Consiglio di Stato, sez. V, 27/04/2017,  n. 1955

Massima

L’art. 80, comma 5, lett. c), d.lg. 18 aprile 2016 n. 50, consente alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti da una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la loro integrità o affidabilità, in tali ipotesi rientrando, tra l’altro, significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione, che ne hanno causato la risoluzione anticipata, che siano alternativamente non contestate in giudizio dall’appaltatore privato o confermate all’esito di un giudizio.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 326 del 2017, proposto da:

A.S.V.  –  Azienda  Servizi  Vari  s.p.a.,  in  persona  del   legale

rappresentante pro  tempore,  rappresentata  e  difesa  dall’avvocato

Angelo Giuseppe Orofino, con  domicilio  eletto  ex  art.  25,  comma

1-ter,    cod.    proc.    amm.    presso    l’indirizzo       p.e.c.

agorofinolegalmail.it;

contro

Tra.De.Co. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro  tempore,

rappresentata e difesa dall’avvocato  Aldo  Loiodice,  con  domicilio

eletto presso il suo studio, in Roma, via Ombrone 12/b;

nei confronti di

Stazione unica appaltante presso la Provincia di Brindisi, in persona

del presidente e legale rappresentante pro tempore,  rappresentata  e

difesa dall’avvocato Mario Marino  Guadalupi,  con  domicilio  eletto

presso la segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo  di

Ferro 13;

Comune di Mesagne, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA  DI  LECCE,  SEZIONE

III, n. 1935/2016, resa tra le parti, concernente un provvedimento di

esclusione dalla procedura di gara  per  l’affidamento  del  servizio

integrato di igiene urbana, raccolta,  trasporto  e  smaltimento  dei

rifiuti solidi urbani ed assimilabili, e del servizio di  spazzamento

nel territorio del Comune di Mesagne;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’art. 120, commi 2-bis e 6-bis, cod. proc. amm.;

Visti gli atti di costituzione in giudizio  della  Tra.De.Co.  s.r.l.

della Stazione unica appaltante presso la Provincia di Brindisi;

Vista l’ordinanza istruttoria della Sezione n. 948 del 6 marzo 2017;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di  consiglio  del  giorno  16  marzo  2017  il

consigliere Fabio Franconiero e  uditi  per  le  parti  gli  avvocati

Isabella Loiodice, su delega  di  Aldo  Loiodice,  Luigi  Quinto,  su

delega di Guadalupi, e Alberto Maria Durante, su delega di Orofino;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

  1. Con ricorso ex art. 120, commi 2-bise 6-bis, cod. proc. amm. al Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sezione staccata di Lecce la Tra.De.Co. s.r.l. impugnava il provvedimento con la quale era stata esclusa dalla Stazione unica appaltante presso la Provincia di Brindisi dalla procedura negoziata d’urgenza senza bando ex art. 63, comma 2, lett. c), del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) per l’affidamento del servizio integrato di igiene urbana, raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed assimilabili, e del servizio di spazzamento nel territorio del Comune di Mesagne (provvedimento di esclusione adottato dalla Stazione unica appaltante resistente il 24 agosto 2016).

Il provvedimento era stato adottato sul presupposto di “gravi illeciti professionali” ex art. 80, comma 5, lett. c), del nuovo codice dei contratti pubblici, commessi dalla Tra.De.Co. in un precedente contratto con altra pubblica amministrazione (Comune di Montesilvano).

  1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito accoglieva il ricorso.

Il giudice di primo grado statuiva che la citata disposizione del codice dei contratti pubblici richiede che l’illecito professionale risulti, tra l’altro, confermato “all’esito di un giudizio“, mentre nel caso di specie la Tra.De.Co. “ha giurisdizionalmente contestato dinanzi al Tribunale Civile – Sezione Imprese di L’Aquila la risoluzione contrattuale” pronunciata nel precedente contratto e “tale giudizio civile è tutt’ora pendente (essendo solo stata rigettata l’istanza cautelare incidentalmente avanzata dalla Società attrice) “. Con la stessa pronuncia il giudice di primo grado ha consequenzialmente annullato l’aggiudicazione provvisoria adottata in data 15 settembre 2016 (recte: proposta di aggiudicazione) disposta a favore della controinteressata A.s.v. Azienda Servizi Vari s.p.a., parimenti impugnata dalla Tra.De.Co.

  1. La A.s.v., poi dichiarata aggiudicataria definitiva (con determinazione n. 920 del 15 dicembre 2016) ha quindi proposto appello, nel quale ha formulato istanza di sospensione della pronuncia di primo grado ai sensi dell’art. 98 del codice del processo amministrativo.
  2. Si sono costituiti rispettivamente in resistenza ed adesione all’appello la Tra.De.Co. e la Stazione appaltante unica presso la Provincia di Brindisi.
  3. Con ordinanza collegiale n. 948 del 6 marzo 2017, resa all’esito della camera di consiglio del 2 marzo 2017, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, la Sezione ha disposto istruttoria e preavvisato le parti circa la possibilità di definire all’esito il giudizio ai sensi dell’art. 60 del codice del processo amministrativo.

DIRITTO

  1. Facendo seguito all’avviso contenuto nell’ordinanza istruttoria, questa Sezione reputa sussistenti le condizioni per definire l’appello mediante sentenza ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm. sopra citato, in combinato con l’art. 38 del medesimo codice, con il rigetto dello stesso.
  2. Dalla documentazione esibita in giudizio dalla Tra.De.Co. in ottemperanza all’ordine istruttorio risulta infatti che il presupposto previsto dal parimenti richiamato art. 80, comma 5, lett. c), del nuovo codice dei contratti pubblici ai fini dell’esclusione da procedure di affidamento per “gravi illeciti professionali” non è stato integrato nel caso di specie.

In particolare, come rilevato dal Tribunale amministrativo la risoluzione contrattuale pronunciata nei confronti dell’originaria ricorrente da parte del Comune di Montesilvano (determinazione n. 215 del 25 febbraio 2016), è stata impugnata sia in sede giurisdizionale ordinaria che amministrativa, rispettivamente al Tribunale delle imprese dell’Aquila (con richiesta di disapplicazione) e al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara.

