T.A.R. Aosta, (Valle d’Aosta), sez. I, 23/06/2017,  n. 36

Massima

 

L’art. 80 comma 5, d.lg. n. 50 del 2016, recante il Codice dei contratti pubblici, consente alle Stazioni Appaltanti di escludere il concorrente da una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di « gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità », con la precisazione che in tali ipotesi rientrano, tra l’altro, significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata. La citata disposizione codicistica, innovando rispetto al previgente assetto normativo, prevede che l’esclusione del concorrente è condizionata al fatto che la Stazione Appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della Stazione Appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare la decisione sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione. La ratio della norma risiede, dunque, nell’esigenza di verificare l’affidabilità complessivamente considerata dell’operatore economico che andrà a contrarre con la p.a. per evitare, a tutela del buon andamento dell’azione amministrativa, che quest’ultima entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D’Aosta

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1 del 2017, proposto da:

Pellissier Helicopter S.r.l., in persona  del  legale  rappresentante

p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Emanuele Carlo  Mazzocchi,

con domicilio eletto presso il suo studio in  Aosta,  via  Torre  del

Lebbroso, 37;

contro

Comune di Courmayeur, in  persona  del  legale  rappresentante  p.t.,

rappresentato e difeso dall’avvocato  Lorenzo  Sommo,  con  domicilio

eletto presso il suo studio in Aosta, via Challand N. 30;

nei confronti di

Società  Gmh  Srl,  in  persona  del  legale  rappresentante    p.t.,

rappresentata  e  difesa  dall’avvocato  Piercarlo   Carnelli,    con

domicilio eletto presso il suo studio in Aosta, via Losanna 17;

per l’annullamento

della determinazione n. 250 a firma del Segretario Comunale  il  Sig.

Al. Ro. del Comune di Courmayeur, emesso in data 01/12/2016 (doc. 1),

pubblicata nell’albo pretorio digitale il 5/12/2016 con  il  quale  è

stato determinato quanto segue:

1.di affidare temporaneamente il servizio di eliski nel  comprensorio

  1. 1 di Courmayeur, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e

164 del nuovo codice degli appalti, alla ditta GMH srl – C.F. e  P.I.

01169760079 – alle seguenti condizioni:

–  periodo  dal  20/12/2016  e  nelle  more  dell’espletamento  delle

procedure di gara;

– canone: 467 minuti di volo, pari ad euro 8.873,00;

– come  da  convenzione  predisposta  come  da  modello  regionale  e

allegata sub a)”

2) della delibera  della  Giunta  Comunale  n.  160  emessa  in  data

11/11/2016 nella parte in cui  costituisce  presupposto  della  sopra

citata determina n. 250/2016 (doc. 2)

3) dell’eventuale atto e/o contratto  di  affidamento  del  servizio,

eventualmente emesso o stipulato (si veda  istanza  di  accesso  agli

atti doc. 14 e risposta del Comune doc. 15)

nonché avverso ogni  ulteriore  atto  presupposto  e/o  connesso  e/o

conseguente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Courmayeur  e

di Società Gmh Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13  giugno  2017  il  dott.

Carlo Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato  nel

verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con il presente gravame, ritualmente notificato e depositato, parte ricorrente impugna gli atti in epigrafe indicati nell’ambito di una complessa vicenda procedimentale-processuale, che così può riassumersi sulla base degli atti del giudizio e della concorde rappresentazione delle parti.

In data 11 gennaio 2013, a seguito di procedura di gara, viene stipulata la Convenzione rep. n° 1282 con cui viene assegnata all’A.T.I. Helops s.r.l. (capogruppo) e Air Service Center .r.l.(mandante) l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di trasporto sciatori per gli anni operativi 2012/13 – 2013/14 – 2014/15 con possibilità di proroga per ulteriori due anni operativi.

In data dell’11 marzo 2015 con la Determinazione del Segretario comunale n. 42 si prende atto che la società “Air Service Center s.r.l.” ha ceduto il ramo d’azienda alla “G.M.H. s.r.l.” di Gressoney-La-Trinité a far data dal 15 gennaio 2015 comprendente l’esecuzione dell’attività di trasporto di cui trattasi. Con determinazione del Segretario comunale n° 146 del 2 settembre 2015 si proroga, ai sensi dell’art. 57, comma 5., lettera b) del D. d.lgs. 163/2006 all’A.T.I. Soc. Helops srl (capo gruppo) e Soc. G.M.H. srl (mandante) per ulteriori due anni operativi (2015/16 e 2016/2017) la convenzione di assegnazione dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di trasporto di sciatori con aeromobili (eliski) di cui all’art. 2 della l.r. 4/3/1988 n. 15 e s.m.i. e contestuale concessione in gestione delle elisuperfici di quota e di recupero alle medesime condizioni e patti dell’atto iniziale, dandosi atto che l’aggiudicazione definitiva sarebbe divenuta efficace dopo la dimostrazione del possesso dei requisiti previsti dagli atti di gara.

Il Comune, con nota del 4 settembre 2015, prot. n. 12309, comunica all’A.T.I. la proroga dell’autorizzazione, chiedendo, nel contempo, la produzione entro 10 giorni della documentazione necessaria per verificare il possesso dei requisiti richiesti dagli atti di gara.

L’A.T.I. con nota pervenuta al protocollo comunale in data 16 settembre 2015, prot. n. 12940, trasmette gran parte della documentazione richiesta e con nota, pervenuta al protocollo comunale in data 2 dicembre 2015, prot. n. 17627, dimostra la disponibilità del secondo elicottero in capo alla Soc. Helops s.r.l.

Con Convenzione stipulata in data 22 dicembre 2015, rep. n. 1322, viene assegnata all’A.T.I. Soc. Helops s.r.l. (capogruppo) e soc. G.M.H. s.r.l. (mandante) l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di trasporto sciatori per gli anni operativi 2015/16 e 2016/17.

In data 30/12/2015, con nota prot. in entrata n. 19220, la Helops s.r.l. manifesta il recesso dall’A.T.I. espressamente consentendo l’esecuzione e prosecuzione del servizio da parte della GMH srl.

Con lettera pervenuta al protocollo comunale il 30 dicembre 2015, prot. n. 19221, la GMH s.r.l. manifesta l’intendimento a proseguire quanto previsto dalla convenzione rep. n. 1322.

Con determinazione del Segretario comunale n. 241 del 30 dicembre 2015 viene autorizzata la sostituzione dell’impresa mandataria condizionando l’efficacia della stessa alla verifica del requisito relativo alla disponibilità del secondo elicottero.

Con nota a mezzo Posta Elettronica Certificata del 31 dicembre 2015 la GMH s.r.l., pervenuta al protocollo comunale il 4 gennaio 2016, prot. n. 56, viene attestata la disponibilità in esercenza del secondo elicottero con relativo certificato di immatricolazione e con PEC della stessa società pervenuta al protocollo comunale il 13 gennaio 2016, prot. n. 680, vengono trasmessi i certificati di aeronavigabilità ed il certificato acustico del secondo elicottero.

Avverso la determinazione del segretario Comunale n. 241 del 30 dicembre 2015 la società Pellissier Helicopter s.r.l. propone ricorso e il Tribunale Amministrativo Regionale per la Valle d’Aosta che con sentenza n. 29/2016 annulla gli atti impugnati in ragione del fatto che al momento dell’aggiudicazione della domanda uno degli elicotteri, pur se tecnicamente completo non aveva ancora la possibilità di volare perché mancante di un’autorizzazione, acquisita, in ogni caso prima dell’inizio dell’effettivo servizio (c.d. principio della continuità nel possesso dei requisiti).

Il Comune di Courmayeur con determinazione n. 235 del 17/11/2016 dichiara la GMH srl decaduta dalla concessione con conseguente risoluzione della Convenzione che la disciplinava, dandosi atto che, a titolo meramente prudenziale, si sarebbe proceduto alla comunicazione all’ANAC dell’avvenuta risoluzione.

Con deliberazione n. 164 del 18 novembre 2016 la Giunta Municipale nel confermare l’interesse per il Comune ad affidare in concessione il servizio di eliski e nel ritenere spettante alla Centrale Unica di Committenza la competenza ad espletare la gara che si sarebbe conclusa sicuramente dopo il 31 gennaio 2017, delibera di esprimere l’indirizzo di garantire, nelle more, dell’espletamento delle procedure la continuità del servizio sin dal 20 dicembre 2016.

Il Segretario comunale, in ottemperanza a tale indirizzo, con determinazione del 1° dicembre 2016 n. 250 affida in via diretta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 164 del nuovo codice dei contratti, temporaneamente il servizio alla GMH srl.

La Pellissier Helicopter s.r.l. con il presente ricorso impugna detto provvedimento, da un lato ritenendo l’odierna controinteressata priva del requisito ex art. 80, comma 5 lett. c del Codice dei contratti pubblici per effetto della pregressa risoluzione; dall’altro, illegittima la procedura de qua per frazionamento e sottostima del suo valore e violazione del principio di rotazione e di adeguata motivazione.

Si sono costituite la GMH srl ed il Comune di Courmayeur concludendo per l’inammissibilità, l’improcedibilità e comunque per il rigetto del ricorso. Disposti adempimenti istruttori, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 13 giugno 2017.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni che seguono, di talché può prescindersi dall’esame delle eccezioni in rito formulate dalle controparti.

Con una prima serie di censure parte ricorrente si duole dell’ammissione dell’odierna controinteressata alla procedura de qua lamentando la violazione dell’art. 80, comma 5 lett. c del D. Lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) per effetto dell’intervenuta “risoluzione per inadempimento” della convenzione Rep. n. 1322 del 22.12.2015 dal Comune di Courmayeur con il RTI Helops Srl e Airservice Center, nel quale RTI, il 30.12.2015, GMH Srl è succeduta quale prosecutore in proprio del servizio, risoluzione che sarebbe ragione di esclusione di GMH Srl dall’affidamento per cui è controversia. Secondo parte ricorrente il contratto di eliski concluso con il Comune di Courmayeur si è concluso anticipatamente per fatto e colpa della GMH srl, in quanto come accertato da questo Tar con sentenza n. 29/2016, passata in giudicato: “47. la contro interessata ha prodotto due documenti (doc. 5,6, e 13 di GMH srl) dai quali risulta che, al momento del subentro nell’autorizzazione, essa aveva sì la disponibilità di un secondo elicottero, il quale, tuttavia, non era ancora in possesso delle prescritte autorizzazioni per essere da essa utilizzato (in pratica il velivolo non poteva all’epoca volare). 48.Ritiene il Collegio che avere la disponibilità di elicotteri che, sebbene tecnicamente completi, non possano, per ragioni giuridiche, volare non soddisfi il requisito previsto dalla lettera d’invito; è infatti evidente che se tali mezzi non sono in grado di svolgere la loro funzione, il soggetto che ne ha la disponibilità non è a sua volta in grado di svolgere l’attività oggetto dell’autorizzazione”. Secondo parte ricorrente la gravità dell’inadempimento è in sé atteso che la ditta che non è in grado di svolgere l’attività oggetto dell’autorizzazione, sicché non è dunque più possibile discutere se vi sia stato o meno inadempimento rilevante della GMH srl in quanto la citata sentenza n. 29/2016 ha acquistato certezza definitiva e le questioni da essa decise non possono più essere messe in discussione. Pertanto, è incontrovertibile che la ditta GMH srl si sia resa inadempiente.

La censura non può essere condivisa

In diritto deve osservarsi che l’art. 80, comma 5, lett. c) del D. Lgs. n. 50/2016, recante il codice dei contratti pubblici, consente alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti da una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”, con la precisazione, ai fini che qui interessano, che in tali ipotesi rientrano, tra l’altro, “significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata”. La citata disposizione codicistica, innovando rispetto al previgente assetto normativo, prevede che l’esclusione del concorrente è condizionata al fatto che la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.

Il dato assiologico che emerge appare incentrarsi sulla circostanza che, per effetto degli indicati fattori o di ulteriori elementi valutativi, emerga a carico dell’operatore economico un quadro tale da rendere dubbia la sua affidabilità.

La ratio della norma de qua risiede dunque nell’esigenza di verificare l’affidabilità complessivamente considerata dell’operatore economico che andrà a contrarre con la p.a. per evitare, a tutela del buon andamento dell’azione amministrativa, che quest’ultima entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale

Orbene, nel caso di specie, non solo non viene in rilievo un profilo immediatamente correlato al momento esecutivo di un pregresso rapporto contrattuale in termini di specifico inadempimento al complesso di obbligazioni dallo stesso scaturente; ma deve anche rilevarsi come la censurata carenza di requisito alla partecipazione, pur astrattamente non sottratto in quanto tale ad un più ampio giudizio di inadempimento mediato o di rimbalzo, in concreto non possa in alcun modo qualificarsi in tali termini.

Ed invero s’osserva in fatto che al subentro di GMH Srl in proprio al citato RTI di cui faceva parte, a seguito di recesso di Helops per propri motivi organizzativi, la PA di Courmayeur ha verificato il possesso dei relativi suoi requisiti di capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria, nonché di qualificazione, adeguati al servizio ancora da eseguire, atteso che con determinazione n. 241 del 30.12.15 il Segretario comunale ha autorizzato detto subentro condizionando l’efficacia della determinazione alla verifica del requisito relativo alla disponibilità del secondo elicottero e che la documentazione a tal fine trasmessa al fine di attestare la disponibilità in esercenza del secondo elicottero è stata positivamente riscontrata dalla stessa stazione appaltante. Va precisato che se è vero che detta documentazione non comprendeva ancora, per il secondo elicottero, l’aggiornamento del COA n. IT AOC 166/ COLA I – 110LA – che era in corso di rilascio ed successivamente pervenuta in data 26.1.2017 – per un verso tale circostanza non risulta in alcun modo celata o falsamente rappresentata; e per altro verso entrambe le parti abbiano ritenuto che tale elemento in corso di rilascio non incidesse sulla disponibilità della macchina, nella sua accezione materiale o dominicale, ovvero nella sua “esercenza”. Ne discende che la diversa interpretazione della prescrizione di lex specialis operata in sede giurisdizionale non solo, in concreto e per il successivo dipanarsi della vicenda, non ha in alcun modo inciso sul profilo esecutivo in corso; ma, a monte ed in via di astratta rilevanza, non può configurare alcun inadempimento o illecito, tanto meno grave, tale da porsi come contegno negativamente incidente sulla affidabilità professionale dell’operatore economico.

Del resto come emerso a seguito della disposta istruttoria, in data 20.2.2017 l’ANAC con proprio atto prot. 0026887 – in disparte la valenza processuale della stessa all’interno del presente giudizio e le modalità di sua contestazione -, ha comunicato la avvenuta archiviazione della segnalazione del Comune, sulla base della rilievo per cui “… dalla valutazione dei fatti segnalati dalla S.A. per la iscrizione nel casellario del relativo dato, prima di procedere alla prescritta pubblicità nel Casellario, non sono emersi profili di colpa grave o mala fede dell’operatore, né risultano danni o pregiudizi evidenti nei confronti del Comune”.

Né infine può, secondo la traiettoria ermeneutica proposta dal ricorrente, riconnettersi al precedente dictum giudiziale un effetto di automatismo espulsivo ai presenti fini: deve al riguardo ribadirsi che anche in siffatta evenienza persiste in capo alla Stazione appaltante un coefficiente di discrezionalità, il cui esercizio – ed il cui correlato sindacato in sede giurisdizionale – comporta la esatta riconduzione della fattispecie astratta contemplata dalla norma (grave illecito professionale) a quella concretamente palesatasi nella singola gara. Il conferimento alle stazioni appaltanti di un diaframma di discrezionalità in sede applicativa – il quale attiene non alla individuazione delle fattispecie espulsive, che senz’altro compete al legislatore, in materia di requisiti generali, secondo una elencazione da considerare tassativa, bensì alla riconduzione della fattispecie concreta a quella astratta, siccome descritta genericamente mediante l’uso di concetti giuridici indeterminati -affiora, pur in mancanza di una formulazione della norma di segno univoco come quella contenuta nel previgente Codice Appalti (laddove si discorreva di “motivata valutazione”), da quanto statuito a proposito della consacrata necessità di dare “dimostrazione con mezzi adeguati” della sussistenza della fattispecie espulsiva, nonché dall’uso di locuzione generiche (“dubbia”, “gravi”) e dalla omessa precisa elencazione di ipotesi escludenti, che il legislatore infatti si limita ad individuare a fini meramente esemplificativi. Ne consegue anche per questa via ed alla luce dei rilievi di cui sopra, la correttezza della valutazione qui in esame, ove si consideri che l’intervenuto giudicato non espleta la propria efficacia accertativo-preclusiva su di un specifico fatto di inadempimento in sede propriamente posto in diretta relazione causale con la conseguente risoluzione del rapporto contrattuale, ma, come prima detto, sulla diversa dimensione di una carenza di requisito partecipativo che solo indirettamente e di rimbalzo ha comportato, non ex se ma in via derivata e mediata, l’incidenza su di un momento esecutivo-prestazionale peraltro connotato da comprovata e non contestata conformità tutti gli obblighi contrattualmente assunti.

