Possibilità di una sdemanializzazione tacita dei beni appartenenti al demanio marittimo alla luce dell’art. 35 cod. della navigazione e dei recenti arresti giurisprudenziali
La problematica circa la possibilità di una sdemanializzazione tacita dei beni appartenenti al demanio marittimo si pone, in concreto e sempre più di frequente, tutte le volte in cui il bene demaniale marittimo perda, di fatto, la propria attitudine a servire agli usi pubblici del mare e, dunque, quel requisito c.d. oggettivo tale da imprimergli una concreta destinazione ai pubblici usi (cfr. ex plurimis Tar Calabria, Catanzaro, 7 marzo 2003, n. 544; Tar Marche, 9 giungo 2000, n. 898).
Giova premettere che l’analisi delle disposizioni normative di settore (quella civilistica a contenuto generale, da un lato, e quella del codice della navigazione a carattere speciale, dall’altro) hanno alimentato la querelle tra la dottrina e la giurisprudenza in merito alla possibilità di una c.d. sclassificazione tacita di tali beni.
Al riguardo, va premesso che la giurisprudenza ha individuato, quali criteri di identificazione dell’appartenenza di un bene al demanio marittimo, oltre alle caratteristiche fisiche e morfologiche, la sua prossimità al mare, l’idoneità attuale del bene a servire ai pubblici usi del mare; agli usi attinenti alla navigazione ed alla balneazione (Cfr. Cons. Stato, sez. II, 27 gennaio 1993, n. 765), la mancanza di un provvedimento esplicito di sdemanializzazione da parte della pubblica amministrazione o, in egual misura, di comportamenti manifestamente incompatibili con la volontà di mantenere il carattere demaniale del bene medesimo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 marzo 1998, n. 287; Cons. Stato,sez. V, 10 febbraio 1998, n. 148).
Il problema, tuttavia, si pone nel caso in cui il bene perda tali requisiti costitutivi e, partitamente, quello della“vicinitas” al mare e l’idoneità funzionale a servire gli usi pubblici.
In termini generali, la giurisprudenza ha chiarito che “la cessazione della demanialità non è altro che l’effetto della perdita dell’attitudine del bene agli usi di pubblico interesse generale che ne avevano determinato l’insorgere, in conseguenza del venir meno in modo definitivo ed irreversibile dei caratteri fisici che assicuravano tale destinazione, sia a causa di eventi naturali sia per volontà della Pubblica amministrazione (volontà che non va intesa come intento diretto a far cessare la destinazione pubblica del bene, bensì come volontà risvolta ad soddisfacimento dei bisogni pubblici” (cfr. T.S.A.P., 11 luglio 1996, n. 67).
Alla luce di tale orientamento giurisprudenziale, parrebbe evidente che la situazione di fatto riguardante un bene sarebbe concludente al fine di accertare la perdita definitiva delle caratteristiche che ne rendevano riconoscibili l’appartenenza al demanio marittimo statale senza la necessità di un provvedimento di natura costitutiva da parte dell’amministrazione titolare dei diritti dominicali.
Ciò posto, ed alla luce dei principi enucleati dalla giurisprudenza, occorre chiarire se la perdita della c.d. destinazione funzionale del bene agli usi pubblici giustifichi una “sdemanializzazione tacita”, o se, per converso, occorra – per il raggiungimento del fine – un formale provvedimento amministrativo che valga a sottrarre, sotto il profilo formale e sostanziale, il bene dalla categoria del demanio.
Giova, pertanto, muovere dai dati normativi di riferimento.
L’art. 829 cod. civ., al comma 1, prevede che “Il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato deve essere dichiarato dall’autorità amministrativa. Dell’atto deve essere dato annunzio nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica”.
L’art. 35 del codice della navigazione stabilisce che “le zone demaniali che dal capo di compartimento non siano ritenute utilizzabili per i pubblici usi del mare sono escluse dal demanio marittimo con decreto del ministro per la marina mercantile di concerto con quello per le finanze”.
La formulazione delle norme ha indotto ad interrogarsi sulla natura dell’atto da essi previsto, ovvero se si tratti di atto di natura dichiarativa ovvero di natura costitutiva. Ed ancora, se lo stesso rappresenti manifestazione di un potere tecnico – discrezionale o abbia, per converso, carattere vincolato e dunque meramente ricognitivo del mutamento dello stato di fatto tale da rendere inidoneo il bene ai pubblici usi del mare.
Ma l’analisi va effettuata disgiuntamente in quanto, soprattutto la giurisprudenza compie su questo argomento un distinguo tra la così detta sdemanializzazione relativa ai beni demaniali prevista dall’art. 829 c.c., e la particolare procedura dettata invece per il demanio marittimo dall’art. 35 cod. nav.