Come del pari comprovato dall’originaria ricorrente, entrambi i giudizi sono ancora pendenti, mentre è stato per contro definito davanti al primo giudice il ricorso ex artt. 669-quater e 700 cod. proc. civ. in corso di causa, con l’ordinanza pronunciata dal menzionato Tribunale delle imprese sul reclamo della Tra.De.Co. ex art. 669-terdecies del medesimo codice (ordinanza del 27 luglio 2016).

  1. Ciò premesso in fatto, l’art. 80, comma 5, lett. c), consente alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti ad una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità“, con la precisazione che in tali ipotesi rientrano, tra l’altro, “significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata“, le quali siano alternativamente non siano contestate in giudizio dall’appaltatore privato o – per venire al caso che interessa nel presente giudizio – sia stata “confermata all’esito di un giudizio“.
  2. In questo caso difetta appunto quest’ultimo presupposto, perché come emerso dalla documentazione prodotta dalla Tra.De.Co. su ordine della Sezione è stato definito una fase incidentale, di natura cautelare, del giudizio civile contro l’atto di risoluzione adottato dalla stazione appaltante, mentre rimane tuttora impregiudicato il merito dello giudizio, così come il parallelo contenzioso amministrativo contro lo stesso atto.
  3. Non è per contro fondata l’interpretazione contraria propugnata dall’appellante A.s.v., secondo cui la disposizione in esame del nuovo codice dei contratti pubblici sarebbe riproduttiva dell’art. 38, comma 1, lett. f), del codice ora abrogato (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) e dunque consentirebbe alle stazioni appaltanti di valutare discrezionalmente ed in modo autonomo la risoluzione disposta da altra stazione appaltante.

Più precisamente, il ragionamento dell’aggiudicataria può essere condiviso nella parte in cui rileva che l’elencazione dei gravi illeciti professionali contenuta nell’art. 80, comma 5, lett. c), non è tassativa, ma esemplificativa, come si evince dalla formula di apertura del periodo (“Tra questi rientrano…“) recante l’elenco dei casi rientranti in questa nozione. Come puntualmente evidenzia la A.s.v., in tal senso si è del resto espresso questo Consiglio di Stato, nel parere del 3 novembre 2016, n. 2286, numero affare 1888 del 2016 (reso sulle linee guida dell’ANAC recenti l’indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto d’appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, lett. c), del codice; in particolare al par. 6) e questa Sezione reputa di aderire a questo convincimento.

  1. Ma lo stesso ragionamento non può essere seguito nelle conseguenze finali che pretende di trarre, a fronte dell’ipotesi contemplata nell’elenco esemplificativo in questione, così espressa: “le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni“. Sulla base dell’interpretazione letterale della norma (ex art. 12 delle preleggi) si richiede quindi che al provvedimento di risoluzione sia stata prestata acquiescenza o che lo stesso sia stato confermato in sede giurisdizionale. E questa conferma non può che essere data da una pronuncia di rigetto nel merito della relativa impugnazione divenuta inoppugnabile, come si evince dalla locuzione (ancorché atecnica) “all’esito di un giudizio“. A questo medesimo riguardo è invece da ritenersi evidentemente insufficiente la definizione di un incidente di natura cautelare, con decisione avente funzione interinale e strumentale rispetto a quella di merito.
  2. La A.s.v. pone allora una questione di compatibilità comunitaria dell’art. 80, comma 5, lett. c), sotto il profilo qui in contestazione.

L’appellante assume in particolare che la norma interna sarebbe in contrasto con l’art. 57, par. 4, lett. c) e g), della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici, recepita con il nuovo codice dei contratti pubblici, poiché tali disposizioni sovranazionali prevedono quale causa di esclusione da procedure di affidamento la commissione di “gravi illeciti professionali” che siano stati dimostrati “con mezzi adeguati” dall’amministrazione aggiudicatrice (lett. c), o “significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto” che hanno causato “la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili” (lett. g), senza mai richiedere “alcun accertamento definitivo della responsabilità dell’appaltatore” (così nell’appello).

Ad ulteriore sostegno dei propri assunti la A.s.v. richiama il considerando 101 della direttiva, a mente del quale le amministrazioni aggiudicatrici “dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili“, ed in particolare dovrebbero “mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi“.

  1. La Sezione osserva innanzitutto che la A.s.v. non ha interesse a chiedere che la questione sia rimessa alla Corte di giustizia europea e dunque la questione medesima è irrilevante nella presente controversia.

Ciò per la decisiva considerazione che la Tra.De.Co. ha dichiarato (memoria depositata il 14 marzo 2017) – senza contestazione avversaria – di non avere impugnato l’aggiudicazione definitiva a favore dell’odierna appellante e che il proprio interesse alla conservazione della pronuncia favorevole di primo grado nel presente giudizio è limitato, innanzitutto, ad evitare che l’esclusione da questa gara possa essere considerato motivo di esclusione in procedure di affidamento successive; ed inoltre, in caso di apertura della busta contenente la propria offerta economica, alla luce della possibilità di collocarsi al secondo posto della graduatoria, in vista di una possibile esclusione dell’aggiudicataria.

Pertanto, atteso il consolidarsi dell’aggiudicazione a favore della A.s.v., l’eventuale conferma dell’esclusione della Tra.De.Co. all’esito della risoluzione della pregiudiziale comunitaria nel senso auspicato dalla prima in nulla gioverebbe alla stessa.

  1. La questione di conformità del diritto nazionale a quello europeo prospettata dall’appellante non può peraltro essere apprezzata in senso favorevole alla A.s.v. nemmeno ai fini di una disapplicazione del primo.

Deve infatti evidenziarsi che la causa di esclusione su cui si controverte nel presente giudizio ha carattere facoltativo.