Parimenti infondata si presenta la seconda serie di censure volte a contestare i presupposti e le modalità dell’affidamento de quo per violazione dell’art. 36, comma 2 lettera a) D. Lgs. 50/2016 in relazione alla doppia della circostanza della erroneità dell’importo di riferimento e della inosservanza dei principi di rotazione e adeguata motivazione correlati all’acquisizione di una pluralità di preventivi.

Per un verso parte ricorrente ritiene l’importo del servizio (inferiore a € 40.000,00) sia artificiosamente frazionato e comunque sottostimato, per cui la determina dirigenziale 250/2016 sarebbe in contrasto con quanto prescritto dalla norma richiamata. Diversamente s’osserva che, posto che siffatta indagine impingendo nel merito di scelte strategico-gestionale e sulla basa di elementi di discrezionalità tecnico-amministrativa risulta scrutinabile in sede giurisdizionale solo per le ipotesi di manifesta irragionevolezza, evidente illogicità e travisamento dei fatti – gli elementi istruttori posti a giustificazione della contestata decisione risultano congruamente apprezzati e valutati: per un verso, infatti, si tratta di un “Affido nelle more della aggiudicazione’, interstizialmente collocato tra l’anticipata risoluzione del precedente rapporto e la definizione della nuova procedura per il suo integrale affidamento: ne discende che, lungi dal porsi quale frutto di artificioso frazionamento od elusivo scorporo, lo stesso risponde all’evidente esigenza di affidare in via interinale e suppletivo, in una prospettiva di necessaria continuità, un autonomo servizio idoneo a coprire l’arco temporale strettamente necessario all’avvio di quello vero e proprio, così da non pregiudicare l’avvio della stagione sciistica.

Per altro verso e quanto al valore di tale affido in relazione alla cinquantina di giorni della suo dimensionamento temporale, si rileva come gli elementi oggettivamente considerati (fatturati degli ultimi 3 anni di concessione affidati, incertezza meteo ed impossibilità di inserire il mese in oggetto in un programmazione più lunga) in quanto basati dati tratti comparativamente sulla esperienza pregressa e dalle caratteristiche temporali del servizio, non evidenziano alcuna macroscopico errore di calcolo, risultando piuttosto astratte ed impropriamente condotte secondo logiche di media le diverse conclusione cui perviene parte ricorrente.

Infine, deve escludersi che nel caso in esame l’illegittimità dell’affidamento possono ricondursi alla violazione del citato art. 36, comma 2, lett. a), nel testo illo tempore vigente, sub specie di omessa applicazione del principio di rotazione e di adeguata motivazione, intesa quale necessità dell’acquisizione di una pluralità di preventivi.

Sotto quest’ultimo riguardo, va premesso che l’orientamento della giurisprudenza in relazione alle procedure di affidamento di servizi, ex art. 36 del D. Lgs n. 50/2016, definite “semplificate”, è nel senso del riconoscimento dell’ampia discrezionalità dell’Amministrazione anche nella fase dell’individuazione delle ditte da consultare e, quindi, della negazione della sussistenza di un diritto in capo a qualsiasi operatore del settore ad essere invitato alla procedura.

Ciò comporta che, anche prima della correzione operata dal D. Lgs 56/2017, l’immanente obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (art. 3 L. 241/1990) ed il principio di rotazione implicano certamente la necessità di esplicitare le ragioni del ricorso a tale modalità di scelta dell’operatore economico affidatario del servizio e della sua individuazione; ma ciò non necessariamente attraverso il confronto concorrenziale tra più soggetti. In tal senso, la posizione espressa dall’Anac nel vigore del testo originario del citato art. 36 (Linee guida ANAC n. 4 “3.3.2”.

Il rispetto del principio di rotazione espressamente sancito dall’art. 36, comma 1, d.lgs. 50/2016 fa sì che l’affidamento al contraente uscente abbia carattere eccezionale e richiede un onere motivazionale più stringente. La stazione appaltante motiva tale scelta in considerazione o della riscontrata effettiva assenza di alternative ovvero del grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale (esecuzione a regola d’arte, nel rispetto dei tempi e dei costi pattuiti) e in ragione della competitività del prezzo offerto rispetto alla media dei prezzi praticati nel settore di mercato di riferimento, anche tenendo conto della qualità della prestazione”), pur esprimendo un condivisibile indirizzo di massima, non poteva considerarsi del tutto inderogabile nell’assolutezza del duplice presupposto in cui rigidamente tendeva a chiudere il non predeterminabile orizzonte motivazionale connesso alla multiforme realtà dell’inafferrabile operato amministrativo.

Detto altrimenti, l’obbligo di rispettare i principi definiti dal richiamato 30, comma 1, del codice dei contratti (economicità, efficacia, tempestività , correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità), se da un lato esclude di riconnettere automaticamente la possibilità per le pubbliche amministrazioni di contrarre con uno specifico operatore economico senza procedure specifiche al solo dato oggettivo dell’importo economico, dall’altro implica che la motivazione può e deve essere costruita anche senza ricorrere all’acquisizione di una pluralità di preventivi atteso che la congruità di una proposta contrattuale può ricostruirsi anche aliunde (ad esempio, confrontandola con listini pubblici, quali i prezzi del MePa, o, ancora, con affidamenti di prestazioni analoghe di altre amministrazioni, dopo semplici ricerche in rete). Del resto, sia pure ratione temporis non applicabili, significative in tal senso appaiono le novità apportate al riguardo dal D. lgs. 56/2017 recanti integrazioni e correzioni al D. Lgs. 50/2016: in particolare il nuovo testo della norma derivante dal correttivo interviene esattamente sui problemi operativi posti dalla combinazione della precedente formulazione e dell’interpretazione rigorosa fornita dall’ANAC e compie due operazioni: una chirurgica, eliminando, come visto, il riferimento all’adeguata motivazione; una additiva, specificando che l’affidamento non deve necessariamente avvenire a valle di una consultazione tra due o più operatori economici. Trova conferma quindi il dato ermeneutico per cui l’ineliminabile obbligo motivazionale (ribadito, proprio per gli affidamenti in esame ed alla correlata cd. “determina a contrarre unificata e semplificata”, dal nuovo alinea aggiunto dal D. lgs. 56/2017 all’art. 32, comma 2, del codice dei contratti pubblici, a mente del quale nella procedura di cui all’articolo 36, comma 2, lettera a), la stazione appaltante può procedere ad affidamento diretto tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga, in modo semplificato, l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti) non si esaurisce più nel necessario confronto tra più preventivi.

Nel caso di specie, come correttamente rilevato dalla difesa dell’odierno controinteressato, viene in rilievo una duplice peculiarità del servizio in questione: da un lato, in quanto servizio di trasporto aereo-elicotteristico in alta montagna, si presenta di delicata, elevatissima, caratura tecnica, per il grado di perizia e di affidabilità degli operatori, per la necessità di conoscenza dei luoghi, del volo alle alte quote; per la complessità del rapporto con la clientela dell’heliski; per l’esperienza della interazione con gli altri operatori (guide, soccorso alpino, operatori sanitari specialistici, ecc.) del settore; per altro verso e sul versante procedimentale, pur nella sua autonoma individuabilità, si tratta di un servizio che va a collocarsi interstizialmente, e per brevissimo tempo, tra il servizio precedente, risolto, e quello futuro, in corso (al momento della assegnazione di quello per cui è questione) di affidamento. In termini più sintetici – ma da decifrare nel descritto contesto procedimentale, la stazione appaltante ha espresso siffatta indicazione sull rilievo che la scelta è caduta sull’ultimo concessionario “…in quanto già a conoscenza delle modalità di esecuzione del servizio e in base a ragioni di immediata disponibilità (base di partenza compresa) …”.

Deve ancora osservarsi come l’affidamento diretto de quo assolva alla peculiare funzione di proroga tecnica o limitata, in ragione dell’anticipata risoluzione del pregresso rapporto contrattuale e nelle more dell’espletamento della nuova procedura per il suo integrale affidamento (in tal senso differente dalla cd. proroga piena o programmata, che costituisce una modalità di affidamento alternativa alle procedure ordinarie e, in quanto riferita all’interezza del servizio a carattere ripetitivo, ammessa nei casi ed alle condizioni specifiche espressamente indicate dall’art. 63, comma 5 del codice dei contratti pubblici): in tal senso il carattere unipersonale della scelta nella direzione dell’aggiudicatario uscente risponde ad esigenze di immediata continuità in un servizio che non tollera soluzioni del servizio, di talché il principio di rotazione – che peraltro appare prioritariamente riferito al susseguirsi di una pluralità di affidamenti semplificati quale bilanciamento al loro carattere eccezionale e derogatorio rispetto alle procedure ordinarie e che, in quanto tale, dal correttivo 2017 è ora chiaramente indicato come rotazione degli inviti (e non solo degli affidamenti) – non può dirsi concretamente violato

In definitiva il ricorso va respinto. Nelle peculiarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa, tuttavia, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c., eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta (Sezione Unica) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Aosta nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

 

Andrea Migliozzi, Presidente

Davide Ponte, Consigliere

Carlo Buonauro, Consigliere, Estensore

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 23 GIU. 2017.

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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T.A.R. Palermo, (Sicilia), sez. III, 08/05/2017,  n. 1210

Massima

In tema di procedure di affidamento di contratti pubblici, il riferimento, contenuto nell’art. 80, d.lg. 18 aprile 2016 n. 50 all’accertamento dei gravi illeciti nell’esercizio dell’attività professionale « con adeguati mezzi », non esclude l’obbligo, in capo alla concorrente, di dichiarare l’esistenza di significative carenze, come tipizzate dal richiamato art. 80, comma 5, lett. c); dichiarazione, dalla quale scaturisce eventualmente l’avvio del contraddittorio. Va, peraltro, osservato che, poiché l’art. 86 del d.lg. n. 50/2016 non indica, rispetto a tale causa di esclusione, alcuno specifico mezzo di prova, sussiste, in atto, la libertà di acquisizione della prova stessa circa la sussistenza della « significativa carenza »; sicché, in attesa che entri in vigore il decreto previsto dall’art. 81, comma 2, dello stesso Codice, le stazioni appaltanti di norma verificano la sussistenza della cause di esclusione tramite l’accesso al casellario informatico, ma questo non esclude che possano venirne a conoscenza aliunde

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 468 del 2017, proposto da:

IGM Rifiuti  Industriali  S.r.l.,  in  proprio  e  nella  qualità  di

mandataria capogruppo del costituendo  raggruppamento  temporaneo  di

imprese con Is. S.r.l. e con S.E.A. S.r.l.,  in  persona  del  legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Riccardo

Rotigliano, con  domicilio  eletto  presso  lo  studio  del  predetto

difensore in Palermo, via Filippo Cordova n. 95;

contro

il Comune di Caltanissetta,  in  persona  del  Sindaco  pro  tempore,

rappresentato e difeso dagli avvocati Michele Lupo ed Andrea Scuderi,

con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Daniela  Macaluso  in

Palermo Via G. Ventura n. 1;

nei confronti di

Senesi S.p.A., in persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore,

rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati    Domenico    Pitruzzella,

Alessandro Lucchetti e Elena Daniele, con domicilio eletto presso  lo

studio del primo sito in Palermo, via Nunzio Morello n. 40;

per l’annullamento

– della determinazione dirigenziale n. 88 del 6 febbraio 2017 –  Reg.

Dirig. n. 32  del  2  febbraio  2017,  con  la  quale  il  Comune  di

Caltanissetta ha aggiudicato  alla  controinteressata  l’appalto  del

“servizio di raccolta, trasporto dei RSU, spazzamento  e  servizi  di

igiene  ambientale   dell’ARO    di    Caltanissetta    nelle    more

dell’attuazione del Piano di intervento Durata anni  uno  rinnovabile

per mesi sei” (CIG 68311993BF);

– dei verbali delle sedute pubbliche e riservate del seggio  di  gara

  1. 1 dell’11 gennaio 2017, n. 2 del 13 gennaio 2017, n. 3  del  17

gennaio 2017, n. 4 del 17 gennaio 2017, n. 5 del 18 gennaio 2017,  n.

6 del 19 gennaio 2017 e n. 7 del 24 gennaio 2017, nella parte in cui,

tra l’altro, la controinteressata è stata ammessa alla gara, è  stata

valutata la sua offerta tecnica ed  economica,  sono  state  valutate

contemporaneamente entrambe le offerte tecniche ed è  stata  proposta

l’aggiudicazione in suo favore;

– dell’aggiudicazione o della proposta di aggiudicazione, comunque la

si voglia qualificare, disposta in favore della controinteressata nel

corso della seduta del 24 gennaio 2017;

– dell’approvazione della proposta  di  aggiudicazione,  disposta  ai

sensi dell’art. 33, comma 1, d. lgs. n.  50/16,  di  data  o  estremi

sconosciuti, ivi inclusa la sua adozione per silentium;

– della nota mail prot. n. 1473 del giorno 11 gennaio  2017,  con  la

quale è stato respinto il reclamo proposto dalla ricorrente con  nota

mail del precedente 9 gennaio;

– della determina dirigenziale n. 421 del 31 dicembre 2016, di nomina

della commissione;

– della determinazione dirigenziale n. 948 del 17 ottobre 2016 – Reg.

Dirig. n. 218 di pari data, con la quale è stata indetta la procedura

negoziata;

– della nota prot. n. 6023 del 26 gennaio 2017, con cui il Comune  ha

comunicato  alla  controinteressata   l’aggiudicazione    provvisoria

(recte: la proposta di aggiudicazione);

– della nota prot. n. 6030 del 26 gennaio 2017, con cui il Comune  ha

comunicato alla ricorrente l’aggiudicazione  provvisoria  (recte:  la

proposta di aggiudicazione) in favore della controinteressata;

– di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale;

E PER LA DECLARATORIA

di inefficacia del contratto eventualmente  nelle  more  sottoscritto

tra il Comune di Caltanissetta e l’a.t.i. Senesi S.pA. –  Eco  Burgos

S.c.r.l. ai sensi degli artt. 121, co. 1, e 122 c.p.a.;

E PER L’ACCOGLIMENTO

della domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto ai  sensi

dell’art. 124 c.p.a.,

OVVERO

per il risarcimento del danno per equivalente subito e provato  dalla

ricorrente anche in corso di causa, comunque non inferiore  all’utile

di impresa calcolato sull’importo a base d’asta, al netto degli oneri

di sicurezza e del ribasso offerto dalla ricorrente, maggiorato di un

ulteriore importo che tenga conto del c.d. danno  curriculare  e  del

danno emergente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di  costituzione  in  giudizio  della  controinteressata

Senesi s.p.a., con le relative deduzioni difensive;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Caltanissetta,

con le relative deduzioni difensive;

Vista l’ordinanza n. 283/2017;

Vista l’ordinanza del C.G.A. n. 329/2017;

Viste le memorie prodotte da tutte le parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il consigliere dott.ssa Maria Cappellano;

Uditi all’udienza pubblica del giorno  21  aprile  2017  i  difensori

delle parti, come da verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

FATTO

  1. – Con ricorso ritualmente notificato e depositato la società IGM Rifiuti Industriali S.r.l., in proprio e nella qualità di capogruppo del costituendo R.T.I. con Is. S.r.l. e con S.E.A. S.r.l., ha impugnato gli atti indicati in epigrafe relativi all’aggiudicazione, in favore della ditta Senesi s.p.a. (mandataria del RTI con Eco Burgus s.c. a r.l.), della gara d’appalto per il “servizio di raccolta, trasporto dei RSU, spazzamento e servizi di igiene ambientale dell’ARO di Caltanissetta nelle more dell’attuazione del Piano di intervento Durata anni uno rinnovabile per mesi sei”, indetta dal Comune di Caltanissetta ai sensi dell’art. 63, co. 2, lett. c), del d. lgs. n. 50/2016, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Espone che tale procedura negoziata è stata indetta dall’ente locale intimato nelle more della definizione della gara avviata presso l’U.R.E.G.A., i cui tempi non sarebbero definibili; e che a tale procedura hanno partecipato solo il costituendo raggruppamento temporaneo di cui la ricorrente è capogruppo mandataria, e il raggruppamento di cui la società controinteressata è mandataria, che aveva chiesto di essere invitato come previsto dalla determinazione di indizione della stessa procedura (v. determina n. 948/2016).