L’opinione dominante tende a ritenere che il provvedimento previsto dall’art. 829 c.c. abbia natura dichiarativa (Cass. 20 dicembre 1947, n.1718; Cass. 5 maggio 1951 n.1065; Cass. 18 marzo 1981 n.1603. Contra Cons. Stato, I, 14 ottobre 1952 n.1794), in quanto l’atto in esso previsto“non serve a costituire, modificare od estinguere rapporti, ma solo ad accertare e riconoscere tali avvenimenti” (cfr. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, vol. IV, Milano, 1958, p. 47).
In tali ipotesi, la perdita del requisito della demanialità non dipende da una manifestazione esplicita della amministrazione o da una sua valutazione discrezionale, ma dal dato obiettivo della perdita dei requisiti richiesti, avendo l’atto la sola funzione di garantire la certezza delle situazioni giuridiche (Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, p. 809).
Da ciò discende l’ammissibilità della c.d. sdemanializzazione tacita per i beni appartenenti al demanio statale.
Sul punto valga il richiamo ai più recenti arresti giurisprudenziali secondo cui “in linea generale, la sdemanializzazione di un bene, con la conseguente configurabilità di un possesso del privato ad usucapionem, può verificarsi anche tacitamente, in carenza di un formale atto di declassificazione, purché si sia in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino. Il provvedimento sul passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio, a norma dell’art. 829 cod. civ., ha infatti carattere semplicemente dichiarativo, considerando che la dichiarazione della cessazione di demanialità, quando già sussistono le condizioni di fatto di incompatibilità con la volontà di conservare la destinazione ad uso pubblico, si limita in sostanza a dare atto del passaggio dei beni stessi da uno ad un altro regime”(cfr. ex plurimis Cass. Civ., sez. II, 11 maggio 2009, n. 10817; Cass.Civ., Sez. II, 19 febbraio 2007, n. 3742).
Mentre, dunque, vi è ormai unanimità nell’ammettere la natura dichiarativa dell’atto previsto dall’art. 829 c.c. da cui consegue la possibilità di una sdemanializzazione tacita, la dottrina e la giurisprudenza si dividono in relazione all’atto previsto dall’art. 35 del codice della navigazione in relazione ai beni appartenenti al demanio marittimo.
La Suprema Corte tende ad affermare la natura costitutiva di tale provvedimento, per cui sia con riferimento all’art. 157 del codice della marina mercantile del 1877 sia in relazione all’attuale normativa, “la sdemalializzazione si verifica soltanto in seguito ad un formale provvedimento di carattere costitutivo proveniente dall’autorità amministrativa” (cfr. Cass. Civ., sez. II, 18/10/2016, n. 21018; Cass., sez. II, 2 marzo 2000, n. 2323; Cass., sez. I, 21 aprile 1999, 3950; Cass., Sez. I, 6 maggio 1980, n. 2995, cit.. Questa posizione è propria di numerose altre decisioni: Cass. 5 agosto 1949, n.2231, in Giur. comp. Cass., 1949, p. 1022 con nota di F. Nunziata, In tema di cassazione della demanialità; Cass. 16 giugno 1969, n. 2146; Cass. 4 maggio 1981, n. 2701; Cass. 5 novembre 1981, n. 5817; Cass. 14 marzo 1985, n.1987, in Foro it. 1985, 2297; Cass. penale, 7 settembre 1983, n. 7384).
La giurisprudenza muove dal tenore letterale dell’art. 35 cod. nav. dal quale sembrerebbe emergere l’intenzione del legislatore di collegare la cessazione della demanialità non a dati oggettivi – ovvero al mutamento dello stato di fatto – ma ad un atto di natura costitutiva esplicito dell’amministrazione titolare del diritto dominicale.
A ben vedere la formula utilizzata nell’art. 829 c.c., che, come detto, conduce gli interpreti a trarre conclusioni opposte, non diverge, nella sostanza, dall’art. 35 cod. nav.: in parte qua stabilisce che “il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato deve essere dichiarato dall’autorità amministrativa”.
Dunque, un confronto letterale tra le norme non giustifica una così radicale differenza di interpretazione.