Ciò lo si evince dal citato art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24/UE. Questa disposizione prevede infatti che le situazioni da esso elencate relative agli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici sono quelle in presenza delle quali le amministrazioni aggiudicatrici “possono escludere“, oppure possono essere richieste da”gli Stati membri“, in sede di recepimento della direttiva, “di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto” tali operatori. Quindi, la norma europea facoltizza gli Stati membri a prevedere quale causa di esclusione da procedure di affidamento di contratti pubblici, senza porre a carico degli stessi alcun vincolo. A fortiori deve ritenersi pertanto che non vi siano vincoli quanto alla definizione normativa della causa di esclusione in questione a livello nazionale.

  1. Al medesimo riguardo, non giova alla A.s.v. richiamare il considerando 101, laddove si fa riferimento alla possibilità di escludere dalla gara l’operatore economico in caso di “grave violazione dei doveri professionali“, dimostrata dall’amministrazione “con qualsiasi mezzo idoneo“, “prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori“. Quest’ultima previsione è infatti espressamente riferita ai motivi di esclusione “obbligatori“, ovvero a quelli previsti dall’art. 57 della direttiva, ai paragrafi 1 e 2, mentre nel caso di specie si verte nelle ipotesi contemplate dal paragrafo 4 della medesima disposizione.

Per essa vale dunque il rinvio a “qualsiasi mezzo idoneo“, che il legislatore nazionale nell’esercizio della sua discrezionalità rispetto ad un ambito del diritto dei contratti pubblici non vincolato a livello europeo può ritenere integrato solo in presenza di una decisione giurisdizionale definitiva, come avvenuto nel caso di specie con l’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016.

  1. Da ultimo rimane da esaminare la questione di costituzionalità di tale disposizione di legge per contrasto con il canone del buon andamento sancito dall’art. 97 della Carta fondamentale.

La questione – che pure presente aspetti di non manifesta infondatezza, alla luce dei rilievi formulati da questo Consiglio di Stato nel citato parere n. 2286 del 7 novembre 2016 (in particolare al par. 13.2, richiamato dall’appellante), che questa Sezione condivide – non è tuttavia rilevante. A questa conclusione si perviene sulla base delle stesse considerazioni svolte in relazione alla pregiudiziale comunitaria e cioè per l’avvenuto consolidamento dell’aggiudicazione definitiva e per la conseguente impossibilità per la A.s.v. di risentire alcun pregiudizio dalla conferma dell’annullamento dell’esclusione della Tra.De.Co. pronunciata dal Tribunale amministrativo.

  1. L’appello deve quindi essere respinto, ma l’indubbia novità della questione controversa, di prima applicazione della nuova fattispecie normativa del grave errore professionale, giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Paolo Troiano, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 27 APR. 2017.

 

Avv. Raimondo Nocerino

Raimondo Nocerino, classe 1976, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II nel 2000 con lode, maturando esperienze di studio in Spagna.

Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Diritti dell’Uomo presso l’Ateneo Federiciano nel marzo 2006 e presso la stessa Università, nel2012, il diploma di perfezionamento in “Diritto dell’unione Europea: la tutela dei diritti”.

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Consiglio di Stato, sez. V, 30/10/2017,  n. 4979

Massima

In materia di delimitazione del demanio rispetto alla proprietà privata, la Pubblica amministrazione non esercita un potere autoritativo costitutivo, ma si limita all’accertamento dell’esatto confine demaniale che, pur svolgendosi con le forme del procedimento amministrativo, ha carattere vincolato, non comporta la spendita di potere amministrativo discrezionale ed è inidoneo a degradare il diritto di proprietà privata in interesse legittimo, trattandosi appunto di un atto di accertamento e non di un atto ablatorio, da qualificare come autotutela privatistica speciale e non come attività provvedimentale discrezionale; di conseguenza, nel caso in cui la parte ricorrente contesti la dichiarata demanialità di un’area ed affermi che si tratti di proprietà privata, la posizione soggettiva tutelanda è, in ogni caso, una posizione di diritto soggettivo, consistente nell’affermazione della natura privatistica dell’area di cui si discute e nella rivendicazione della proprietà dell’area stessa.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro  generale  5850

del 2017, proposto da:

Pe. Gi. e Gi.  Br.,  rappresentati  e  difesi  dall’avvocato  Daniele Granara, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, al  corso Vittorio Emanuele, n. 154/3;

contro

Comune di Sesta Godano, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Liguria, sez. I, n.  3/2017,  resa  tra  le parti, concernente la richiesta di annullamento  della  Deliberazione del Consiglio Comunale di Sesta Godano  24  settembre  2016,  n.  32, avente ad oggetto “demanializzazione e classificazione  quale  strada comunale del tratto di strada compreso tra Via Zeri e Via Scopesi”.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del  giorno  19  ottobre  2017  il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Granara;Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

FATTO E DIRITTO

LETTO il ricorso, notificato nei tempi e nelle forme di rito, con il quale i signori Pe. Gi. e Gi. Br., come in atti rappresentati e difesi, hanno impugnato la sentenza, resa in forma semplificata ex art. 60 cod. proc. amm. e meglio distinta in epigrafe, con la quale il T.A.R. Liguria ha dichiarato inammissibile per carenza di giurisdizione il ricorso dagli stessi proposto avverso la deliberazione del Consiglio Comunale di Sesta Godano del 24 settembre 2016, n. 32, avente ad oggetto “demanializzazione e classificazione quale strada comunale del tratto di strada compreso tra Via Zeri e Via Scopesi”;

RITENUTO che, a sostegno del gravame, gli appellanti (oltre a reiterare, in prospettiva devolutiva, le ragioni di doglianza rimaste assorbite in prime cure) hanno criticamente argomentato l’erroneità della sentenza impugnata (per violazione e falsa applicazione degli artt. 8,9 e 11 cod. proc. amm.), sul complessivo assunto che – a fronte del potere autoritativo esercitato, ad asserita connotazione sostanzialmente ablatoria – la posizione soggettiva vantata e dedotta in giudizio avesse, di fatto, la consistenza dell’interesse legittimo (come tale rimesso alla ordinaria cognizione del giudice amministrativo) e non del diritto soggettivo: con il che il petitum sostanziale non avrebbe dovuto essere riferito, come erroneamente ritenuto dal primo giudice, alla contestata “demanializzazione” delle aree oggetto di causa, né alla loro mera “classificazione” pubblicistica, ma solo alla denunziata e lesiva incidenza sul proprio finitimo compendio dominicale;