Dolendosi dell’ammissione del raggruppamento controinteressato, ha impugnato tutti gli atti della procedura, compresa la determinazione dirigenziale di aggiudicazione definitiva, deducendo le censure di:

I-II) VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 80, CO. 5, LETT. C), D. LG. N. 50/16 – VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEL PUNTO 4.A-6) DELLA LETTERA DI INVITO, in quanto:

– il legale rappresentante della Senesi s.p.a., nel dichiarare “di non essersi reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità (art. 80, comma 5, lett. c)”, avrebbe reso una dichiarazione quantomeno reticente, non avendo informato la stazione appaltante dell’applicazione di penali, per oltre un milione di euro, con riferimento ad uno stesso contratto di appalto stipulato con il Comune di Aversa; dell’adozione, da parte della Prefettura di Fermo, di un’informativa interdittiva a carico della controinteressata; nonché, dell’applicazione, da parte della Città Metropolitana di Napoli, di una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’art. 258, co. 2, d. lgs. n. 152/2006, per l’omessa tenuta del registro di carico e scarico ai sensi dell’art. 190 del citato decreto;

– Eco Burgus s.r.l. – Consorzio mandante del raggruppamento di cui è capogruppo la controinteressata – non avrebbe reso noto alla stazione appaltante l’adozione di un’informativa interdittiva, da parte della Prefettura di Palermo, a carico di un’impresa socia del Consorzio ed estromessa già al momento di partecipazione alla gara; situazione, dalla quale era conseguita l’esclusione da un’altra gara, ritenuta legittima dal T.A.R. Sicilia con ordinanza n. 1440/2016, confermata dal C.G.A. (ord. n. 70/2017);

III) VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEL PARAGRAFO 6 DELLA LETTERA DI INVITO – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI IMPARZIALITÀ DEL SEGGIO DI GARA, in quanto l’attribuzione del punteggio tecnico alla controinteressata sarebbe stata effettuata quando si conosceva già il contenuto dell’offerta della seconda, pur in assenza del confronto a coppie;

  1. IV) VIOLAZIONE DELL’ 47, CO. 20, L. REG. N. 5/2014, in quanto la gara in contestazione sarebbe di competenza dell’U.R.E.G.A., ai sensi della norma regionale appena citata.

Ha, quindi, chiesto l’annullamento degli atti impugnati, previo accoglimento dell’istanza cautelare; la declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato e la domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto; in via subordinata, ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni per equivalente.

  1. – Si è costituita in giudizio Senesi s.p.a., depositando documentazione ed avversando tutte le censure. Quanto ai motivi di esclusione, sostiene la controinteressata che gli eventi indicati dalla ricorrente non rientrerebbero negli obblighi dichiarativi a carico della concorrente; e che, in ogni caso, gli stessi eventi dovrebbero costituire oggetto di un contraddittorio con la ditta, senza possibilità di una immediata esclusione.
  2. – Si è costituito in giudizio anche il Comune di Caltanissetta, il quale ha rappresentato:

– di avere individuato un proprio bacino territoriale (ARO: Area di Raccolta Ottimale) di dimensione diversa dall’ATO provinciale di appartenenza, predisponendo il relativo piano di intervento approvato dal competente Assessorato regionale;

– di avere, conseguentemente, inviato gli atti all’U.R.E.G.A. di Caltanissetta per l’avvio delle procedure di gara per l’affidamento del servizio integrato di raccolta dei rifiuti urbani per sette anni;

– nelle more della definizione della gara da parte dell’Ufficio Regionale, di avere indetto la gara oggetto del contendere al fine di far fronte all’esigenza di garantire il servizio, in atto gestito dalla ricorrente prima in virtù di proroga e, successivamente, sulla base di ordinanze contingibili e urgenti, fino al 31 marzo 2017.

Ha, quindi, avversato tutte le censure con motivazioni in parte analoghe a quelle spese dalla controinteressata, chiedendo la reiezione del ricorso e della connessa istanza cautelare; e facendo presente, quanto al quarto motivo – su cui ha eccepito l’inammissibilità per mancata impugnazione della lettera di invito in parte qua – l’impossibilità di applicare l’art. 47, co. 20, della l.r. n. 5/2014, anche a seguito dell’emanazione dell’ordinanza contingibile e urgente del Presidente della Regione Siciliana del 30 giugno 2016 n. 6/rif., con la quale è stato posto all’U.R.E.G.A. il limite temporale del 15 luglio 2016 per l’accettazione degli atti di gara relativi al servizio integrato di raccolta rifiuti.

  1. – Con ordinanza n. 283/2017 è stata accolta l’istanza cautelare e fissata la data della discussione del ricorso nel merito; ordinanza, confermata dal C.G.A. con ordinanza n. 329/2017, pubblicata il 14 aprile 2017, in considerazione dell’imminente udienza di merito innanzi a questo Tribunale.
  2. – In vista dell’udienza tutte le parti hanno ulteriormente argomentato, insistendo nelle rispettive conclusioni.

Quindi, all’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2017 le parti hanno discusso la causa e il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

  1. – Viene in decisione il ricorso proposto dalla società IGM Rifiuti Industriali S.r.l. – in proprio e nella qualità di capogruppo del costituendo raggruppamento con Is. S.r.l. e con S.E.A. S.r.l. – avverso l’ammissione, e la conseguente aggiudicazione in favore del raggruppamento di cui la ditta Senesi s.p.a. è capogruppo, della gara d’appalto per il “servizio di raccolta, trasporto dei RSU, spazzamento e servizi di igiene ambientale dell’ARO di Caltanissetta nelle more dell’attuazione del Piano di intervento Durata anni uno rinnovabile per mesi sei”, indetta dal Comune di Caltanissetta ai sensi dell’art. 63, co. 2, lett. c), del d. lgs. n. 50/2016, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
  2. – Ritiene il Collegio di confermare la delibazione assunta in fase cautelare, atteso che il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti che saranno subito precisati.
  3. 1. – È fondato, in particolare, il primo motivo, con il quale si deduce la violazione dell’art. 80, co. 5, lett. c), del d. lgs. n. 50/2016, con particolare riferimento alla posizione di Senesi s.p.a..

La disposizione appena richiamata stabilisce che:

5. Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’articolo 105, comma 6, qualora:

…(omissis)…

  1. c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione;”.

Come rilevato dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato in sede di emissione del parere sulle linee guida ANAC “indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del codice“, la norma ha introdotto una semplificazione a fini probatori, in quanto è la stessa disposizione a stabilire che, in presenza di determinati effetti giuridici “(risoluzione anticipata “definitiva” perché non contestata ovvero confermata in giudizio, penali, risarcimento, incameramento della garanzia)” un eventuale “inadempimento contrattuale” assurge, per legge, al rango di “significativa carenza”; correlativamente, sorge l’obbligo dichiarativo in capo alla concorrente.

È stato, in particolare, osservato che “…L’art. 80, c. 5, lett. c), in combinato con il c. 13, codice, demanda alle linee guida il solo compito di individuare la casistica delle significative carenze nell’esecuzione di precedenti contratti; ma indica già in modo compiuto e tassativo un indice di riconoscimento delle “significative carenze”, ancorato agli effetti giuridici che si sono prodotti, e che sono i seguenti: “risoluzione anticipata del contratto, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero una condanna al risarcimento del danno o l’applicazione di altre sanzioni”. Possono essere considerate come “altre sanzioni”, l’incameramento delle garanzie di esecuzione o l’applicazione di penali, fermo che la sola applicazione di una clausola penale non è di per sé sintomo di grave illecito professionale, specie nel caso di applicazione di penali in misura modesta.

Se, pertanto, in relazione ad un pregresso contratto, non si sono prodotti tali effetti giuridici (risoluzione anticipata “definitiva” perché non contestata ovvero confermata in giudizio, penali, risarcimento, incameramento della garanzia), un eventuale “inadempimento contrattuale” non assurge, per legge, al rango di “significativa carenza”.

Si tratta, evidentemente, di una semplificazione “a fini probatori”, in quanto se non si sono prodotti tali effetti tipizzati, è ben più complesso fornire la prova incontestabile che il pregresso inadempimento è stato “significativo”;…” (cfr. Consiglio di Stato, Commissione speciale del 26 ottobre 2016, parere n. 2286/2016)”.

In quella sede si è ulteriormente precisato, in ordine al dovere in capo ad ogni concorrente di rendere una dichiarazione completa, che “…Nel vigore del nuovo codice, occorre distinguere tra autodichiarazione, effettuata tramite il DGUE (documento di gara unico europeo), e prove che la stazione appaltante può acquisire o esigere dai concorrenti.

Nell’ambito del DGUE, è esigibile che il concorrente autodichiari l’assenza di gravi illeciti professionali, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza formatasi nel vigore del codice del 2006…” (cfr. Consiglio di Stato, parere n. 2286/2016 citato, paragrafo 8.2.; v. anche le linee guida ANAC, punto 2.1.1.).

Il riferimento è, in particolare, alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, come indicato nello stesso parere con ampi riferimenti, riteneva esigibile l’autodichiarazione avente ad oggetto anche le eventuali pregresse risoluzioni contrattuali, anche se relative ad appalti affidati da stazioni appaltanti diverse da quella che aveva bandito la gara.

Rispetto alla precedente disciplina contenuta nell’art. 38 del d. lgs. n. 163/2006, nel sistema del Codice approvato con il d. lgs. n. 50/2016, la nuova disposizione contenuta nell’art. 80, co. 5, lett. c), presenta un contenuto ed una portata più ampia della precedente, in quanto – se con riferimento alla risoluzione del contratto chiarisce che deve trattarsi di una risoluzione “anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio” – per l’altra fattispecie, relativa all’applicazione di “altre sanzioni“, non fa alcun riferimento all’eventuale contestazione, operando in tal modo una differenza testuale tra gli “effetti giuridici” delle “significative carenze”.

Tale dato, se per un verso induce a ritenere che le concorrenti siano obbligate a dichiarare sempre e comunque l’applicazione delle penali nell’ottica della massima trasparenza, per altro verso implica, sul piano fattuale, che le circostanze concrete – quali la tenuità della penale, l’essere stata singolarmente applicata o l’essere stata contestata – devono contestualmente essere offerte alla Stazione appaltante al fine di consentirle l’esercizio del potere discrezionale di valutazione nel modo più compiuto possibile.

Quanto appena rilevato è stato fatto proprio anche nelle linee guida ANAC n. 6 del 16 novembre 2016, recanti “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice“, le quali precisano che “La sussistenza delle cause di esclusione in esame deve essere autocertificata dagli operatori economici mediante utilizzo del DGUE. La dichiarazione sostitutiva ha ad oggetto tutte le notizie astrattamente idonee a porre in dubbio l’integrita` o l’affidabilita` del concorrente, essendo rimesso in via esclusiva alla stazione appaltante il giudizio in ordine alla gravità dei comportamenti e alla loro rilevanza ai fini dell’esclusione.”

Sicché, la valutazione deve essere rimessa, volta per volta, all’esclusiva competenza della P.A., con correlativo obbligo di ogni concorrente di indicare quantomeno le significative carenze quali tipizzate dal legislatore con la disposizione in commento.

Applicando i suddetti principi al caso di specie, deve rilevarsi che costituisce dato incontestato l’applicazione, a carico di Senesi s.p.a., di due penali, con riferimento al contratto di appalto stipulato con il Comune di Aversa, per un ammontare complessivo di poco superiore al milione di euro.

Sotto tale profilo, non è ininfluente rilevare che le penali applicate attengono al mancato raggiungimento della percentuale di raccolta differenziata, costituente un elemento qualificante la procedura negoziata indetta dal Comune di Caltanissetta.

Rispetto a tale dato obiettivo, la circostanza che, ad avviso dell’impresa, tali penali costituiscano una percentuale minima rispetto al valore del contratto, e che siano state contestate davanti all’autorità giurisdizionale, si traduce in una sostituzione della parte privata alla valutazione che è rimessa alla stazione appaltante, alla quale spetta in via esclusiva la valutazione in ordine alla rilevanza dei fatti e degli eventi occorsi.

Ne consegue che il riferimento, contenuto nel citato art. 80, all’accertamento dei gravi illeciti nell’esercizio dell’attività professionale “con adeguati mezzi”, non esclude l’obbligo, in capo alla concorrente, di dichiarare l’esistenza di significative carenze, come tipizzate dal più volte richiamato art. 80, co. 5, lett. c); dichiarazione, dalla quale scaturisce eventualmente l’avvio del contraddittorio (v., in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. V, 22 ottobre 2015, n. 4870; la sentenza di questa Sezione, n. 2983/2016, riferita tuttavia alla disciplina precedente, confermata su tale punto, dal C.G.A. con ordinanza n. 220/2017; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 15 marzo 2017, n. 96).

Va, peraltro, osservato che, poiché l’art. 86 del d. lgs. n. 50/2016 non indica, rispetto a tale causa di esclusione, alcuno specifico mezzo di prova, sussiste, in atto, la libertà di acquisizione della prova stessa circa la sussistenza della “significativa carenza”; sicché, in attesa che entri in vigore il decreto previsto dall’art. 81, co. 2, dello stesso Codice, le stazioni appaltanti di norma verificano la sussistenza della cause di esclusione tramite l’accesso al casellario informatico, ma questo non esclude che possano venirne a conoscenza aliunde.

Osserva infine il Collegio che l’espresso riferimento della disposizione, di portata più ampia della precedente, alle “altre sanzioni” senza ulteriore specificazione – tra le quali rientra pacificamente l’applicazione delle penali – consente di non procedere alla chiesta rimessione alla Corte di Giustizia per presunto contrasto con l’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE.

Si ritiene, in particolare, che la questione della conformità del diritto nazionale a quello europeo prospettata dalla ricorrente non può trovare positivo apprezzamento, come si evince dall’esame dell’art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24/UE.

Tale disposizione, invero, fa riferimento a situazioni, relative agli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, in presenza delle quali “le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere, oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto” tali operatori: la norma, pertanto, pone una facoltà agli Stati membri in ordine alla previsione delle cause di esclusione, senza porre alcun vincolo (v. Consiglio di Stato, Sez. V, 27 aprile 2017, n. 1955).

Nel caso in esame, il legislatore nazionale ha chiaramente indicato, tra le carenze “significative”, l’applicazione di altre sanzioni, tra le quali sia il Consiglio di Stato che l’ANAC hanno incluso le penali, sicché non si riscontra nel caso concreto il lamentato ampliamento degli obblighi dichiarativi, il cui assolvimento risulta, del resto, pregiudiziale rispetto alla possibilità, per il concorrente, di fornire la prova contraria dell’addebito eventualmente mosso; circostanza, quest’ultima, che conduce ad escludere anche la prospettata incompatibilità della disposizione con il par. 6 dello stesso art. 57.

La fondatezza del primo motivo, pienamente satisfattivo dell’interesse di parte ricorrente, assorbe ogni altra questione posta anche con la seconda censura.

  1. 2. – Va, invece, dichiarato inammissibile il terzo motivo, con il quale si contesta la legittimità del confronto a coppie delle offerte tecniche.

La doglianza si presenta, in particolare, inammissibile per carenza di interesse, atteso che la ricorrente ha ottenuto il massimo punteggio stabilito per l’offerta tecnica.

  1. 3. – Anche il quarto motivo, con il quale la ricorrente deduce la violazione, dell’art. 47, co. 20, della l. r. n. 5/2014, non può trovare adesione, il che rende superabile l’eccezione di inammissibilità formulata dal Comune di Caltanissetta per mancata impugnazione della lettera di invito in parte qua.