Non a caso, l’incoerenza di tale conclusione è stata segnalata dalla dottrina più autorevole la quale è ferma nel ritenere che: “nel sistema anzidetto non può essere interpretato come una eccezione l’art. 35 cod. nav.: nel disporre che le zone demaniali ritenute dall’Autorità marittima non utilizzabili per i pubblici usi del mare vengono escluse dal demanio marittimo con decreto ministeriale, l’articolo non può essere inteso nel senso di configurare un provvedimento costitutivo, bensì solo un atto ricognitivo” (A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, cit., 789. Va segnalato che attualmente la dottrina dominante sostiene la natura dichiarativa dell’atto previsto dall’art.35 cod. nav., (cfr. V. Caputi Jambranghi, cit., 11; Giannini, I beni pubblici, Roma, 1963, 103 ss.; V. Cerulli Irelli, Beni pubblici, voce del Digesto delle discipline pubblicistiche, II, Torino, 1986, p. 284. Sostiene l’opinione contraria P. Virga, Diritto amministrativo, cit., 390 che qualifica il provvedimento di sdemanializzazione relativo a beni appartenenti al demanio marittimo come atto di carattere costitutivo ma senza fornire una spiegazione)
Ed ancora “stante il criterio dell’appartenenza necessaria adottato dal legislatore, l’atto di sclassificazione non può che essere una constatazione della perdita di una qualità stabilita dalle norme sulla base di certe caratteristiche; la dichiarazione derogativa della certazione non è dunque da intendere come atto formale è solo un atto di revoca-derogazione della certazione. Nei confronti dei terzi esso non è atto necessario, potendo il giudice sempre accertare che il bene ha perduto il carattere di bene pubblico collettivo” (cfr. M.S. Giannini, I beni pubblici, Roma, 1963, 103-104)
Non sarebbe coerente, infatti, alla luce di una corretta interpretazione sistematica, concludere che il provvedimento di delimitazione del demanio emesso ex art 32 cod. nav. abbia natura dichiarativa ed al contrario quello di esclusione di zone dal demanio, quando queste abbiano perso le caratteristiche loro proprie, abbia natura costitutiva (in alcune decisioni anche la Cassazione ha aderito all’orientamento dominante in dottrina, statuendo in ordine a beni appartenenti al demanio marittimo “l’incontrovertibile carattere dichiarativo del provvedimento – esplicito o implicito – di classificazione o di sclassificazione dei beni” Cass., Sez. unite, 2 maggio 1962, n. 849, in Giur. it., 1962 p. 797; nel senso di ammetter la sdemanializzazione tacita di beni del demanio marittimo anche: Cass. sez. I, sent. 25 novembre 1976, in Rep. Foro it. 1976 voce Porti, spiagge, fari; Cass. sez.1 sent. 5 novembre 1981 n.5817 in Rassegna dell’avv. di Stato, 1982, p.196; Cass. pen., sez. 3, sent. 7 settembre 1983 n.7393).
Per quanto condivisibile la posizione che collega l’estinzione della demanialità sempre alla perdita delle caratteristiche naturali che identificano la porzione immobiliare come spiaggia, arenile ecc., non si può prescindere dall’orientamento giurisprudenziale dominante secondo cui “la sdemanializzazione delle aree del demanio marittimo…richiede necessariamente un espresso e formale provvedimento dell’autorità amministrativa di carattere costitutivo”(cfr. in terminis Tar Puglia, Lecce, sez. I, 20 luglio 2005, n.4527).
Ed ancora, “per i beni del demanio marittimo, quale la spiaggia, comprensiva dell’arenile, la disciplina in materia di sdemanializzazione è più rigorosa: per tali beni, infatti, la sdemanializzazione non può verificarsi tacitamente, ma richiede, ai sensi dell’art. 35 cod. nav., un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa, di carattere costitutivo. Il presupposto della sclassificazione è sempre nella mancata attitudine di determinate zone di spiaggia a servire agli usi pubblici del mare, ma il relativo giudizio è demandato a speciali organi che vi debbono provvedere in base ad una valutazione tecnico-discrezionale dei caratteri naturali di essi, variabili e contingenti secondo le diverse caratteristiche geofisiche e le varie esigenze locali, in relazione alla diversità degli usi”(cfr. Cass. Civ., sez. II, 11 maggio 2009, n. 10817).
Tuttavia, non può essere sottaciuto che, data la posizione oscillante tra la dottrina e la giurisprudenza – orientata, quest’ultima, a negare una c.d. sdemanializzazione tacita dei beni appartenenti al demanio marittimo – laddove sussista il dato obiettivo della perdita delle caratteristiche funzionali del bene, e cioè della concreta attitudine dello stesso ad essere destinato agli usi pubblici del mare, il giudizio dell’amministrazione statale in merito al procedimento di sdemanializzazione sarebbe svuotato di contenuti tecnico-discrezionali.
In tali ipotesi, fermo restando la necessità di esplicito provvedimento di sdemanializzazione dei beni ex art. 35 cod. nav., il provvedimento di sclassificazione avrebbe natura meramente ricognitiva di una situazione di fatto non suscettibile di diversa valutazione da parte della P.A. non essendo esclusa la sussistenza in capo al privato di richiedere, in via giudiziale, la sdemanializzazione del bene (sulla possibilità di un accertamento giudiziale della perdita della demanialità a prescindere da un atto amministrativo cfr. Cerulli Irelli, Beni pubblici, cit., pag. 284 e ss.)
Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.
Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”. Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.