CONSIDERATO che l’appello si palesa prima facie infondato, di tal che la controversia può essere definitiva con statuizione in forma semplificata;

RITENUTO, invero, che il provvedimento impugnato è, in punto di fatto, inequivocabilmente inteso alla “demanializzazione del tratto di strada che unisce Via Scopesi a Via Zeri composto dalle […] particelle catastali individuate al fg. 42 particella 770”;

CONSIDERATO, in punto di diritto, che costituisce jus receptum, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi nel caso di specie, quello per cui:

  1. a) la giurisdizione del giudice ordinario e quella del giudice amministrativo vanno, in termini generali, determinate non già in base al criterio della c.d. prospettazione del ricorso (ossia alla stregua della qualificazione giuridica soggettiva che l’istante attribuisce all’interesse di cui invoca tutela), bensì in ragione dell’effettivo petitum sostanziale, ossia dello specifico oggetto e della reale natura della controversia, da identificarsi in funzione della concreta causa petendi, costituita dal contenuto della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuabile in relazione alla protezione sostanziale accordata in astratto alla posizione medesima dalla disciplina legale da applicare alle singole fattispecie;
  2. b) in materia di delimitazione del demanio rispetto alla proprietà privata, la p.a. non esercita un potere autoritativo costitutivo, ma si limita all’accertamento dell’esatto confine demaniale che, pur svolgendosi con le forme del procedimento amministrativo, ha carattere vincolato, non comporta la spendita di potere amministrativo discrezionale ed è inidoneo a degradare il diritto di proprietà privata in interesse legittimo, trattandosi appunto di un atto di accertamento e non di un atto ablatorio, da qualificare come autotutela privatistica speciale e non come attività provvedimentale discrezionale (cfr. ex multisCons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2010, n. 7975; Id., 26 settembre, 2011, n. 5357;. Id., 23 maggio 2012, n. 3030; Id., sez. II, 3 aprile 2013, n. 7280; Id., sez. IV, 11 aprile 2014, n. 1758, nonché Cass. SS.UU., 9 settembre 2013, n. 20596);
  3. b) di conseguenza, nel caso in cui, come nella specie, la parte ricorrente contesti la dichiarata demanialità di un’area ed affermi che si tratti di proprietà privata, la posizione soggettiva tutelanda è, in ogni caso, una posizione di diritto soggettivo, consistente nell’affermazione della natura privatistica dell’area di cui si discute e nella rivendicazione della proprietà dell’area stessa (negli esatti termini, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 20 luglio 2016, n. 3288);

RITENUTO che la sentenza impugnata, con il dichiarare l’inammissibilità del proposto ricorso, ha fatto corretta applicazione dei riassunti principi e resiste, come tale, alle formalizzate ragioni di doglianza;

CONSIDERATO che nulla debba statuirsi in ordine alle spese e competenze di lite, stante la mancata costituzione in giudizio della intimata Amministrazione;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge l’appello.

Nulla per le spese.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Giovanni Grasso, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 30 OTT. 2017.

 

Avv. Alessandro Barbieri

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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Consiglio di Stato, sez. V, 30/10/2017,  n. 4979

Massima

L’art. 40 comma 6 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 fissa un termine perentorio ai fini della presentazione dell’istanza di sanatoria per opere abusive relative a immobili assoggettati a procedure esecutive che però deve razionalmente raccordarsi all’ipotesi in cui sia immediatamente e inequivocamente percepibile l’esistenza dell’illecito edilizio.

Ne consegue che nella specie il termine ex art. 40 comma 6 non poteva decorrere dalla data dell’atto di trasferimento, dovendo riferirsi invece al momento dell’effettiva scoperta e conoscenza dell’opera abusiva, che, in difetto di elementi di segno contrario, e secondo la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà allegato all’istanza di condono, deve farsi risalire al momento della conseguita consegna dell’immobile, per effetto dell’esecuzione dell’ordine di rilascio.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9499 del 2011, proposto da:

Nunzia De Ceglia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Lojacono e Alessandro Barbieri e presso il loro studio elettivamente domiciliata in Roma, alla via Leon Pancaldo n. 26, per mandato a margine dell’appello;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Raimondo Angela e con questi elettivamente domiciliata presso l’Avvocatura comunale, in Roma, alla via del Tempio di Giove n. 21, per mandato in calce all’atto di costituzione in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II bis, n. 3851 del 4 maggio 2011, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n.r. 9573/2002, proposto per l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 58340 del 19 marzo 2002, comunicata con successiva nota del 18 giugno 2002, recante diniego di condono edilizio in relazione alla tardività dell’istanza in quanto presentata oltre il termine di centoventi giorni dalla data di trasferimento dell’immobile ex art. 40 comma 6 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, con compensazione delle spese del giudizio di primo grado.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 marzo 2013 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi per l’avv. Nunzia De Ceglia, per delega degli avv.ti Francesco Lojacono e Alessandro Barbieri, appellante e l’avv. Domenico Rossi, per delega dell’avv. Angela Raimondo, per Roma Capitale appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.) L’avv. Nunzia De Ceglia ha acquistato in comproprietà con Maria Giuseppina Bitonti un immobile residenziale ubicato in Roma, alla via Fasana n. 16, piano I, scala A, interno 4, con annesse pertinenze, costituite da un terrazzo di mq. 36 circa al piano attico e da un locale al piano servizi, in esito a procedura esecutiva immobiliare.

L’immobile è stato trasferito in proprietà con decreto del Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Roma del 14 giugno 2001, trascritto il 20 settembre 2001, che disponeva il rilascio dell’immobile, poi conseguito, a seguito di precetto e primo accesso, in data 10 dicembre 2001, come da relativo verbale.

Con istanza pervenuta all’amministrazione comunale il 18 marzo 2002, le comproprietarie acquirenti hanno chiesto di poter condonare un’opera abusiva realizzata sul terrazzo al piano attico, integrante ambiente “residenziale” di mq. 26,98 (per volume vuoto per pieno di mc. 70,41), con versamento in unica soluzione dell’oblazione di € 1.505,00, della quale, secondo la dichiarazione sostitutiva di atto notorio allegata all’istanza, esse hanno avuto contezza soltanto a seguito del rilascio dell’immobile.