L’art. 47, co. 20, della l.r. n. 5/2014, stabilisce che “Fuori dai casi di cui all’articolo 15 della legge regionale 8 aprile 2010, n. 9, le aree di raccolta ottimale costituite ai sensi della legge regionale 9 gennaio 2013, n. 3, in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che intendano affidare il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara ad evidenza pubblica si avvalgono dell’Ufficio regionale per l’espletamento di gare per l’appalto di lavori pubblici di cui all’articolo 9 della legge regionale 12 luglio 2011, n. 12.

La disposizione fa esplicito riferimento alla “gara ad evidenza pubblica”: la ricorrente ritiene tale espressione comprensiva anche della procedura negoziata oggetto del contendere, per la quale sostiene, in sintesi, che il Comune resistente avrebbe dovuto non già costituire una commissione ai sensi dell’art. 8 della l.r. n. 12/2011 – presieduta dal dirigente comunale e composta, per il resto, da componenti estratti a sorte dall’albo U.R.E.G.A. – ma avrebbe dovuto inviare gli atti all’Ufficio Regionale per la gestione anche di tale gara.

Deve precisarci che, come chiarito dal Comune di Caltanissetta, l’ente locale ha già inviato all’U.R.E.G.A., con note del 4 aprile e del 23 giugno 2016, tutta la documentazione necessaria per l’espletamento della gara, previa pubblicazione del bando di gara, per l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, per la durata di sette anni.

Per contro, la procedura in contestazione è stata indetta mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, ai sensi dell’art. 63, co. 2, lett. c), del d. lgs. n. 50/2016, la quale, ad avviso del Collegio, non può farsi rientrare nella nozione di “gara ad evidenza pubblica” utilizzata dal legislatore regionale, venendo in rilievo un’ipotesi derogatoria ed eccezionale al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità tipica della procedura aperta, alla quale fa sostanzialmente riferimento la norma regionale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 maggio 2015, n. 2272; C.G.A., 21 gennaio 2015, n. 41; T.A.R. Reggio Calabria, 29 dicembre 2015, n. 1287).

Deve anche rilevarsi, per completezza, che – come evidenziato dal Comune, e non contestato ex adverso – l’ordinanza urgente del Presidente della Regione n. 6/rif. del 30 giugno 2016 ha posto come limite temporale ai Comuni, per l’invio degli atti di gara all’U.R.E.G.A., il 15 luglio 2016, sicché, in ogni caso, l’ente locale non avrebbe potuto inviare all’Ufficio Regionale gli atti relativi alla “procedura ponte”, in quanto il relativo progetto è stato approvato dal Consiglio Comunale con delibera del 10 ottobre 2016.

D’altro canto, osserva il Collegio che – tenuto conto delle ragioni di urgenza evidentemente connesse alla gestione di tale delicato servizio – i tempi dell’Ufficio Regionale difficilmente sarebbero stati compatibili con il prevalente interesse pubblico ad una celere definizione dell’iter, da completare nelle more della definizione della gara ad evidenza pubblica per l’affidamento del servizio per sette anni.

  1. – Per tutto quanto esposto e rilevato, il ricorso, in quanto fondato nei sensi e limiti sopra precisati, deve essere accolto e, per l’effetto, devono essere annullati i verbali di gara nella parte in cui la controinteressata è stata ammessa alla gara, la conseguente aggiudicazione disposta con la determinazione n. 88 del 6 febbraio 2017, nonché la nota nota mail prot. n. 1473 del giorno 11 gennaio 2017, con la quale è stato respinto il reclamo (proposto dalla ricorrente con nota mail del 9 gennaio).

Restano salvi, invece, gli altri atti impugnati (determina dirigenziale n. 421 del 31 dicembre 2016, di nomina della commissione; determinazione dirigenziale n. 948 del 17 ottobre 2016, con la quale è stata indetta la procedura negoziata).

In accoglimento della domanda appositamente formulata, va anche accolta la domanda di conseguire l’aggiudicazione: il Comune intimato, una volta eseguiti i controlli con esito positivo, disporrà l’aggiudicazione in favore della ricorrente, unica concorrente rimasta in gara.

  1. – La parziale novità della questione – in uno alla disposta condanna in fase cautelare, che va confermata – inducono il Collegio a compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla gli atti specificamente indicati nella stessa motivazione.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Solveig Cogliani, Presidente

Nicola Maisano, Consigliere

Maria Cappellano, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 08 MAG. 2017.

 

Avv. Raimondo Nocerino

Raimondo Nocerino, classe 1976, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II nel 2000 con lode, maturando esperienze di studio in Spagna.

Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Diritti dell’Uomo presso l’Ateneo Federiciano nel marzo 2006 e presso la stessa Università, nel2012, il diploma di perfezionamento in “Diritto dell’unione Europea: la tutela dei diritti”.

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T.A.R. Catanzaro, (Calabria), sez. I, 19/12/2016,  n. 2522

Massima

L’operatore economico può essere escluso dalla gara per “gravi illeciti professionali” solo se   l’Amministrazione dimostri con mezzi adeguati che questi si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. E tra tali illeciti rientrano anche le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che ne abbiano causato la risoluzione anticipata, o il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante, o l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 1267 del 2016, proposto da:

Cooperativa Malgrado Tutto,  in  persona  del  legale  rappresentante

p.t.,  rappresentato  e  difeso  dall’avvocato  Luisa  Cimino    C.F.

CMNLSU78E53M208G, domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Segreteria in

Catanzaro, via De Gasperi, 76/B;

contro

U.T.G.  –  Prefettura  di  Catanzaro,  in    persona    del    legale

rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura

Distr.le Catanzaro, domiciliata in Catanzaro, via G.Da Fiore, 34;

nei confronti di

R.G. Multiservice, Euroservice S.r.l. non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

della procedura negoziata in via  d’urgenza  ex  art.  63  d.  lgs.vo

50/2016, per conclusione accordo quadro  affidamento  in  convenzione

servizio accoglienza nella provincia di catanzaro cittadini stranieri

richiedenti    protezione    internazionale    per    il      periodo

1/8/2016-31/10/2016 (prot. agid 20160009120 del 25/10/2016)

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di U.T.G.  –  Prefettura  di

Catanzaro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno  15  dicembre  2016  il

dott. Raffaele Tuccillo  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come

specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

 

FATTO E DIRITTO

Con ricorso la Malgrado Tutto chiedeva di annullare i provvedimenti indicati in ricorso con i quali la stessa era stata esclusa dalla procedura in questione e di accertare il diritto della cooperativa stessa a partecipare alla procedura oggetto di gara.

La ricorrente è stata esclusa dalla gara avente ad oggetto procedura negoziata in via di urgenza per la conclusione di un accordo quadro per l’affidamento in convenzione del servizio di accoglienza nel territorio della provincia di Catanzaro in favore di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. L’esclusione è motivata con riferimento alle contestazioni che hanno comportato la risoluzione di precedente analogo rapporto contrattuale ai sensi dell’art. 80, comma 5, let. c) del d.lgs. n. 50 del 2016.

Il ricorso deve trovare accoglimento.

La citata disposizione prevede che l’esclusione del concorrente è condizionata al fatto che la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione. Nel caso di specie, anche in seguito alla richiesta istruttoria formulata in corso di causa e della produzione documentale da parte della resistente, emerge che non si riscontrino adeguati elementi per ritenere che l’amministrazione abbia dimostrato con mezzi adeguati che l’operatore si è reso colpevole di gravi illeciti professionali tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Gli inadempimenti allegati e relativi a precedente rapporto contrattuale risultano, infatti, essere stati tutti contestati da parte ricorrente e ciò in modo espresso (nel senso della diretta impugnazione delle note adottate dalla Prefettura) o in forma non espressa (le contestazioni di cui alla nota n. 91546 del 5.2.2016 risultano essere oggetto del procedimento civile pendente, cfr. ricorso per riassunzione allegato da parte ricorrente alla memoria del 12.12.2015). Ne discende che l’allegato inadempimento difetta della prova dei caratteri della definitività e della gravità dell’inadempimento. Parte resistente non ha, pertanto, provato con mezzi adeguati che l’operatore si è reso colpevole di gravi illeciti professionali.

La modificazione nel testo normativo rispetto alla precedente formulazione (art. 38, let. f., d.lgs. n. 163/06) implica che l’accertamento in ordine alla esistenza della violazione debba essere effettuato sulla base delle indicazioni contenute nella medesima disposizione ovvero, anche, secondo altre e differenti modalità analiticamente descritte da parte della stazione appaltante. Nel caso di specie, posta la sussistenza di un’analitica contestazione giudiziale dei vari inadempimenti allegati e la mancanza di un’adeguata descrizione di fatti estranei e differenti rispetto a quelli oggetto di contestazione giudiziale, deve ritenersi non integrata l’ipotesi descritta nella fattispecie in esame con il conseguente accoglimento del ricorso.

Si precisa che, ugualmente, la citata disposizione fa riferimento e pertanto richiede la condanna al risarcimento del danno ovvero la condanna ad altre sanzioni che devono analiticamente essere motivate nell’ambito del procedimento applicativo della relativa sanzione. Come precisato nel parere reso dalla commissione speciale del Consiglio di Stato (Linee guida ANAC “indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del codice”) “possono essere considerate come “altre sanzioni”, l’incameramento delle garanzie di esecuzione o l’applicazione di penali, fermo che la sola applicazione di una clausola penale non è di per sé sintomo di grave illecito professionale, specie nel caso di applicazione di penali in misura modesta”. Nel caso di specie, viste le contestazioni giudiziali e l’entità delle penali non contestate, non appaiono adeguatamente provati i presupposti applicativi della citata disposizione.

La domanda di caducazione dell’intera procedura non può invece trovare accoglimento in mancanza di adeguata e specifica descrizione dei motivi di caducazione dell’intera procedura. Allo stesso modo, non può trovare accoglimento la domanda diretta ad accertare il diritto della cooperativa alla stipulazione della convenzione, rientrando nei poteri istruttori e discrezionali della pubblica amministrazione, né la rimozione di altre penalità riguardanti atti o fatti estranei all’odierno giudizio.

In considerazione della parziale soccombenza reciproca nonché della novità della questione di lite, vertendo sull’interpretazione di una disposizione entrata in vigore di recente, devono ritenersi sussistenti eccezionali motivi per compensare le spese di lite tra le parti.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati nei limiti di cui in motivazione.

Compensa le spese di lite

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente

Francesco Tallaro, Referendario

Raffaele Tuccillo, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 19 DIC. 2016.

 

Avv. Raimondo Nocerino

Raimondo Nocerino, classe 1976, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II nel 2000 con lode, maturando esperienze di studio in Spagna.

Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Diritti dell’Uomo presso l’Ateneo Federiciano nel marzo 2006 e presso la stessa Università, nel2012, il diploma di perfezionamento in “Diritto dell’unione Europea: la tutela dei diritti”.

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Tar Marche, Ancona, sez. I, 08/09/2017,  n. 706

Massima

La proroga delle concessioni demaniali marittime, disposta dall’art. 1 comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, si applica anche ai porti e agli approdi turistici, essendo la finalità turistico-ricreativa, in contrapposizione ad altre finalità, l’unica connotazione rilevante ai fini dell’applicazione della norma; del resto tale significato è stato confermato, con portata esplicativa, dall’art. 1 comma 547, l. 24 dicembre 2012, n. 228

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 281 del  2016,  integrato  da motivi aggiunti, proposto da:                                         Nautica Tito Group s.n.c. di Si. e Fr. Si.,  in  persona  del  legale rappresentante p.t., rappresentata e  difesa  dall’avvocato  Riccardo Leonardi, con domicilio eletto  presso  lo  studio  del  medesimo  in Ancona, corso Stamira, 49;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Autorità Portuale  di Ancona e Capitaneria di Porto di Ancona, rappresentati e  difesi  per legge  dall’Avvocatura  Distrettuale  dello  Stato,  domiciliata   in Ancona, piazza Cavour, 29;

nei confronti di

Nautiservice s.r.l.,  in  persona  del  legale  rappresentante  p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio  Mastri,  con  domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Ancona, corso Garibaldi, 124;

per l’annullamento

–  della  comunicazione  dell’Autorità  Portuale  –  PAR  000360  del 9/02/2016  –  concernente  la  domanda  di   concessione    demaniale marittima, con cui l’Autorità portuale di Ancona comunicava  che  non avrebbe avviato la procedura comparativa per la concessione dell’area demaniale ritenendo precettiva e direttamente applicabile la  proroga ex lege di cui all’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012;

–  di  ogni  altro  atto  antecedente,  consequenziale  e,  comunque, connesso;

relativamente ai motivi aggiunti:

– del provvedimento di proroga sino al 31/12/2020  della  concessione n. 24 del 28/9/2012, rilasciata alla  Nautiservice  s.r.l.,  disposto dall’Autorità Portuale in data 6 aprile 2016 e di tutti gli  atti  ad esso preordinati, consequenziali e, comunque, connessi.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Portuale  di Ancona, di Nautiservice s.r.l. e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Capitaneria di Porto di Ancona;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 aprile 2017  la  dott.ssa

Simona De Mattia e uditi per le parti i  difensori  come  specificato

nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

  1. La società ricorrente – che opera nel settore nautico svolgendo attività di rimessaggio, manutenzione, vendita e assistenza delle imbarcazioni sino a metri 25 di lunghezza, attualmente utilizzatrice, per le operazioni di alaggio e varo connesse alla propria attività, di un pontile sito all’interno del porto turistico “Marina Dorica” di Ancona – con l’atto introduttivo del giudizio ha impugnato la nota in epigrafe, con cui l’Autorità portuale ha deciso di non avviare la procedura comparativa per la concessione dell’area demaniale in uso alla Nautiservice s.r.l. (in virtù dell’ultima concessione n. 24 del 28 settembre 2012) – che svolge la medesima attività imprenditoriale della ricorrente – ritenendo precettiva e direttamente applicabile la proroga ex lege di cui all’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012, vigente al momento della scadenza di tale ultima concessione.

A sostegno del gravame lamenta, in sintesi, quanto segue:

– la proroga prevista dal legislatore italiano sarebbe affetta da rilevanti profili di illegittimità per contrasto con il diritto interno e con il diritto comunitario, come peraltro evidenziato da diverse pronunce della giurisprudenza amministrativa (si citano, Consiglio di Stato, 14 agosto 2015, n. 3936; TAR Sardegna, 28 gennaio 2015, n. 224 e TAR Lombardia, 26 settembre 2014, n. 2401), i cui principi vengono richiamati dalla ricorrente a supporto delle proprie ragioni; in particolare, quest’ultima assume che la dilazione concessa ex lege del periodo di vigenza delle concessioni demaniali consente una sostanziale elusione della normativa comunitaria, nello specifico dell’art. 12 della direttiva CE 2006/123, norma che, sebbene sia stata formalmente recepita dall’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, in sostanza viene disapplicata per effetto della disciplina speciale in questione, che, invece, consente una sorta di “diritto di insistenza” sulle concessioni demaniali marittime in essere. La questione, evidenzia la ricorrente, è a tal punto rilevante che la Corte di Giustizia dell’Unione europea è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla compatibilità del regime di proroga previsto dall’art. 1 del decreto legge n. 194 del 2009 con i principi comunitari posti a tutela della concorrenza (l’affare è stato definito nelle more del presente giudizio con sentenza della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016);

– contraddittorietà tra gli atti del procedimento posto in essere dall’Autorità Portuale, dal momento che quest’ultima, dalla data di pubblicazione dell’avviso ex art. 18 del DPR n. 238 del 1952 (avvenuta il 4 dicembre 2015) e sino alla deliberazione n. 5 del 25 gennaio 2016 del Comitato Portuale (con cui si confermava l’intenzione di procedere ad un confronto comparativo per l’affidamento della concessione in parola), non aveva ritenuto che la concessione di cui è titolare la Nautiservice s.r.l. rientrasse nel regime di proroga previsto dal citato art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012, salvo a cambiare improvvisamente orientamento con nota n. 360 del 9 febbraio 2016 (impugnata con l’atto introduttivo del giudizio). Di qui l’eccesso di potere che inficia l’atto impugnato, reso ancor più evidente dal fatto che, nell’ambito della procedura di rinnovo delle concessioni demaniali marittime in scadenza al 31 dicembre 2011, tra le quali rientrava anche quella in favore della Nautiservice s.r.l., nonostante fosse già in vigore l’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009 (che prevedeva la proroga automatica sino a 31 dicembre 2015), l’Autorità portuale non ha applicato detto regime di proroga, ma ha provveduto al rinnovo della concessione;

– illegittimità costituzionale dell’art. 34 duodecies della legge n. 221 del 2012, di conversione in legge del D.L. n. 179 del 2012, e dell’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012, per violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione ai principi del diritto comunitario di cui all’art. 12 della direttiva CE 2006/123; assume la ricorrente che la modifica introdotta dall’art. 34 duodecies citato, nel prevedere la proroga delle concessioni sino al 31 dicembre 2020, sostanzialmente reintroduce la preferenza accordata al concessionario uscente nell’affidamento della concessione, che invece è stata eliminata dall’ordinamento per effetto dell’abrogazione del secondo periodo del secondo comma dell’art. 37 del codice della navigazione. Anche sotto tale profilo, quindi, l’art. 12 della direttiva comunitaria innanzi menzionata è stato violato;

– sulla base delle suesposte argomentazioni, quindi, parte ricorrente chiede: in via pregiudiziale, la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea della questione esposta nel primo motivo e la sospensione del giudizio sino alla relativa decisione; in via preliminare, la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale esposta nell’ultimo motivo di ricorso, sempre previa sospensione del processo; nel merito, l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’atto gravato.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere, l’Autorità portuale di Ancona e la Nautiservice s.r.l., entrambe chiedendo il rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 180 del 2016 il Tribunale ha respinto l’istanza di concessione di misure cautelari.

