quelli solidali dei suoi componenti. La famiglia si configura come luogo d’incontro e di vita comune dei suoi membri come sede di autorealizzazione e di crescita segnata dal reciproco rispetto ed immune da ogni distinzione di ruoli nell’ambito della quale i singoli componenti ricevono tutela come persone in adesione al disposto di cui all’art.2 C.  La storia della giustizia minorile ha condotto di pari passo al riconoscimento del diritto all’educazione del minore, quale interesse pubblico e della collettività di appartenenza ed infine al diritto del minore all’educazione quale posizione soggettiva meritevole di tutela a prescindere dai vantaggi del contesto sociale circostante con conseguente evoluzione della finalità delle procedure minorile dirette, in un primo tempo, a disporre un intervento sostitutivo o suppletivo dell’azione educativa dei genitori e soltanto in un secondo tempo alla pronuncia di una decisione sulla condizione giuridica del minore. Tale premessa  (il diritto del minore a crescere in una famiglia adeguata al compito di formazione) e’ indispensabile per comprendere come il processo minorile vada ad incidere sul conflitto tra il diritto-dovere dei genitori ad assolvere il compito di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, potendo la decisione giungere ad una definitiva declaratoria dello stato di abbandono e della estromissione del figlio dal nucleo di appartenenza. La gravità delle situazioni affrontate ha reso opportuna la previsione di strumenti processuali duttili, ispirati a criteri di urgenza, immediatezza delle decisioni ed officiosità dell’istruttoria. L’affermarsi quindi di una progressiva tendenza a giurisdizionalizzare i rapporti afferenti alla funzione di protezione del minore ha origine in una istanza di garanzia che soltanto attraverso l’attribuzione al giudice della detta funzione si e’ ritenuto di poter assicurare, potendo il giudice non soltanto esercitare un’assistenza e salvaguardia dell’infanzia abbandonata ma soprattutto interferire sulla volontà genitoriale attraverso un controllo dei poteri-doveri loro spettanti in funzione dell’interesse del figlio. Da ciò nasce l’esigenza di garantire la partecipazione e la difesa di tutti i soggetti interessati. La L. 149/01 che ha modificato la 184/83 recependo i principi espressi nella Convenzione adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata in Italia con la L. 20/3/2003 n. 77 (ascolto del minore) ha delineato una modifica del processo civile minorile con la previsione di una partecipazione di tutte le parti chiamate tra cui anche il minore rivestito di un’autonoma veste processuale e pur attribuendo al Pubblico Ministero il potere di iniziativa, ha lasciato comunque al giudice la possibilità di intervenire in via di urgenza anche in assenza dei difensori salva la necessita’ di ratifica successiva e con le garanzie della difesa. La legge ha fissato alcuni principi: 1) l’avvocato del minore in ogni provvedimento relativo  a questioni di potestà e non solo in caso di conflitto di interessi, e questo  e’ l’ovvia conseguenza della natura dei procedimenti aventi ad oggetto condotte pregiudizievoli dei genitori nei confronti dei figli minori; 2) il principio della obbligatorietà della difesa tecnica del minore; 3) la nomina di un avvocato a prescindere dalla capacita’ di discernimento del minore. Con la medesima riforma e’ stato affermato il diritto del minore all’affidamento etero-familiare nelle situazioni di difficoltà del nucleo di origine con conseguente trasferimento in tutto o in parte, da un lato delle espressioni della responsabilità genitoriale quali il  mantenimento,  l’educazione e l’ istruzione in capo agli affidatari nelle ipotesi di limitazione o ablazione della stessa incidendo in tal modo sulla titolarità spettante ai genitori, dall’altro lato consentendo al minore di esprimere il proprio parere o consenso per la prosecuzione o sospensione dell’affidamento stesso ed attribuendogli, dunque, un valore di partecipazione essenziale al processo stesso.

Quindi in linea generale si afferma il diritto del minore a vivere nella propria famiglia, ma, al contempo, si richiede al nucleo originario un’adeguatezza tale da garantire l’inserimento e la crescita del minore quale cittadino in formazione. Si attribuisce e si riconosce la valenza della famiglia come primaria agenzia formativa.

D’altra parte la capacità affettiva, con la quale si indica generalmente la capacità genitoriale anche nella individuazione delle coppie pronte all’adozione, si sostanzia proprio dei tre indicatori di cui alla Costituzione, mantenere, educare, istruire; indicatori ormai inscindibili nella valutazione del giudice minorile e che possono essere surrogati e/o integrati da risorse dello stato sociale solo per breve tempo, considerando , per cassazione costante, una inadeguatezza senza possibilità come dire di rinascita anche il mancato reperimento di strumenti idonei al superamento dei propri problemi.

Nata a Napoli il 24/08/55 si e’ laureata in giurisprudenza nel 1982, presso l’Universita’ di Napoli,  discutendo una tesi finale sperimentale sull’imputabilita’ dei tossicodipendenti alla luce della L. basaglia.
Segue il corso biennale del CRF di animatore di comunita’ psichiatrica discutendo la tesi finale Il nuovo concetto di salute mentale.
Segue master Psicologia della comunicazione
Segue il corso seminariale biennale Mediazione familiare, conflittualita’ di coppia e responsabilita’ genitoriale presso l’Universita’ degli Studi di Napoli, discutendo la tesi finale La mediazione familiare, storia e modalita’ di approccio (2003)
Segue il master in diritto di famiglia presso il CEIDA in Roma e discute la tesi finale La genitorialita’ giuridica e le liberta’ fondamentali(2005)
Esercita la professione di avvocato civilista con studio in Napoli: ambiti prevalenti diritto di famiglia e minori, responsabilita’ civile, amministrazione di sostegno.

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