Con determinazione dirigenziale n. 58340 del 19 marzo 2002, comunicata con successiva nota del 18 giugno 2002, è stata rigettata l’istanza di condono edilizio “…essendo decorsi oltre 120 giorni – termine previsto dall’art. 40 co. 6 ex lege 47/85 – dalla data di trasferimento dell’immobile interessato dalle opere abusive”.

Con il ricorso in primo grado n.r. 9573/2002, l’avv. De Ceglie, costituita in proprio, ha impugnato il diniego di condono edilizio, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, profilando subordinata questione di costituzionalità dell’art. 40 comma 6 della legge n. 47/1985.

Con la sentenza n. 3851 del 4 maggio 2011 il ricorso è stato rigettato, sul rilievo che:

– l’’art. 40 comma 6 introduce eccezionale fattispecie di sanatoria di opere edilizie nel quadro del regime a sua volta derogatorio introdotto dalle disposizioni sul condono edilizio, ricollegando il termine per la presentazione dell’istanza irrefragabilmente all’atto del trasferimento, connesso all’esito di procedure esecutive anche concorsuali, senza che possa invocarsi alcun affidamento o possa rilevare la buona fede dell’acquirente;

– non sussistono evidenti profili di non manifesta infondatezza dell’evocata questione di costituzionalità dell’art. 40 comma 6 proprio in funzione del rilievo oggettivo dell’abuso edilizio, dell’inesistenza di profili di affidamento o di rilievo della buona fede dell’acquirente e della “inusuale lunghezza” del termine per la presentazione della domanda di sanatoria.

Con appello notificato il 4 novembre 2011 e depositato il 1° dicembre 2011, l’avv. De Ceglia ha impugnato la sentenza, deducendo in sintesi i seguenti motivi:

1) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 40 comma 6 della legge n. 47/1985 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 586 c.p.c. – Omesso esame punti e documenti decisivi della controversia – Motivazione insufficiente, contraddittoria, illogica, perché la disposizione dell’art. 40 comma 6 della legge n. 47/1985, interpretata alla luce della sua ratio e coordinata con quella dell’art. 586 c.p.c., deve essere intesa nel senso che il termine decorre non già dalla data del decreto di trasferimento dell’immobile, sebbene da quella della sua consegna all’acquirente, nella quale si rende conoscibile l’effettivo stato di fatto e quindi anche l’esistenza di eventuali opere abusive.

2) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 40 comma 6 della legge n. 47/1985 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 586 c.p.c. – Omesso esame punti e documenti decisivi della controversia – Motivazione insufficiente, contraddittoria, illogica, ribadendosi che nel caso di specie non viene in rilievo una astratta tutela dell’affidamento dell’acquirente, sebbene la conoscibilità dell’esistenza dell’abuso edilizio.

3) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione della legge n. 47/1985 – Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Omesso esame punti decisivi della controversia – Motivazione illogica, insufficiente, contraddittoria, con riferimento alla ritenuta manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, riproposta sub:

4) Questione di illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 42 e 97 Cost., in quanto l’art. 40 comma 6, se interpretato nel senso preclusivo della sanatoria, introduce ingiustificata disparità di trattamento in danno di acquirenti d’immobili abusivi in esito a procedure esecutive, manifestamente incolpevoli ed estranei all’abuso, con compressione ingiustificata del diritto di proprietà, per esposizione alle sanzioni repressive edilizie, ivi compresa demolizione e acquisizione gratuita dell’area di sedime del manufatto-

Costituitasi in giudizio, Roma Capitale, con memoria difensiva depositata in vista dell’udienza di discussione, ha dedotto a sua volta l’infondatezza dell’appello, richiamando la motivazione della sentenza gravata.

Con memoria di replica, l’appellante ha insistito per l’accoglimento dell’impugnazione.

All’udienza pubblica del 19 marzo 2013 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.

2.) L’appello in epigrafe è fondato e deve essere accolto, onde in riforma della sentenza gravata e in accoglimento del ricorso in primo grado deve essere annullata la determinazione dirigenziale n. 58340 del 19 marzo 2002, salvi i provvedimenti ulteriori dell’amministrazione in ordine all’esame della domanda di condono edilizio.

Com’é noto l’art. 40 comma 6 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (come aggiunto dall’art. 8-bis, comma 4, del d.l. 23 aprile 1985, n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 1985, n. 298 e, successivamente, sostituito dall’art. 7, comma 2, del d.l. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 13 marzo 1988, n. 68) dispone che:

Nella ipotesi in cui l’immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all’entrata in vigore della presente legge”.

La disposizione fissa un termine perentorio ai fini della presentazione dell’istanza di sanatoria per opere abusive relative a immobili assoggettati a procedure esecutive che però deve razionalmente raccordarsi all’ipotesi in cui sia immediatamente e inequivocamente percepibile l’esistenza dell’illecito edilizio.

Nel caso di specie, il trasferimento riguardava in via principale l’appartamento, ex se legittimo, nonché due pertinenze, tra le quali il terrazzo in piano attico, riconosciute come tali e come parti indivisibili dell’immobile soltanto in esito alla perizia di stima del valore dell’immobile.

In effetti né nell’avviso di vendita all’incanto, né nella perizia di stima, né infine nel decreto di trasferimento si fa menzione alcuna della realizzazione sul terrazzo di un manufatto.

Ne consegue che nella specie il termine ex art. 40 comma 6 non poteva decorrere dalla data dell’atto di trasferimento, dovendo riferirsi invece al momento dell’effettiva scoperta e conoscenza dell’opera abusiva, che, in difetto di elementi di segno contrario, e secondo la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà allegato all’istanza di condono, deve farsi risalire al momento della conseguita consegna dell’immobile, per effetto dell’esecuzione dell’ordine di rilascio, ossia al 10 dicembre 2001, data rispetto alla quale la presentazione dell’istanza di sanatoria (18 marzo 2002) è affatto tempestiva.