Con motivi aggiunti la ricorrente ha altresì impugnato il provvedimento di proroga sino al 31 dicembre 2020 della concessione n. 24 del 28 settembre 2012, rilasciata alla Nautiservice s.r.l., disposto dall’Autorità Portuale in data 6 aprile 2016, nonché tutti gli atti ad esso preordinati, consequenziali e connessi, deducendo l’illegittimità della suddetta proroga sia in via propria che in via derivata, per i medesimi vizi che inficiano la comunicazione n. 360 del 9 febbraio 2016, fatta oggetto di impugnazione con l’atto introduttivo del giudizio; essa ha riproposto, a sostegno dei motivi aggiunti, le medesime censure già contenute nel ricorso introduttivo e ha concluso formulando le stesse richieste avanzate con tale ultimo atto.

Rispetto ai motivi aggiunti si è costituito in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Capitaneria di Porto di Ancona, che ha eccepito, in via preliminare, la propria carenza di legittimazione passiva per essere la Capitaneria estranea ai provvedimenti impugnati, e la società Nautiservice s.r.l., che ha invece eccepito, sempre in via preliminare, l’inesistenza della notifica del ricorso a mezzo PEC, modalità non contemplata nel processo amministrativo, e quindi l’inammissibilità del gravame per essere stata tardivamente espletata la notifica a mezzo posta. Nel merito, tutte le parti resistenti hanno chiesto il rigetto dei motivi aggiunti perché infondati.

Alla pubblica udienza del 7 aprile 2017, sulle conclusioni delle parti, la causa è stata posta in decisione.

  1. Reputa il Collegio di poter trattare congiuntamente sia il ricorso introduttivo che i motivi aggiunti data l’identità delle censure proposte.
  2. 1. Preliminarmente, occorre affrontare la questione, sollevata dalla controinteressata, dell’ammissibilità, nel processo amministrativo, della notifica del ricorso a mezzo PEC, anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 14 del DPCM n. 40 del 2016.

Detta questione è stata di recente rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr., Cons. Stato, sez. III, ordinanza n. 1322 del 23 marzo 2017), atteso che in giurisprudenza si registrano, allo stato due orientamenti: quello, attualmente minoritario, secondo cui, in assenza di apposita autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, c.p.a., è inammissibile la notifica del ricorso giurisdizionale mediante posta elettronica certificata ai sensi della legge 21 gennaio 1994, nr. 53 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 2017, n. 130 e n. 156; 13 dicembre 2016, n. 5226; sez. III, 20 gennaio 2016, n. 189); l’altro, al momento prevalente, che riconosce l’immediata applicazione nel processo amministrativo delle norme di cui agli artt. 1 e 3-bis della legge n. 53 del 1994, in base alle quali la notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale può essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 2016, n. 4895; sez. V, 4 novembre 2016, n. 4631; sez. VI, 26 ottobre 2016, n. 4490).

Come è noto, questo Tribunale ha ormai da tempo aderito a tale ultimo orientamento – che peraltro è quello a cui mostra di aderire anche la citata ordinanza di rimessione – ammettendo la notifica a mezzo PEC nel processo amministrativo come modalità alternativamente consentita in luogo di quelle tradizionali, sicché l’eccezione proposta dalla Nautiservice s.r.l., volta a far valere la nullità della notificazione dei motivi aggiunti e quindi l’irricevibilità degli stessi per tardività con riferimento alla notifica effettuata a mezzo posta, deve essere respinta.

  1. 2. Sempre in via preliminare, va preso atto della tardività della costituzione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Capitaneria di Porto di Ancona, avvenuta solo in data 3 aprile 2017. Il Collegio, pertanto, non terrà conto, ai fini della presente trattazione, delle deduzioni difensive contenute nella relativa memoria (pacificamente ammissibili, in caso di costituzione tardiva, solo nei limiti in cui si siano tradotte in una difesa orale).

Giova tuttavia evidenziare che l’eccezione della resistente Amministrazione in merito alla carenza di legittimazione passiva in capo alla Capitaneria di Porto di Ancona è rilevabile anche d’ufficio, sicché la tardività della memoria con cui essa è stata sollevata non ne impedisce la trattazione da parte del Tribunale (Cons. Stato, sez. V, 31 agosto 2015, n. 4043).

Ciò posto, si osserva che, poiché i gravami concernono l’impugnazione di atti non provenienti dalla Capitaneria di Porto di Ancona, quest’ultima deve essere estromessa dal giudizio.

III. Passando, quindi, all’esame del merito, occorrono innanzitutto talune precisazioni.

La questione oggetto della controversia verte sull’applicabilità dell’art. 1 del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, nel testo modificato dal comma 1 dell’art. 34-duodecies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e, successivamente, dal comma 547 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante disposizioni in materia di proroga ope legis fino al 31 dicembre 2020, di alcune tipologie di rapporti concessori afferenti a beni demaniali marittimi.

In particolare, il citato art. 34-duodecies ha posticipato al 31 dicembre 2020 il termine per la proroga previsto dall’art. 1, comma 18, del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, per le concessioni aventi finalità turistico-ricreativo e per quelle destinate alla nautica da diporto (art. 2, comma 1, del D.P.R. 2 dicembre 1997, n. 509), di cui all’art. 3, comma 8 lett. b) del D.L. n. 70 del 13 maggio 2011, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106. Il comma 547 dell’art. 1 della citata legge n. 228 del 2012, poi, ha apportato ulteriori modifiche al testo dell’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009 sopra menzionato, estendendo la proroga anche alle concessioni con finalità sportive, nonché a quelle destinate a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto.

III. 1. Tanto premesso, occorre sin da subito evidenziare che i provvedimenti impugnati non possono dirsi illegittimi rispetto al diritto interno, atteso che l’Autorità portuale di Ancona ha operato in attuazione delle suddette disposizioni, applicabili ratione temporis e dalla portata immediatamente precettiva per l’Amministrazione.

Giova richiamare, in proposito, quanto statuito dal Consiglio di Stato proprio nella sentenza della VI sezione del 14 agosto 2015, n. 3936, con cui è stata disposta, sulla scia di quanto deciso dal TAR Lombardia con la pronuncia del 26 settembre 2014, n. 2401 (entrambe citate dalla ricorrente), la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della seguente questione pregiudiziale: “Se i principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56, e 106 del TFUE, nonché il canone di ragionevolezza in essi racchiuso, ostano ad una normativa nazionale che, per effetto di successivi interventi legislativi, determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale di rilevanza economica, la cui durata viene incrementata per legge per almeno undici anni, così conservando in via esclusiva il diritto allo sfruttamento a fini economici del bene in capo al medesimo concessionario, nonostante l’intervenuta scadenza del termine di efficacia previsto dalla concessione già rilasciatagli, con conseguente preclusione per gli operatori economici interessati di ogni possibilità di ottenere l’assegnazione del bene all’esito di procedure ad evidenza pubblica”.

Afferma il Consiglio di Stato nella pronuncia testé richiamata che l’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009, nel disporre la proroga ex lege delle concessioni demaniali in essere, si applica a tutte le concessioni con finalità turistico-ricreative senza distinzioni (il legislatore ha infatti inteso distinguere queste ultime rispetto a quelle con altre finalità, ad esempio mercantili o industriali), quindi ricomprendendo anche quelle relative ai porti e gli approdi turistici; in altri termini, la citata disposizione, interpretabile alla luce dell’art. 2, del DP.R. 2 dicembre 1997 n. 509, include anche le più ampie strutture nell’ambito di quelle dedicate alla nautica da diporto. “Tale significato, già immanente nel testo della norma che dispone la proroga, è stato enucleato, con portata esaustivamente esplicativa, dall’art. 1, comma 547, legge 24 dicembre 2012 n. 228, il quale aggiunge all’art. 1, comma 18, dopo le parole: ” turistico-ricreative”, le seguenti: ” e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto”, con ciò rendendo palese che il comune denominatore dell’essere attinenti alle medesime finalità pareggia tali strutture nel regime di proroga” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 3936 del 2015, cit.; negli stessi termini, 18 aprile 2013, n. 2151, secondo cui “la proroga delle concessioni demaniali marittime disposta dall’art. 1, comma 18, d.l. 194/2009, si applica anche ai porti e agli approdi turistici, essendo la finalità turistico-ricreativa, in contrapposizione ad altre finalità, l’unica connotazione rilevante ai fini dell’applicazione della norma. Del resto, tale significato è stato confermato, con portata esplicativa, dall’art. 1, comma 547, l. 24 dicembre 2012 n. 228”).

Pertanto, stante la vigenza dell’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012 al momento di scadenza della concessione in parola, non può dubitarsi che il regime di proroga di cui si discute sia applicabile anche al caso in esame.

III. 2. Il fatto, poi, che l’Autorità portuale abbia, in un primo momento, previsto un confronto competitivo per l’affidamento della concessione di che trattasi, avendo anche proceduto alla pubblicazione dell’avviso di cui all’art. 18 del DPR n. 238 del 1952, non è elemento sufficiente a giudicare contraddittorio il successivo operato dell’Amministrazione, sia perché è evidente che l’inserimento di detta concessione nell’elenco di quelle aperte ad una possibile selezione è stato il frutto di un errore di valutazione in ordine alla disciplina concretamente applicabile, al quale l’Autorità portuale si è fatta immediatamente e correttamente carico di rimediare (ed invero la procedura comparativa non è stata mai avviata), sia perché l’esiguo tempo trascorso dall’emanazione del predetto avviso all’adozione della nota del 9 febbraio 2017 qui gravata non ha consentito neppure la maturazione di un affidamento tutelabile in capo alla ricorrente.

Né alcun eccesso di potere per contraddittorietà dell’azione amministrativa può essere rinvenuto per il fatto che, nell’ambito della procedura di rinnovo delle concessioni demaniali marittime in scadenza al 31 dicembre 2011, tra le quali rientrava anche quella in favore della Nautiservice, nonostante fosse già in vigore l’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009 (che prevedeva la proroga automatica sino a 31 dicembre 2015), l’Autorità portuale non ha applicato detto regime di proroga.

Ciò in quanto la proroga di cui all’art. 1, comma 18 del D.L. n. 194 del 2009, allora applicabile ratione temporis, non si riferiva specificamente anche alle concessioni aventi ad oggetto beni destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio destinati alla nautica da diporto; tale estensione è avvenuta solo successivamente, ad opera dell’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012. Ed invero, come recentemente chiarito dal Consiglio di Stato nella pronuncia della sezione VI, 10 aprile 2017, n. 1658 (che, ancorché pubblicata dopo il passaggio in decisione della presente controversia, contiene dei principi che possono essere richiamati ad ulteriore conferma del convincimento di questo giudice) e ad un più maturo esame rispetto ai precedenti della medesima sezione, “…la disposizione di cui all’articolo 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012 non si qualifica in termini di interpretazione autentica dell’articolo 1, comma 18 del decreto legge n. 194 del 2009, né contiene espressioni verbali da cui si possa desumere una sua portata retroattiva. Essa, del resto, non è stata redatta nel senso che nelle concessioni di beni con finalità turistico-ricreative vanno ricomprese anche quelle di beni destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio destinati alla nautica da diporto. L’art. 1, comma 547, ha operato aggiunte ed integrazioni all’originario testo dell’art. 1, comma 18, del decreto legge n. 194 del 2009, lasciando inalterata la originaria categoria prevista (delle concessioni di beni con finalità turistico-ricreative) ed ha aggiunto una distinta categoria, che mantiene una sua autonomia, con valenza innovativa”.

III. 3. Ciò posto, ferma l’assenza di contrasto dei provvedimenti impugnati con il diritto nazionale, la questione in esame va affrontata nella prospettiva di un possibile contrasto delle norme interne applicate con il diritto comunitario, anche tenendo conto dei principi affermati in materia nelle diverse pronunce dei giudici italiani ed europei.

Reputa il Collegio che, a tal fine, occorre prendere le mosse dalla già citata sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. V, n. 458 del 14 luglio 2016, intervenuta nelle more del presente giudizio (affari C-458/14 e C-67/15), senza, peraltro, ignorare che, successivamente alla pubblicazione di quest’ultima, il Governo italiano ha approvato il D.L. 24 giugno 2016 n. 113, convertito in legge 7 agosto 2016 n. 160, il cui art. 24, comma 3 septies, recita testualmente: “Nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25”.

I principi enunciati nella citata pronuncia dei giudici europei possono essere sintetizzati come segue:

– L’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, recepito dall’art. 16 del D.L. n. 59 del 2010, dispone quanto segue:

“1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.

  1. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.
  2. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto [dell’Unione]”; la norma riguarda il caso specifico in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili;

– spetta al giudice nazionale verificare, in concreto, ai fini dell’applicabilità dell’art. 12 citato, se le concessioni demaniali marittime e lacuali rilasciate dalle autorità pubbliche – che mirano allo sfruttamento di un’area demaniale a fini turistico-ricreativi – debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali e che non si tratti di concessioni di servizi pubblici che possano, invece, rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/23/CE;

– nell’ipotesi in cui le concessioni in questione rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, non si può prescindere da una procedura di selezione tra i candidati potenziali che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza, in particolare un’adeguata pubblicità;

– conseguentemente, “l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati”;

– inoltre, precisa la sentenza in esame che le concessioni che riguardano un diritto di stabilimento nell’area demaniale finalizzato a uno sfruttamento economico per fini turistico-ricreativi, rientrano, per loro stessa natura, nell’ambito di applicazione dell’articolo 49 del TFUE;

– pertanto, qualora siffatte concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo, la loro assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione concedente costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione; tale disparità di trattamento è, in linea di principio, vietata dall’articolo 49 del TFUE;

– l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo deve essere valutato sulla base di criteri rilevanti, quali l’importanza economica dell’attività, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche;

– le proroghe attuate dalla normativa italiana che mirano a consentire ai concessionari di ammortizzare i loro investimenti, in quanto determinano una disparità di trattamento, possono essere giustificate solo da motivi imperativi di interesse generale, in particolare dalla necessità di rispettare il principio della certezza del diritto (ad esempio, nel caso di una concessione risalente nel tempo, quando non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza, la sua risoluzione potrebbe necessitare di un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico);

– ne consegue, che l’articolo 49 del TFUE “deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo”.

III. 4. Orbene, alla luce dei suesposti principi, è possibile affermare che la concessione in questione (volta ad ottenere uno scalo a mare per le operazioni di alaggio e varo di imbarcazioni) non presenta un interesse transfrontaliero certo, avuto riguardo al tipo di attività, che è strumentale rispetto all’attività principale di vendita, manutenzione, assistenza e rimessaggio di natanti da diporto, svolta in zona necessariamente limitrofa all’area demaniale oggetto di concessione da soggetti che già stabilmente operano nell’ambito territoriale considerato; pertanto, in ragione della specificità delle operazioni di alaggio e varo di imbarcazioni e quindi delle finalità della concessione demaniale in parola, non può dubitarsi del fatto che l’interesse a conseguirla riguardi le sole imprese stabilite nel delimitato ambito territoriale considerato (che è appunto quello limitrofo al porto turistico di Ancona), essendo inverosimile – non fosse altro per i costi che si andrebbero a sostenere, ma anche per la difficile praticabilità di una siffatta soluzione – che operatori del settore i quali esercitano dette attività di vendita, manutenzione, assistenza e rimessaggio di natanti da diporto in altre zone o addirittura fuori dai confini italiani, siano interessati ad effettuare le operazioni di alaggio e varo delle predette imbarcazioni nel porto del capoluogo Marchigiano.