3.) Alla stregua dei rilievi che precedono, sono pertanto fondati il primo e secondo motivo d’appello, che assorbono l’evocata questione di costituzionalità della disposizione, da interpretare nei sensi, costituzionalmente adeguati, che precedono.

4.) In relazione alla novità e peculiarità delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi per dichiarare compensate per intero tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie l’appello in epigrafe n.r. 9499/2011, e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II bis, n. 3851 del 4 maggio 2011 e, in accoglimento del ricorso proposto in primo grado, annulla la determinazione dirigenziale n. 58340 del 19 marzo 2002.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

Avv. Alessandro Barbieri

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Consiglio di Stato, sez. IV, 16/08/2017, n. 4007

Massima

Ai sensi dell’art. 32 comma 27 lett. d),d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in l. 24 novembre 2003,n. 326, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) si tratti di opere realizzate prima della imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo; in ogni caso, non possono essere sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa; in ogni caso non possono essere sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro  generale  1969  del  2010, proposto da:

Co. Fe., rappresentato e difeso dall’avvocato Sabrina Marcuccio,  con domicilio eletto presso  lo  studio  dell’avvocato  Francesca  Romana Nanni in Roma, viale Vaticano, 46;

contro

Comune di Sannicola, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Ri. Lu.,  rappresentata  e  difesa  dall’avvocato  Bruno  Bruno,  con domicilio eletto presso  lo  studio  dell’avvocato  Francesca  Romana Nanni in Roma, viale Vaticano, 46;

per la riforma della sentenza del T.a.r. per la  Puglia,  sede  staccata  di  Lecce, sezione  terza,  n.  385  del  6  marzo  2009,  resa  tra  le  parti, concernente il diniego della sanatoria di opere edilizie.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista  la  costituzione  in  giudizio  di  Ri.  Lu.  ed  il   ricorso incidentale proposto dalla stessa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore  nell’udienza  pubblica  del  giorno  25  maggio  2017    il consigliere  Nicola  D’Angelo  e  udito,  per  la  parte  appellante, l’avvocato  Marcello  Marcuccio,  su  delega  dell’avvocato   Sabrina Marcuccio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;

FATTO e DIRITTO

  1. Con provvedimento prot. n. 1193/06 del 31 gennaio 2006 il Comune di Sannicola ha negato al signor Co. Fe. ed alla signora Lu. Ri. il rilascio della sanatoria edilizia per talune opere abusive consistenti in un aumento di volume di un fabbricato di loro proprietà.
  2. Il Comune ha fondato il diniego dell’istanza di sanatoria sul rilievo che l’area interessata è soggetta a vincolo paesaggistico ed idrogeologico.
  3. I signori Fe. e Ri. hanno quindi proposto ricorso dinanzi al T.a.r. per la Puglia, sede staccata di Lecce, che con la sentenza indicata in epigrafe lo ha respinto.
  4. La sentenza è stata poi impugnata dal signor Fe. sulla base dei seguenti motivi di appello.

4.1. Nullità della sentenza ex art. 161 c.p.c. per violazione dell’art. 132 c.p.c..

4.1.1. La decisione del T.a.r. sarebbe nulla perché non è stata emessa nei confronti di tutte le parti evocate in giudizio. Secondo l’appellante, mentre il ricorso in primo grado è stato proposto anche dalla comproprietaria signora Ri. contro il Comune ed il dirigente dell’area tecnica, la sentenza è stata pronunciata solo nei confronti del signor Fe. e del comune di Sannicola. Il dirigente, tuttavia, sulla base dei suoi autonomi poteri di gestione nell’adozione degli atti in materia edilizia, avrebbe dovuto essere necessariamente destinatario della pronuncia.

4.2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 43, dell’art. 32, comma 27 lettera D) e lettera E), dell’art. 37, comma 25, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326/2003 e successive modificazioni, e degli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 – Violazione e fala applicazione della legge regionale della Puglia n. 28 del 2003 e n. 19 del 2004 – Illogicità manifesta – Eccesso di potere per erroneità dei presupposti.

4.2.1. Il vincolo di inedificabilità assoluta gravante sull’area su cui insiste il fabbricato oggetto delle opere abusive, sulla cui base il T.a.r. ha respinto il ricorso, non sussisterebbe. Secondo l’appellante, sull’immobile di cui è causa non graverebbe alcun vincolo e ciò sarebbe comprovato anche dalla sentenza del Tribunale di Lecce, sezione staccata di Gallipoli, nel procedimento penale a suo carico nella quale egli è stato condannato per la costruzione dell’immobile senza concessione edilizia, ma è stato assolto dall’imputazione di aver costruito in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed idrogeologico in assenza di autorizzazione.

4.2.2. Sarebbe inoltre errata la circostanza prospettata dal Comune nel diniego della sanatoria che l’abuso sarebbe ascrivibile alla tipologia 1 (cioè realizzato in difformità o assenza di titolo edilizio), in area soggetta al vincolo di cui all’art. 32, comma 43, del d.l. n. 269 del 2003. Trattandosi in ogni caso di un abuso minore, la legge regionale della Puglia n. 19 del 2004, che ha modificato la precedente legge regionale n. 28 del 2003, ne avrebbe comunque consentito la sanatoria.

4.2.3. Altrettanto errato sarebbe inoltre l’assunto del T.a.r. in ordine al mancato effetto sanante delle prescrizioni previste dal PUTT (Piano Urbanistico Territoriale Tematico) approvato dalla regione Puglia con delibera della Giunta reginale n. 1478 del 15 dicembre 2000. Ai sensi delle sue norme di attuazione (art. 5), nell’ambito dei cosiddetti territori costruiti (la zona è stata così individuata anche dal PUG del Comune di Sannicola), l’autorizzazione paesaggistica non andava richiesta in quanto già sottoposti alla tutela dello stesso PUTT. Il diniego opposto dal Comune è intervenuto sotto la vigenza del PUTT e quindi l’amministrazione avrebbe dovuto prescindere dal vincolo precedente.