Infondata è quindi la questione pregiudiziale sollevata dalla ricorrente nel primo motivo del ricorso introduttivo e riproposta nei motivi aggiunti, volta a far valere il contrasto con il diritto comunitario dell’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009, come successivamente integrato e modificato, nei termini innanzi precisati.

III. 5. A ciò va aggiunto che, proprio sulla base di quanto affermato dalla stessa Corte di Giustizia nella richiamata sentenza del 17 luglio 2016, secondo cui le proroghe attuate dallo Stato italiano possono essere eccezionalmente giustificate in ragione di motivi imperativi di interesse generale quali, in particolare, la necessità di tutelare il legittimo affidamento dei titolari delle autorizzazioni, al fine di permettere loro di poter ammortizzare gli investimenti effettuati, il legislatore nazionale è intervenuto a disciplinare la materia in conformità a tali principi; pertanto, in sede di conversione in legge del D.L. n. 113 del 2016, recante “Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio”, è stato introdotto, all’art. 24, il comma 3-septies innanzi citato, che praticamente conserva la validità ex lege dei rapporti concessori già instaurati e pendenti in base all’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009 e ss.mm.ii., ovvero con validità sino al 31 dicembre 2020, “nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea, per garantire la certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità”.

Per tali ragioni non si ravvisano i profili di contrasto con il diritto europeo evidenziati dalla ricorrente, neppure con riferimento all’art. 24, comma 3 septies, del D.L. n. 113 del 2016; in particolare, in merito alla mancata introduzione di un termine certo entro il quale il legislatore dovrebbe provvedere al riordino della materia in conformità ai principi comunitari, si osserva che tale indeterminatezza di fatto non sussiste, atteso che il periodo transitorio coinciderà, al massimo, con il periodo di validità delle concessioni in essere, fissato, ex lege, al 31 dicembre 2020.

Peraltro, tali procedure di revisione e di riordino normativo risultano essere già in atto, atteso che è in corso l’esame del disegno di legge contenente la delega al Governo per l’attuazione della riforma in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo, con l’indicazione dei principi e dei criteri direttivi, nel rispetto della normativa europea (come risulta dal sito ufficiale della Camera dei Deputati www.camera.it).

III. 6. In subordine, vanno esaminate le seguenti questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla ricorrente con riferimento:

1) all’art. 34 duodecies della legge n. 221 del 2012, di conversione in legge del D.L. n. 179 del 2012, e all’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012, per violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione ai principi del diritto comunitario di cui all’art. 12 della direttiva CE 2006/123, atteso che tali disposizioni di fatto reintrodurrebbero la preferenza accordata al concessionario uscente a parità di condizioni nell’affidamento della concessione;

2) dell’art. 24, comma 3 septies, del D.L. n. 113 del 2016, per violazione dell’art. 11 e 117 della Costituzione in relazione ai principi del diritto comunitario di cui all’art. 6 CEDU e all’art. 12 della direttiva CE 2006/123.

Partendo da quest’ultima, essa è innanzitutto inammissibile, atteso che è stata formulata in via apodittica e generica, non essendo state in alcun modo indicate le ragioni dell’asserito contrasto.

Comunque, a voler ritenere che dette ragioni siano le medesime già esposte dalla ricorrente per sostenere l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 duodecies della legge n. 221 del 2012 e dell’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012, il Collegio osserva che entrambe le questioni sub 1) e sub 2) sono infondate e vanno respinte.

Ed invero, la proroga ovvero il mantenimento delle concessioni in essere sino a una certa data – peraltro giustificati, come sopra evidenziato, da motivi imperativi di interesse generale – avendo un’efficacia limitata nel tempo, non equivalgono, come sostenuto dalla ricorrente, alla reintroduzione, di fatto, della previsione in passato contenuta nell’art. 37 del codice della navigazione e ora espunta dall’ordinamento, in base alla quale si accordava un diritto di preferenza a favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo, consentendogli in tal modo di occupare il bene demaniale senza soluzione di continuità. La proroga in questione, infatti, è consentita in virtù di una previsione eccezionale e transitoria, che non disciplinando, con efficacia durevole, il rinnovo automatico e periodico delle concessioni alla loro scadenza, non ha l’effetto sostanziale di autorizzare il concessionario all’occupazione sine die del bene oggetto della concessione, analogamente a quanto accadeva in attuazione del diritto di preferenza di cui all’art. 37 citato.

III. 7. Per tutte le suesposte considerazioni, il ricorso è infondato e va respinto.

  1. La novità e la complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del giudizio tra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Dichiara la carenza di legittimazione passiva del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Capitaneria di Porto di Ancona e, per l’effetto, dispone la sua estromissione dal giudizio.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Maddalena Filippi, Presidente

Tommaso Capitanio, Consigliere

Simona De Mattia, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 08 SET. 2017.

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 28/07/2017,  n. 1329

Massima

A seguito della richiesta di un privato di rilascio di una concessione demaniale marittima, l’Amministrazione ha due possibilità: respingere la richiesta con un provvedimento debitamente motivato; oppure, ove intenda e possa pervenire alla concessione, indire una procedura selettiva nel rispetto dei principi di parità di trattamento, concorrenza, buon andamento ed efficienza. Per il rilascio di una nuova concessione demaniale marittima è infatti necessario il ricorso a procedure ad evidenza pubblica, in quanto tali concessioni hanno come oggetto un bene/servizio “limitato” nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali. La spiaggia è un bene pubblico demaniale (art. 822 c.c.) e perciò inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritto a favore di terzi (art. 823 c.c.), sicché proprio la limitatezza nel numero e nell’estensione, oltre che la natura prettamente economica della gestione (fonte di indiscussi guadagni), giustifica il ricorso a procedure comparative per l’assegnazione .

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce – Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 281 del  2016,  integrato  da motivi aggiunti, proposto da:                                      Nautica Tito Group s.n.c. di Si. e Fr. Si.,  in  persona  del  legale rappresentante p.t., rappresentata e  difesa  dall’avvocato  Riccardo Leonardi, con domicilio eletto  presso  lo  studio  del  medesimo  in Ancona, corso Stamira, 49; ul ricorso numero di registro generale 403 del 2017, proposto da:

Buenavida  S.r.l.,  in  persona  del  legale  rappresentante    p.t., rappresentata  e  difesa  dall’avvocato  Daniela  Anna  Ponzo,    con domicilio eletto presso il suo  studio  in  Lecce,  via  Michelangelo Schipa 35;

contro

Comune  di  Nardò,  in  persona  del  legale  rappresentante    p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato  Paolo  Gaballo,  con  domicilio eletto presso lo studio Paolo Avv. Gaballo in Lecce, via  Rubichi  23 Presso Tar;

per l’esatta esecuzione-ottemperanza

– della Sentenza del T.A.R. Puglia -Sede di Lecce, Sezione Prima,  n. 724, pubblicata mediante deposito in Segreteria  in  data  04  maggio 2016, resa sul Ricorso R.G. n. 3192/2015, non appellata e,  comunque, notificata al Comune di Nardò, munita di formula  esecutiva  (apposta in data 06.12.2016) , il successivo 15.12.2016;

nonché per la declaratoria della nullità

della Nota racc.ta a.r.  del Comune di Nardò, prot. n. 38442/14 -22336/16, in data 19.05.2016  (di seguito: nota Comune di Nardò in data 19.05.2016) e  della  Nota  pec del Comune di  Nardò,  prot.  n.  0008636,  in  data  28.02.2017  (di seguito: nota Comune di Nardò in data 28.02.2017).

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Nardò;

Viste le memorie difensive;

Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio  del  giorno  21  giugno  2017  la dott.ssa Patrizia Moro e uditi per  le  parti  i  difensori  come  da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La società ricorrente espone quanto segue:

– in data 17.10.2014 presentava domanda per il rilascio di una concessione demaniale finalizzata a realizzare uno stabilimento balneare nel Comune di Nardò;

– stante il silenzio opposto dall’A.C. sull’istanza adiva il Tar di Lecce al fine di sentir dichiarare l’illegittimità del silenzio e la condanna del Comune all’adozione di un provvedimento espresso;

– con sentenza n. 724/2016 questo Tribunale dichiarava l’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza;

– con nota del 19.5.2016 il Dirigente comunale, preso atto della citata sentenza, invitava la ricorrente a partecipare alla selezione per il rilascio della concessione demaniale marittima messa a bando sul lotto di mq2209 n. 31 del PCC./2016

– Buonavida, nella convinzione che la sua istanza di concessione non potesse ritenersi esitata con un invito a partecipare a un bando pubblico, sollecitava nuovamente il Comune a concludere il procedimento anche in esecuzione della sentenza del TAR 724/2016;

– il dirigente dell’Area Funzionale 1^ del Comune di Nardò, comunicava che il Comune “non può e non intende annullare in autotutela il bando già pubblicato…ciò in quanto, con il provvedimento nota di protocollo del 19.5.2016 ha già riscontrato l’istanza di rilascio della richiesta di concessione demaniale pervenuta in data 17.0.2014…”.

A seguito di ciò la ricorrente, ritenendo non sussumibili nell’accezione di provvedimento amministrativo e, quindi, di esatta esecuzione ottemperanza della sentenza n. 724/2016, né la nota del Comune di Nardò del 19.5.2016, né quella del 28.2.2017, con il ricorso all’esame ha richiesto l’esatta esecuzione della sentenza citata rilevando l’illegittimità delle note suindicate.

Questi i motivi a sostegno del ricorso:

Nullità delle note del Comune di Nardò, prot. 38442/14-22336/2016 del 19.5.2016 e prot. 0008636 del 28.2.2017, ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui all’art. 21 septies della L. 241/1990 e s.m.i. – violazione ed elusione del giudicato e, comunque, inesatta esecuzione della Sentenza del TAR Puglia-Lecce n. 724/2016 – violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui al combinato disposto degli artt. 2 e 3 della L. 241/1990 e s.m.i. sotto i profili di seguito specificati- violazione dei principi di cui all’art. 97 Cost – eccesso di potere per sviamento della causa tipica attributiva del potere concessorio – eccesso di potere per evidente disparità di trattamento, difetto/omessa istruttoria, ingiustizia manifesta e malgoverno .

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Il Collegio ritiene che il Comune di Nardò, adottando il provvedimento del 19.5.2016 di invito della ricorrente a partecipare alla selezione per il rilascio della concessione demaniale marittima messa a bando sul lotto di mq2209 n. 31 del PCC./2016, abbia pienamente ottemperato all’obbligo scaturente dalla sentenza n. 724/206, la quale aveva sancito il mero obbligo della stessa di provvedere sull’istanza di rilascio di concessione demaniale marittima con un provvedimento espresso, sia esso di accoglimento, sia di rigetto.

Deve infatti chiarirsi che, a seguito della richiesta di un privato di rilascio di una concessione demaniale marittima, l’Amministrazione abbia due possibilità: ossia, respingere la richiesta con un provvedimento debitamente motivato( esplicitando ad es. le eventuali ragioni impeditive stabilite nel PCC o, in mancanza, nel PRC, o le ragioni di interesse pubblico); oppure, ove intenda e possa pervenire alla concessione, indire una procedura selettiva nel rispetto dei principi di parità di trattamento, concorrenza, buon andamento ed efficienza.

Invero, come ricordato di recente dalla Corte Costituzionale (nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 8 e 9, della legge della Regione Puglia 10 aprile 2015, n. 17 (Disciplina della tutela e dell’uso della costa) con la sentenza del gennaio 2017, n. 40, ( dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 14:a) comma 8, secondo periodo, e b) comma 9, della legge della Regione Puglia 10 aprile 2015, n. 17 ) “per il rilascio di nuove concessioni (in tal senso anche Consiglio di Stato, sezione sesta, 28 gennaio 2014, n. 432, con riferimento alla variazione del titolo concessorio), legittimamente la legge reg. Puglia n. 17 del 2015 prescrive, correttamente, il ricorso a procedure di evidenza pubblica” (non previste, invece, dal comma 9 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015, che stabiliva che “il PCC , nelle disposizioni transitorie volte a disciplinare le modalità di adeguamento dello stato dei luoghi antecedenti alla pianificazione, salvaguarda le concessioni in essere fino alla scadenza del termine della proroga di cui all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, salve le esigenze di sicurezza”. ).

“Il mancato ricorso a procedure di selezione aperta, pubblica e trasparente tra gli operatori economici interessati determina, infatti, un ostacolo all’ingresso di nuovi soggetti nel mercato, non solo risultando invasa la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ma conseguendone altresì il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., per lesione dei principi di derivazione europea nella medesima materia (sentenze n. 171 del 2013, n. 213 del 2011, n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010)”.

Peraltro, la Corte di Giustizia ( sent. 14 luglio 2016) ha dichiarato l’illegittimità della proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per finalità turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura trasparente di selezione tra i potenziali candidati, qualora queste presentino un interesse transfrontaliero certo.

Del resto, le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative hanno come oggetto un bene/servizio “limitato” nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali. La spiaggia è un bene pubblico demaniale (art. 822 cc) e perciò inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritto a favore di terzi (art. 823 c.c.), sicché proprio la limitatezza nel numero e nell’estensione, oltre che la natura prettamente economica della gestione (fonte di indiscussi guadagni), giustifica il ricorso a procedure comparative per l’assegnazione.

Osserva il Collegio che le concessioni demaniali marittime sono concessioni amministrative aventi ad oggetto l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni facenti parte del demanio necessario dello Stato (art. 822, comma 1, c.c.) e il rilascio delle stesse è disciplinato dal Codice della Navigazione che, all’art. 37, prevede che nel caso di più domande di concessione sia preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che risponda ad un più rilevante interesse pubblico e, a tal fine, l’art. 18 del Regolamento di esecuzione al Codice della Navigazione prevede un iter procedimentale finalizzato alla pubblicazione delle istanze di rilascio di concessione.

Quanto previsto dal Codice della navigazione è confortato dai principi Europei la cui attuazione si ritiene non possa prescindere dall’assoggettamento delle pubbliche Amministrazioni all’obbligo di esperire procedure ad evidenza pubblica ai fini della individuazione del soggetto contraente anche in materia di concessioni di beni pubblici.

Applicando tali principi è quindi da escludere che l’A.C., dinanzi a una richiesta di concessione demaniale marittima, possa rilasciarla, anche ove possibile in base alle disposizioni del PRC o del PCC(ove approvato), senza indire una procedura selettiva.

Da tanto discende, che l’unico provvedimento favorevole che poteva adottare l’a.C., a seguito della citata sentenza n. 724/2016 era quello dell’invito della ricorrente alla partecipazione a una procedura selettiva

Non può neppure sostenersi che l’istanza della ricorrente, in quanto presentata prima dell’entrata in vigore della L.R. 17/2015 (la quale all’art. 8 prescrive che “La concessione è rilasciata all’esito di selezione del beneficiario effettuata attraverso procedura a evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, proporzionalità, efficienza e parità di trattamento, nonché della libera concorrenza) non richiedesse alcuna valutazione comparativa o procedura selettiva.

Invero, secondo i principi espressi dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (dalla sentenza n. 11 del 2016), pronunciatasi proprio sulla questione dell’applicabilità della normativa sopravvenuta alle ipotesi di riesercizio del potere amministrativo dopo la formazione di un giudicato favorevole al ricorrente, occorre innanzitutto interpretare il contenuto dispositivo della pronuncia passata in giudicato da ottemperare, al fine di verificare se in esso sia stata sancita espressamente la spettanza del bene della vita (ipotesi nella quale le nuove norme non possono incidere pregiudicando la pretesa sostanziale dell’interessato già riconosciuta come spettante dal Giudice Amministrativo), ovvero se a seguito del giudicato il potere dell’Amministrazione di esprimersi sulla fondatezza sostanziale della pretesa sia rimasto inalterato, essendosi il Giudice Amministrativo limitato ad affermare l’obbligo per l’Ente di esercitare nuovamente il potere, senza invece vagliare la fondatezza della domanda sostanziale (e quindi il diritto al bene della vita) articolata dal privato (caso quest’ultimo, invece, nel quale la normativa sopravvenuta va applicata, anche laddove da ciò derivi il necessario respingimento della domanda articolata dal ricorrente, sulla base della nuova legge applicabile).

Nel caso in esame la sentenza n. 724/2016 ha semplicemente dichiarato l’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza con qualsiasi provvedimento, senza pronunciarsi sulla spettanza del bene della vita, sicché bene ha fatto il Comune ad applicare la normativa portata dal citato art. 8 della LR. 17/2015, in vigore al momento dell’istruttoria e dell’adozione del provvedimento citato, rispettando quindi perfettamente il principio del tempus regit (regolatore dell’adozione dei provvedimenti amministrativi).

Non può neppure sostenersi la illegittimità della seconda nota del 28.2.2017 con la quale il Comune di Nardò ha rilevato di non poter annullare in autotutela in bando già pubblicato.

Come chiarito, giusta provvedimento 19.5.2016, lo stesso aveva già prestato ottemperanza alla sentenza n. 724/201 e, comunque, per consolidata giurisprudenza, dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, la pubblica amministrazione non ha l’obbligo giuridico di pronunciarsi su un’istanza diretta a sollecitare l’esercizio del potere di autotutela, che costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui essa è titolare per la tutela dell’interesse pubblico e che, in quanto tale, è incoercibile dall’esterno (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 4 maggio 2015, n. 2237; id., Sez. IV, 26 agosto 2013, n. 4309).

In particolare, la giurisprudenza è costante nell’affermare che “non è ravvisabile alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile ab extra l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità di atti amministrativi mediante l’istituto del silenzio-rifiuto, costituendo l’esercizio del potere di autotutela facoltà ampiamente discrezionale dell’Amministrazione, che non ha alcun dovere giuridico di esercitarla, con la conseguenza che essa non ha alcun obbligo di provvedere su istanze che ne sollecitino l’esercizio; per cui sulle stesse non si forma il silenzio e la relativa azione, volta a dichiararne l’illegittimità, è da ritenersi inammissibile” (T.A.R. Lazio, Sez. I ter, 18 luglio 2016, n. 9563).

Stante quanto sopra, i provvedimenti impugnati sfuggono alle censure rassegnate nel ricorso il quale deve quindi essere respinto.

Sussistono nondimeno giustificati motivi (in ragione della peculiarità e novità della questione) per disporre la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, respinge il ricorso.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonio Pasca, Presidente

Patrizia Moro, Consigliere, Estensore

Roberto Michele Palmieri, Primo Referendario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 28 LUG. 2017.

 

Avv. Alessandro Barbieri

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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Consiglio di Stato, sez. V, 27/04/2017,  n. 1955

Massima

L’art. 80, comma 5, lett. c), d.lg. 18 aprile 2016 n. 50, consente alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti da una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la loro integrità o affidabilità, in tali ipotesi rientrando, tra l’altro, significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione, che ne hanno causato la risoluzione anticipata, che siano alternativamente non contestate in giudizio dall’appaltatore privato o confermate all’esito di un giudizio.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 326 del 2017, proposto da:

A.S.V.  –  Azienda  Servizi  Vari  s.p.a.,  in  persona  del   legale

rappresentante pro  tempore,  rappresentata  e  difesa  dall’avvocato

Angelo Giuseppe Orofino, con  domicilio  eletto  ex  art.  25,  comma

1-ter,    cod.    proc.    amm.    presso    l’indirizzo       p.e.c.

agorofinolegalmail.it;

contro

Tra.De.Co. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro  tempore,

rappresentata e difesa dall’avvocato  Aldo  Loiodice,  con  domicilio

eletto presso il suo studio, in Roma, via Ombrone 12/b;

nei confronti di

Stazione unica appaltante presso la Provincia di Brindisi, in persona

del presidente e legale rappresentante pro tempore,  rappresentata  e

difesa dall’avvocato Mario Marino  Guadalupi,  con  domicilio  eletto

presso la segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo  di

Ferro 13;

Comune di Mesagne, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA  DI  LECCE,  SEZIONE

III, n. 1935/2016, resa tra le parti, concernente un provvedimento di

esclusione dalla procedura di gara  per  l’affidamento  del  servizio

integrato di igiene urbana, raccolta,  trasporto  e  smaltimento  dei

rifiuti solidi urbani ed assimilabili, e del servizio di  spazzamento

nel territorio del Comune di Mesagne;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, cod. proc. amm.;

Visti gli atti di costituzione in giudizio  della  Tra.De.Co.  s.r.l.

della Stazione unica appaltante presso la Provincia di Brindisi;

Vista l’ordinanza istruttoria della Sezione n. 948 del 6 marzo 2017;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di  consiglio  del  giorno  16  marzo  2017  il

consigliere Fabio Franconiero e  uditi  per  le  parti  gli  avvocati

Isabella Loiodice, su delega  di  Aldo  Loiodice,  Luigi  Quinto,  su

delega di Guadalupi, e Alberto Maria Durante, su delega di Orofino;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

  1. Con ricorso ex art. 120, commi 2-bise 6-bis, cod. proc. amm. al Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sezione staccata di Lecce la Tra.De.Co. s.r.l. impugnava il provvedimento con la quale era stata esclusa dalla Stazione unica appaltante presso la Provincia di Brindisi dalla procedura negoziata d’urgenza senza bando ex art. 63, comma 2, lett. c), del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) per l’affidamento del servizio integrato di igiene urbana, raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilabili, e del servizio di spazzamento nel territorio del Comune di Mesagne (provvedimento di esclusione adottato dalla Stazione unica appaltante resistente il 24 agosto 2016).

Il provvedimento era stato adottato sul presupposto di “gravi illeciti professionali” ex art. 80, comma 5, lett. c), del nuovo codice dei contratti pubblici, commessi dalla Tra.De.Co. in un precedente contratto con altra pubblica amministrazione (Comune di Montesilvano).

  1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito accoglieva il ricorso.

Il giudice di primo grado statuiva che la citata disposizione del codice dei contratti pubblici richiede che l’illecito professionale risulti, tra l’altro, confermato “all’esito di un giudizio“, mentre nel caso di specie la Tra.De.Co. “ha giurisdizionalmente contestato dinanzi al Tribunale Civile – Sezione Imprese di L’Aquila la risoluzione contrattuale” pronunciata nel precedente contratto e “tale giudizio civile è tutt’ora pendente (essendo solo stata rigettata l’istanza cautelare incidentalmente avanzata dalla Società attrice) “. Con la stessa pronuncia il giudice di primo grado ha consequenzialmente annullato l’aggiudicazione provvisoria adottata in data 15 settembre 2016 (recte: proposta di aggiudicazione) disposta a favore della controinteressata A.s.v. Azienda Servizi Vari s.p.a., parimenti impugnata dalla Tra.De.Co.

  1. La A.s.v., poi dichiarata aggiudicataria definitiva (con determinazione n. 920 del 15 dicembre 2016) ha quindi proposto appello, nel quale ha formulato istanza di sospensione della pronuncia di primo grado ai sensi dell’art. 98 del codice del processo amministrativo.
  2. Si sono costituiti rispettivamente in resistenza ed adesione all’appello la Tra.De.Co. e la Stazione appaltante unica presso la Provincia di Brindisi.
  3. Con ordinanza collegiale n. 948 del 6 marzo 2017, resa all’esito della camera di consiglio del 2 marzo 2017, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, la Sezione ha disposto istruttoria e preavvisato le parti circa la possibilità di definire all’esito il giudizio ai sensi dell’art. 60 del codice del processo amministrativo.

DIRITTO

  1. Facendo seguito all’avviso contenuto nell’ordinanza istruttoria, questa Sezione reputa sussistenti le condizioni per definire l’appello mediante sentenza ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm. sopra citato, in combinato con l’art. 38 del medesimo codice, con il rigetto dello stesso.
  2. Dalla documentazione esibita in giudizio dalla Tra.De.Co. in ottemperanza all’ordine istruttorio risulta infatti che il presupposto previsto dal parimenti richiamato art. 80, comma 5, lett. c), del nuovo codice dei contratti pubblici ai fini dell’esclusione da procedure di affidamento per “gravi illeciti professionali” non è stato integrato nel caso di specie.

In particolare, come rilevato dal Tribunale amministrativo la risoluzione contrattuale pronunciata nei confronti dell’originaria ricorrente da parte del Comune di Montesilvano (determinazione n. 215 del 25 febbraio 2016), è stata impugnata sia in sede giurisdizionale ordinaria che amministrativa, rispettivamente al Tribunale delle imprese dell’Aquila (con richiesta di disapplicazione) e al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara.

Come del pari comprovato dall’originaria ricorrente, entrambi i giudizi sono ancora pendenti, mentre è stato per contro definito davanti al primo giudice il ricorso ex artt. 669-quater e 700 cod. proc. civ. in corso di causa, con l’ordinanza pronunciata dal menzionato Tribunale delle imprese sul reclamo della Tra.De.Co. ex art. 669-terdecies del medesimo codice (ordinanza del 27 luglio 2016).

  1. Ciò premesso in fatto, l’art. 80, comma 5, lett. c), consente alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti ad una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità“, con la precisazione che in tali ipotesi rientrano, tra l’altro, “significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata“, le quali siano alternativamente non siano contestate in giudizio dall’appaltatore privato o – per venire al caso che interessa nel presente giudizio – sia stata “confermata all’esito di un giudizio“.
  2. In questo caso difetta appunto quest’ultimo presupposto, perché come emerso dalla documentazione prodotta dalla Tra.De.Co. su ordine della Sezione è stato definito una fase incidentale, di natura cautelare, del giudizio civile contro l’atto di risoluzione adottato dalla stazione appaltante, mentre rimane tuttora impregiudicato il merito dello giudizio, così come il parallelo contenzioso amministrativo contro lo stesso atto.
  3. Non è per contro fondata l’interpretazione contraria propugnata dall’appellante A.s.v., secondo cui la disposizione in esame del nuovo codice dei contratti pubblici sarebbe riproduttiva dell’art. 38, comma 1, lett. f), del codice ora abrogato (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) e dunque consentirebbe alle stazioni appaltanti di valutare discrezionalmente ed in modo autonomo la risoluzione disposta da altra stazione appaltante.

Più precisamente, il ragionamento dell’aggiudicataria può essere condiviso nella parte in cui rileva che l’elencazione dei gravi illeciti professionali contenuta nell’art. 80, comma 5, lett. c), non è tassativa, ma esemplificativa, come si evince dalla formula di apertura del periodo (“Tra questi rientrano…“) recante l’elenco dei casi rientranti in questa nozione. Come puntualmente evidenzia la A.s.v., in tal senso si è del resto espresso questo Consiglio di Stato, nel parere del 3 novembre 2016, n. 2286, numero affare 1888 del 2016 (reso sulle linee guida dell’ANAC recenti l’indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto d’appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, lett. c), del codice; in particolare al par. 6) e questa Sezione reputa di aderire a questo convincimento.

  1. Ma lo stesso ragionamento non può essere seguito nelle conseguenze finali che pretende di trarre, a fronte dell’ipotesi contemplata nell’elenco esemplificativo in questione, così espressa: “le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni“. Sulla base dell’interpretazione letterale della norma (ex art. 12 delle preleggi) si richiede quindi che al provvedimento di risoluzione sia stata prestata acquiescenza o che lo stesso sia stato confermato in sede giurisdizionale. E questa conferma non può che essere data da una pronuncia di rigetto nel merito della relativa impugnazione divenuta inoppugnabile, come si evince dalla locuzione (ancorché atecnica) “all’esito di un giudizio“. A questo medesimo riguardo è invece da ritenersi evidentemente insufficiente la definizione di un incidente di natura cautelare, con decisione avente funzione interinale e strumentale rispetto a quella di merito.
  2. La A.s.v. pone allora una questione di compatibilità comunitaria dell’art. 80, comma 5, lett. c), sotto il profilo qui in contestazione.

L’appellante assume in particolare che la norma interna sarebbe in contrasto con l’art. 57, par. 4, lett. c) e g), della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici, recepita con il nuovo codice dei contratti pubblici, poiché tali disposizioni sovranazionali prevedono quale causa di esclusione da procedure di affidamento la commissione di “gravi illeciti professionali” che siano stati dimostrati “con mezzi adeguati” dall’amministrazione aggiudicatrice (lett. c), o “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto” che hanno causato “la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili” (lett. g), senza mai richiedere “alcun accertamento definitivo della responsabilità dell’appaltatore” (così nell’appello).

Ad ulteriore sostegno dei propri assunti la A.s.v. richiama il considerando 101 della direttiva, a mente del quale le amministrazioni aggiudicatrici “dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili“, ed in particolare dovrebbero “mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi“.

  1. La Sezione osserva innanzitutto che la A.s.v. non ha interesse a chiedere che la questione sia rimessa alla Corte di giustizia europea e dunque la questione medesima è irrilevante nella presente controversia.

Ciò per la decisiva considerazione che la Tra.De.Co. ha dichiarato (memoria depositata il 14 marzo 2017) – senza contestazione avversaria – di non avere impugnato l’aggiudicazione definitiva a favore dell’odierna appellante e che il proprio interesse alla conservazione della pronuncia favorevole di primo grado nel presente giudizio è limitato, innanzitutto, ad evitare che l’esclusione da questa gara possa essere considerato motivo di esclusione in procedure di affidamento successive; ed inoltre, in caso di apertura della busta contenente la propria offerta economica, alla luce della possibilità di collocarsi al secondo posto della graduatoria, in vista di una possibile esclusione dell’aggiudicataria.

Pertanto, atteso il consolidarsi dell’aggiudicazione a favore della A.s.v., l’eventuale conferma dell’esclusione della Tra.De.Co. all’esito della risoluzione della pregiudiziale comunitaria nel senso auspicato dalla prima in nulla gioverebbe alla stessa.

  1. La questione di conformità del diritto nazionale a quello europeo prospettata dall’appellante non può peraltro essere apprezzata in senso favorevole alla A.s.v. nemmeno ai fini di una disapplicazione del primo.

Deve infatti evidenziarsi che la causa di esclusione su cui si controverte nel presente giudizio ha carattere facoltativo.

Ciò lo si evince dal citato art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24/UE. Questa disposizione prevede infatti che le situazioni da esso elencate relative agli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici sono quelle in presenza delle quali le amministrazioni aggiudicatrici “possono escludere“, oppure possono essere richieste da”gli Stati membri“, in sede di recepimento della direttiva, “di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto” tali operatori. Quindi, la norma europea facoltizza gli Stati membri a prevedere quale causa di esclusione da procedure di affidamento di contratti pubblici, senza porre a carico degli stessi alcun vincolo. A fortiori deve ritenersi pertanto che non vi siano vincoli quanto alla definizione normativa della causa di esclusione in questione a livello nazionale.

  1. Al medesimo riguardo, non giova alla A.s.v. richiamare il considerando 101, laddove si fa riferimento alla possibilità di escludere dalla gara l’operatore economico in caso di “grave violazione dei doveri professionali“, dimostrata dall’amministrazione “con qualsiasi mezzo idoneo“, “prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori“. Quest’ultima previsione è infatti espressamente riferita ai motivi di esclusione “obbligatori“, ovvero a quelli previsti dall’art. 57 della direttiva, ai paragrafi 1 e 2, mentre nel caso di specie si verte nelle ipotesi contemplate dal paragrafo 4 della medesima disposizione.

Per essa vale dunque il rinvio a “qualsiasi mezzo idoneo“, che il legislatore nazionale nell’esercizio della sua discrezionalità rispetto ad un ambito del diritto dei contratti pubblici non vincolato a livello europeo può ritenere integrato solo in presenza di una decisione giurisdizionale definitiva, come avvenuto nel caso di specie con l’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016.

  1. Da ultimo rimane da esaminare la questione di costituzionalità di tale disposizione di legge per contrasto con il canone del buon andamento sancito dall’art. 97 della Carta fondamentale.

La questione – che pure presente aspetti di non manifesta infondatezza, alla luce dei rilievi formulati da questo Consiglio di Stato nel citato parere n. 2286 del 7 novembre 2016 (in particolare al par. 13.2, richiamato dall’appellante), che questa Sezione condivide – non è tuttavia rilevante. A questa conclusione si perviene sulla base delle stesse considerazioni svolte in relazione alla pregiudiziale comunitaria e cioè per l’avvenuto consolidamento dell’aggiudicazione definitiva e per la conseguente impossibilità per la A.s.v. di risentire alcun pregiudizio dalla conferma dell’annullamento dell’esclusione della Tra.De.Co. pronunciata dal Tribunale amministrativo.