4.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 51, lettera f), della legge regionale della Puglia n. 56 del 1980, dell’art. 1 quinquies del d.l. n. 312 del 1985, convertito con modificazione nella legge n. 431 del 1985, dell’art. 2, comma 2, della legge regionale della Puglia n. 30 del 1990, come modificata dalle leggi regionali nn. 2 del 1991 e 14 del 1993, dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985, dell’art. 1, comma 2, della legge n. 431 del 1985, dell’art. 32, comma 43, dell’art. 32, comma 27 lettera D) e lettera E), dell’art. 37, comma 25, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326/2003 e successive modificazioni, e degli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 – Violazione e fala applicazione della legge regionale della Puglia n. 28 del 2003 e n. 19 del 2004 – Traviamento dei fatti.

4.3.1. La conclusione del T.a.r. in odine alla sussistenza del vincolo di inedificabilità assoluta è errata anche perché non tiene conto che lo stesso, previsto dall’art. 51, lettera f), della legge regionale n. 56 del 1980 e dell’art. 1 quinquies del d.l. n. 312 del 1985 per le aree all’interno della fascia di 300 metri dal mare, non poteva essere applicato al momento della realizzazione dell’abuso (1999). Parte appellante evidenzia che nel Piano particolareggiato dell’area, approvato già dal 1988, l’immobile ricade in zona B1 – edilizia esistente, nella quale era consentito il completamento degli edifici esistenti nonché la costruzione di nuovi edifici per residenze turistiche o per usi commerciali. Il vincolo dei 300 metri dalla costa, che comunque a suo avviso avrebbe natura temporanea, non avrebbe perciò potuto riguardare le zona A, B e C individuate dagli strumenti urbanistici per esplicita previsione dello stesso art. 51 della legge regionale n. 56 del 1980 e dell’art. 1, comma 2, della legge n. 431 del 1985.

4.4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 – Omessa pronunci su un motivo di impugnazione dell’atto – Difetto di motivazione.

4.4.1. Il T.a.r non avrebbe esaminato il dedotto difetto di motivazione del provvedimento impugnato evidenziato nella mancata individuazione da parte dell’Amministrazione della natura del vincolo ritenuto sussistente nell’area.

4.5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 43, dell’art. 32, comma 27 lettera D) e lettera E), dell’art. 37, comma 25, del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326/2003 e successive modificazioni, e degli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 – Violazione e fala applicazione dell’art. 82 del DPR n. 616 n. 1977, così come integrato e modificato dall’art. 1 del d.l. n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 dl 1985, del d.lgs. n. 490 del 1999, degli artt. 5, comma 3, e 20, comma 3, del DPR n. 380 del 2001, dell’art. 1, comma 39, della legge n. 308 del 2004 – Violazione e falsa applicazione della legge n. 1479 del 1939 – Difetto di motivazione – illogicità manifesta – Travisamento dei fatti.

4.5.1. Il T.a.r. ha erroneamente ritenuto che anche un vincolo di inedificabilità relativa avrebbe legittimato l’adozione del provvedimento impugnato. L’imposizione del vincolo paesaggistico e idrogeologico ai sensi della legge n. 1479 del 1939 comporta infatti la sottoposizione delle opere al regime autorizzatorio di cui all’art. 7 della stessa legge. Pertanto, il dirigente dell’ufficio tecnico del Comune avrebbe dovuto avviare il relativo procedimento una volta presentata l’istanza di sanatoria.

  1. Il comune di Sannicola non si è costituito in giudizio.
  2. La signora Lu. Ri. si è costituita in giudizio ed ha contestualmente depositato ricorso incidentale, deducendo anch’essa la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 161 c.p.c. per violazione dell’art. 132 c.p.c.. La decisione del T.a.r. sarebbe nulla perché non è stata emessa anche nei suoi confronti seppure ricorrente in primo grado.
  3. Il signor Fe. ha depositato una relazione tecnica il 22 febbraio 2017 ed una memoria il 12 maggio 2017.
  4. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 25 maggio 2017.
  5. Preliminarmente, il Collegio rileva la tardività della memoria di parte appellante del 12 maggio 2017 per violazione dei termini di deposito di cui all’art. 73, comma 1, del c.p.a.. Pertanto, la stessa è esclusa dall’esame degli atti di causa.

Parimenti inammissibile, per violazione del divieto delle nuove prove sancito dall’art. 104 c.p.a., è la produzione documentale (perizia del geometra Tu.), effettuata per la prima volta in questo grado di giudizio.

  1. Ciò premesso, l’appello non è fondato.
  2. Con il primo motivo di appello si contesta la nullità della sentenza in quanto la stessa sarebbe stata pronunciata solo nei confronti dell’appellante e del Comune e non anche dell’altra ricorrente in primo grado, comproprietaria dell’immobile oggetto di giudizio, e del dirigente dell’ufficio tecnico comunale.

12 Il motivo è palesemente infondato, tenuto conto che:

– la mancata indicazione nella sentenza del nome dell’altra ricorrente (signora Lu. Ri.) costituisce un mero refuso che ben poteva essere eliminato mediante la procedura per la correzione dell’errore materiale prevista dall’art. 86 c.p.a.; sotto tale angolazione il Collegio dispone la correzione della impugnata sentenza nei sensi anzidetti;

– il provvedimento impugnato, seppure adottato nell’ambito dei poteri di gestione del dirigente, deve essere comunque imputato all’amministrazione comunale nel suo complesso, amministrazione che dunque deve è evocata in giudizio attraverso il suo legale rappresentate.