  1. L’appello deve quindi essere respinto, ma l’indubbia novità della questione controversa, di prima applicazione della nuova fattispecie normativa del grave errore professionale, giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Paolo Troiano, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 27 APR. 2017.

 

Avv. Raimondo Nocerino

Raimondo Nocerino, classe 1976, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II nel 2000 con lode, maturando esperienze di studio in Spagna.

Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Diritti dell’Uomo presso l’Ateneo Federiciano nel marzo 2006 e presso la stessa Università, nel2012, il diploma di perfezionamento in “Diritto dell’unione Europea: la tutela dei diritti”.

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Consiglio di Stato, sez. V, 30/10/2017,  n. 4979

Massima

In materia di delimitazione del demanio rispetto alla proprietà privata, la Pubblica amministrazione non esercita un potere autoritativo costitutivo, ma si limita all’accertamento dell’esatto confine demaniale che, pur svolgendosi con le forme del procedimento amministrativo, ha carattere vincolato, non comporta la spendita di potere amministrativo discrezionale ed è inidoneo a degradare il diritto di proprietà privata in interesse legittimo, trattandosi appunto di un atto di accertamento e non di un atto ablatorio, da qualificare come autotutela privatistica speciale e non come attività provvedimentale discrezionale; di conseguenza, nel caso in cui la parte ricorrente contesti la dichiarata demanialità di un’area ed affermi che si tratti di proprietà privata, la posizione soggettiva tutelanda è, in ogni caso, una posizione di diritto soggettivo, consistente nell’affermazione della natura privatistica dell’area di cui si discute e nella rivendicazione della proprietà dell’area stessa.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro  generale  5850

del 2017, proposto da:

Pe. Gi. e Gi.  Br.,  rappresentati  e  difesi  dall’avvocato  Daniele Granara, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, al  corso Vittorio Emanuele, n. 154/3;

contro

Comune di Sesta Godano, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Liguria, sez. I, n.  3/2017,  resa  tra  le parti, concernente la richiesta di annullamento  della  Deliberazione del Consiglio Comunale di Sesta Godano  24  settembre  2016,  n.  32, avente ad oggetto “demanializzazione e classificazione  quale  strada comunale del tratto di strada compreso tra Via Zeri e Via Scopesi”.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del  giorno  19  ottobre  2017  il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Granara;Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

FATTO E DIRITTO

LETTO il ricorso, notificato nei tempi e nelle forme di rito, con il quale i signori Pe. Gi. e Gi. Br., come in atti rappresentati e difesi, hanno impugnato la sentenza, resa in forma semplificata ex art. 60 cod. proc. amm. e meglio distinta in epigrafe, con la quale il T.A.R. Liguria ha dichiarato inammissibile per carenza di giurisdizione il ricorso dagli stessi proposto avverso la deliberazione del Consiglio Comunale di Sesta Godano del 24 settembre 2016, n. 32, avente ad oggetto “demanializzazione e classificazione quale strada comunale del tratto di strada compreso tra Via Zeri e Via Scopesi”;

RITENUTO che, a sostegno del gravame, gli appellanti (oltre a reiterare, in prospettiva devolutiva, le ragioni di doglianza rimaste assorbite in prime cure) hanno criticamente argomentato l’erroneità della sentenza impugnata (per violazione e falsa applicazione degli artt. 8,9 e 11 cod. proc. amm.), sul complessivo assunto che – a fronte del potere autoritativo esercitato, ad asserita connotazione sostanzialmente ablatoria – la posizione soggettiva vantata e dedotta in giudizio avesse, di fatto, la consistenza dell’interesse legittimo (come tale rimesso alla ordinaria cognizione del giudice amministrativo) e non del diritto soggettivo: con il che il petitum sostanziale non avrebbe dovuto essere riferito, come erroneamente ritenuto dal primo giudice, alla contestata “demanializzazione” delle aree oggetto di causa, né alla loro mera “classificazione” pubblicistica, ma solo alla denunziata e lesiva incidenza sul proprio finitimo compendio dominicale;

CONSIDERATO che l’appello si palesa prima facie infondato, di tal che la controversia può essere definitiva con statuizione in forma semplificata;

RITENUTO, invero, che il provvedimento impugnato è, in punto di fatto, inequivocabilmente inteso alla “demanializzazione del tratto di strada che unisce Via Scopesi a Via Zeri composto dalle […] particelle catastali individuate al fg. 42 particella 770”;

CONSIDERATO, in punto di diritto, che costituisce jus receptum, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi nel caso di specie, quello per cui:

  1. a) la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo vanno, in termini generali, determinate non già in base al criterio della c.d. prospettazione del ricorso (ossia alla stregua della qualificazione giuridica soggettiva che l’istante attribuisce all’interesse di cui invoca tutela), bensì in ragione dell’effettivo petitum sostanziale, ossia dello specifico oggetto e della reale natura della controversia, da identificarsi in funzione della concreta causa petendi, costituita dal contenuto della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuabile in relazione alla protezione sostanziale accordata in astratto alla posizione medesima dalla disciplina legale da applicare alle singole fattispecie;
  2. b) in materia di delimitazione del demanio rispetto alla proprietà privata, la p.a. non esercita un potere autoritativo costitutivo, ma si limita all’accertamento dell’esatto confine demaniale che, pur svolgendosi con le forme del procedimento amministrativo, ha carattere vincolato, non comporta la spendita di potere amministrativo discrezionale ed è inidoneo a degradare il diritto di proprietà privata in interesse legittimo, trattandosi appunto di un atto di accertamento e non di un atto ablatorio, da qualificare come autotutela privatistica speciale e non come attività provvedimentale discrezionale (cfr. ex multisCons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2010, n. 7975; Id., 26 settembre, 2011, n. 5357;. Id., 23 maggio 2012, n. 3030; Id., sez. II, 3 aprile 2013, n. 7280; Id., sez. IV, 11 aprile 2014, n. 1758, nonché Cass. SS.UU., 9 settembre 2013, n. 20596);
  3. b) di conseguenza, nel caso in cui, come nella specie, la parte ricorrente contesti la dichiarata demanialità di un’area ed affermi che si tratti di proprietà privata, la posizione soggettiva tutelanda è, in ogni caso, una posizione di diritto soggettivo, consistente nell’affermazione della natura privatistica dell’area di cui si discute e nella rivendicazione della proprietà dell’area stessa (negli esatti termini, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 20 luglio 2016, n. 3288);

RITENUTO che la sentenza impugnata, con il dichiarare l’inammissibilità del proposto ricorso, ha fatto corretta applicazione dei riassunti principi e resiste, come tale, alle formalizzate ragioni di doglianza;

CONSIDERATO che nulla debba statuirsi in ordine alle spese e competenze di lite, stante la mancata costituzione in giudizio della intimata Amministrazione;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge l’appello.

Nulla per le spese.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 30 OTT. 2017.

 

Avv. Alessandro Barbieri

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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Consiglio di Stato, sez. V, 30/10/2017,  n. 4979

Massima

L’art. 40 comma 6 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 fissa un termine perentorio ai fini della presentazione dell’istanza di sanatoria per opere abusive relative a immobili assoggettati a procedure esecutive che però deve razionalmente raccordarsi all’ipotesi in cui sia immediatamente e inequivocamente percepibile l’esistenza dell’illecito edilizio.

Ne consegue che nella specie il termine ex art. 40 comma 6 non poteva decorrere dalla data dell’atto di trasferimento, dovendo riferirsi invece al momento dell’effettiva scoperta e conoscenza dell’opera abusiva, che, in difetto di elementi di segno contrario, e secondo la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà allegato all’istanza di condono, deve farsi risalire al momento della conseguita consegna dell’immobile, per effetto dell’esecuzione dell’ordine di rilascio.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9499 del 2011, proposto da:

Nunzia De Ceglia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Lojacono e Alessandro Barbieri e presso il loro studio elettivamente domiciliata in Roma, alla via Leon Pancaldo n. 26, per mandato a margine dell’appello;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Raimondo Angela e con questi elettivamente domiciliata presso l’Avvocatura comunale, in Roma, alla via del Tempio di Giove n. 21, per mandato in calce all’atto di costituzione in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II bis, n. 3851 del 4 maggio 2011, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n.r. 9573/2002, proposto per l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 58340 del 19 marzo 2002, comunicata con successiva nota del 18 giugno 2002, recante diniego di condono edilizio in relazione alla tardività dell’istanza in quanto presentata oltre il termine di centoventi giorni dalla data di trasferimento dell’immobile ex art. 40 comma 6 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, con compensazione delle spese del giudizio di primo grado.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 marzo 2013 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi per l’avv. Nunzia De Ceglia, per delega degli avv.ti Francesco Lojacono e Alessandro Barbieri, appellante e l’avv. Domenico Rossi, per delega dell’avv. Angela Raimondo, per Roma Capitale appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.) L’avv. Nunzia De Ceglia ha acquistato in comproprietà con Maria Giuseppina Bitonti un immobile residenziale ubicato in Roma, alla via Fasana n. 16, piano I, scala A, interno 4, con annesse pertinenze, costituite da un terrazzo di mq. 36 circa al piano attico e da un locale al piano servizi, in esito a procedura esecutiva immobiliare.

L’immobile è stato trasferito in proprietà con decreto del Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Roma del 14 giugno 2001, trascritto il 20 settembre 2001, che disponeva il rilascio dell’immobile, poi conseguito, a seguito di precetto e primo accesso, in data 10 dicembre 2001, come da relativo verbale.

Con istanza pervenuta all’amministrazione comunale il 18 marzo 2002, le comproprietarie acquirenti hanno chiesto di poter condonare un’opera abusiva realizzata sul terrazzo al piano attico, integrante ambiente “residenziale” di mq. 26,98 (per volume vuoto per pieno di mc. 70,41), con versamento in unica soluzione dell’oblazione di € 1.505,00, della quale, secondo la dichiarazione sostitutiva di atto notorio allegata all’istanza, esse hanno avuto contezza soltanto a seguito del rilascio dell’immobile.

Con determinazione dirigenziale n. 58340 del 19 marzo 2002, comunicata con successiva nota del 18 giugno 2002, è stata rigettata l’istanza di condono edilizio “…essendo decorsi oltre 120 giorni – termine previsto dall’art. 40 co. 6 ex lege 47/85 – dalla data di trasferimento dell’immobile interessato dalle opere abusive”.

Con il ricorso in primo grado n.r. 9573/2002, l’avv. De Ceglie, costituita in proprio, ha impugnato il diniego di condono edilizio, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, profilando subordinata questione di costituzionalità dell’art. 40 comma 6 della legge n. 47/1985.

Con la sentenza n. 3851 del 4 maggio 2011 il ricorso è stato rigettato, sul rilievo che:

– l’’art. 40 comma 6 introduce eccezionale fattispecie di sanatoria di opere edilizie nel quadro del regime a sua volta derogatorio introdotto dalle disposizioni sul condono edilizio, ricollegando il termine per la presentazione dell’istanza irrefragabilmente all’atto del trasferimento, connesso all’esito di procedure esecutive anche concorsuali, senza che possa invocarsi alcun affidamento o possa rilevare la buona fede dell’acquirente;

– non sussistono evidenti profili di non manifesta infondatezza dell’evocata questione di costituzionalità dell’art. 40 comma 6 proprio in funzione del rilievo oggettivo dell’abuso edilizio, dell’inesistenza di profili di affidamento o di rilievo della buona fede dell’acquirente e della “inusuale lunghezza” del termine per la presentazione della domanda di sanatoria.

Con appello notificato il 4 novembre 2011 e depositato il 1° dicembre 2011, l’avv. De Ceglia ha impugnato la sentenza, deducendo in sintesi i seguenti motivi:

1) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 40 comma 6 della legge n. 47/1985 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 586 c.p.c. – Omesso esame punti e documenti decisivi della controversia – Motivazione insufficiente, contraddittoria, illogica, perché la disposizione dell’art. 40 comma 6 della legge n. 47/1985, interpretata alla luce della sua ratio e coordinata con quella dell’art. 586 c.p.c., deve essere intesa nel senso che il termine decorre non già dalla data del decreto di trasferimento dell’immobile, sebbene da quella della sua consegna all’acquirente, nella quale si rende conoscibile l’effettivo stato di fatto e quindi anche l’esistenza di eventuali opere abusive.

2) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 40 comma 6 della legge n. 47/1985 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 586 c.p.c. – Omesso esame punti e documenti decisivi della controversia – Motivazione insufficiente, contraddittoria, illogica, ribadendosi che nel caso di specie non viene in rilievo una astratta tutela dell’affidamento dell’acquirente, sebbene la conoscibilità dell’esistenza dell’abuso edilizio.

3) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione della legge n. 47/1985 – Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Omesso esame punti decisivi della controversia – Motivazione illogica, insufficiente, contraddittoria, con riferimento alla ritenuta manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, riproposta sub:

4) Questione di illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 42 e 97 Cost., in quanto l’art. 40 comma 6, se interpretato nel senso preclusivo della sanatoria, introduce ingiustificata disparità di trattamento in danno di acquirenti d’immobili abusivi in esito a procedure esecutive, manifestamente incolpevoli ed estranei all’abuso, con compressione ingiustificata del diritto di proprietà, per esposizione alle sanzioni repressive edilizie, ivi compresa demolizione e acquisizione gratuita dell’area di sedime del manufatto-

Costituitasi in giudizio, Roma Capitale, con memoria difensiva depositata in vista dell’udienza di discussione, ha dedotto a sua volta l’infondatezza dell’appello, richiamando la motivazione della sentenza gravata.

Con memoria di replica, l’appellante ha insistito per l’accoglimento dell’impugnazione.

All’udienza pubblica del 19 marzo 2013 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.

2.) L’appello in epigrafe è fondato e deve essere accolto, onde in riforma della sentenza gravata e in accoglimento del ricorso in primo grado deve essere annullata la determinazione dirigenziale n. 58340 del 19 marzo 2002, salvi i provvedimenti ulteriori dell’amministrazione in ordine all’esame della domanda di condono edilizio.

Com’é noto l’art. 40 comma 6 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (come aggiunto dall’art. 8-bis, comma 4, del d.l. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 1985, n. 298 e, successivamente, sostituito dall’art. 7, comma 2, del d.l. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 13 marzo 1988, n. 68) dispone che:

Nella ipotesi in cui l’immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all’entrata in vigore della presente legge”.

La disposizione fissa un termine perentorio ai fini della presentazione dell’istanza di sanatoria per opere abusive relative a immobili assoggettati a procedure esecutive che però deve razionalmente raccordarsi all’ipotesi in cui sia immediatamente e inequivocamente percepibile l’esistenza dell’illecito edilizio.

Nel caso di specie, il trasferimento riguardava in via principale l’appartamento, ex se legittimo, nonché due pertinenze, tra le quali il terrazzo in piano attico, riconosciute come tali e come parti indivisibili dell’immobile soltanto in esito alla perizia di stima del valore dell’immobile.

In effetti né nell’avviso di vendita all’incanto, né nella perizia di stima, né infine nel decreto di trasferimento si fa menzione alcuna della realizzazione sul terrazzo di un manufatto.

Ne consegue che nella specie il termine ex art. 40 comma 6 non poteva decorrere dalla data dell’atto di trasferimento, dovendo riferirsi invece al momento dell’effettiva scoperta e conoscenza dell’opera abusiva, che, in difetto di elementi di segno contrario, e secondo la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà allegato all’istanza di condono, deve farsi risalire al momento della conseguita consegna dell’immobile, per effetto dell’esecuzione dell’ordine di rilascio, ossia al 10 dicembre 2001, data rispetto alla quale la presentazione dell’istanza di sanatoria (18 marzo 2002) è affatto tempestiva.

3.) Alla stregua dei rilievi che precedono, sono pertanto fondati il primo e secondo motivo d’appello, che assorbono l’evocata questione di costituzionalità della disposizione, da interpretare nei sensi, costituzionalmente adeguati, che precedono.

4.) In relazione alla novità e peculiarità delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi per dichiarare compensate per intero tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie l’appello in epigrafe n.r. 9499/2011, e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II bis, n. 3851 del 4 maggio 2011 e, in accoglimento del ricorso proposto in primo grado, annulla la determinazione dirigenziale n. 58340 del 19 marzo 2002.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

Avv. Alessandro Barbieri

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