  1. Anche gli ulteriori motivi di appello, che possono essere trattati congiuntamente, sono da ritenere infondati specie alla luce degli specifici precedenti della Sezione (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 1935 del 27 aprile 2017 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d) c.p.a.).
  2. Innanzitutto, l’appellante con la relazione tecnica depositata il 22 febbraio 2017 tende ad introdurre nuove prove nel giudizio in violazione dell’art. 104 del c.p.a.. Il Collegio, come già precisato, esamina perciò la controversia alla luce delle risultanze emerse nel corso del giudizio di primo grado.
  3. Le opere abusive di cui è causa, come risulta incontestabilmente, ricadano in un’area posta ad una distanza inferiore a 300 metri dalla linea di battigia. Per questo motivo il Comune di Sannicola, le ha ritenute non sanabili in costanza del vincolo apposto proprio su tale fascia costiera. In particolare, l’abuso in questione è stato realizzato in un’area sottoposta al vincolo di inedificabilità assoluta previsto dall’art. 51, lettera f), della legge regionale n. 56 del 1980 (a meno di 300 metri dalla linea di battigia) e dall’art. 1 quinquies del d.l.. n. 312 del 1985, convertito con modificazioni nella legge n. 431 del 1985 (quest’ultima legge poi abrogata dall’art. 166 del d.lgs. n. 490 del 1999).
  4. Conseguentemente, il Comune ha fatto applicazione l’art. 32, comma 27, lettera D), del DL n. 269 del 2003: ” 27. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:……d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;“.
  5. L’art. 2, comma 1, della legge della regione Puglia n. 28 del 2003, così come modificato dall’art. 4 della legge n. 19 del 2004, ha poi previsto che: “Fermo restando il disposto dell’articolo 32, comma 26, del d.lgs. 269/2003, per i numeri da 1 a 3 dell’allegato 1 e purché gli abusi abbiano i requisiti previsti dall’articolo 31, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella Regione Puglia sono suscettibili di sanatoria le tipologie di illecito di cui ai n. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 al d.lgs. 269/2003.”
  6. Tuttavia, la sanabilità in Puglia degli abusi maggiori (nn.da 1 a 3 dell’Allegato 1 al d.l. n. 269 del 2003) e di quelli minori (nn.da 4 a 6 dell’allegato) non opera sempre.
  7. Il combinato disposto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985 e del citato art. 32 comma 27, lettera D) del d.l. n. 269 del 2003 comporta infatti che, come nel caso di specie, se un abuso è commesso su un bene vincolato non si può procedere al condono se ricorrono, insieme, talune circostanze: l’imposizione del vincolo di inedificabilità precedente alla esecuzione delle opere; la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio; la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
  8. Ed infatti la giurisprudenza di questa Sezione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1935 del 2017 cit.), ha avuto modo di recente di rilevare, esattamente in termini, che ” Ai sensi dell’art. 32 comma 27 lett. d),d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in l. 24 novembre 2003,n. 326, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) si tratti di opere realizzate prima della imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo; in ogni caso, non possono essere sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa; in ogni caso non possono essere sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa.
  9. D’altra parte, si tratta di principi pacifici secondo i quali qualsiasi vincolo, assoluto o relativo o temporaneo, antecedente alla data di realizzazione delle opere abusive inibisce il condono straordinario (cfr. Corte cost. n. 225 del 2012, che dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 27, lettera d) del DL n. 269 del 2003; Ad. plen. n. 4 del 2009; Cass. pen. 12 gennaio 2007).
  10. Come rilevato dal T.a.r., l’area in questione è anche sottoposta ad vincolo di inedificabilità relativa previsto dall’art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977 (così come integrato dall’art. 1 del DL n. 312 del 1985, convertito con modificazioni nella legge n. 431 del 1985). Quest’ultimo vincolo è stato poi reiterato dall’art. 146 del d.lgs. n. 490 del 1999. (che è entrato in vigore l’11 gennaio 2000), coprendo quindi l’arco di realizzazione temporale dell’abuso (fine 1999 – inizio 2000).
  11. Contro la suddetta ricostruzione non può poi essere invocata l’entrata in vigore del PUTT, approvato il 15 dicembre 2000 dalla Giunta regionale della Puglia, in quanto gli abusi si sono realizzati in un arco temporale antecedente nel quale era comunque in vigore il vincolo dei 300 metri (abusi realizzati tra la fine del 1999 e gli inizi del 2000). Irrilevante, dunque, l’asserito venir meno dei vincoli di inedificabilità ad opera dello stesso PUTT.
  12. Quanto infine al richiamo alla intervenuta assoluzione in sede penale dell’appellante per la costruzione delle opere in una zona vincolata, va rilevato che, a prescindere dai principi di autonomia dei due procedimenti, quello amministrativo e quello penale, le risultanze in ordine alla sussistenza del vincolo non appaiono in dubbio. Quello che invece contesta parte appellante è la permanenza e l’efficacia del vincolo stesso e la sua operatività all’atto del provvedimento di diniego, circostanza che non riguarda dunque l’accertamento nel momento della decisione del giudice penale.
  13. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e per l’effetto va confermata la sentenza impugnata.
  14. Di conseguenza, va anche respinto l’appello incidentale proposto dalla signora Lu. Ri..
  15. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c..

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

  1. Nulla sulle spese del presente grado di giudizio.
  2. La manifesta infondatezza dell’appello rileva, eventualmente, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, nr. 208, conformemente ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo Cass. civ., sez. VI, n. 11939 del 2017 e n. 22150 del 2016).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto: – respinge l’appello principale e quello incidentale e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata; – nulla per le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Oberdan Forlenza, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

Nicola D’Angelo, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 16 AGO. 2017.

 

Avv. Alessandro Barbieri

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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Presentazione: UnicaMente incontra la città

È nata a Napoli UnicaMente, una rete multidisciplinare di professionisti che operano nel campo del diritto e dell’economia. Una rete di professionisti capaci di lavorare insieme, come un’unica mente, e di interagire per fornire al cliente la massima competenza, grazie ad una ripartizione di specifici ambiti di competenza. UnicaMente raggruppa 16 studi professionali per un totale che supera i 50 professionisti e si articola in 5 aree di competenza: Area diritto Civile per il cittadino e le famiglie; Area diritto Civile per le imprese; Area diritto Penale; Area diritto Amministrativo e in ultimo ma non per importanza l’area Commerciale. In italiano unicamente significa anche «in modo particolare» ed è proprio questo quello che la rete di professionisti vuole fare, offrire, ai cittadini e alle imprese, risposte innovative ai loro problemi, dargli un’assistenza quanto più completa possibile, ma soprattutto proporre un modo differente di lavorare che, grazie al lavoro di gruppo, faccia coincidere l’esigenza di competenze sempre più specifiche a quella visione d’insieme che è necessaria per affrontare qualsiasi problematica. UnicaMente si è presentata lunedì 28 maggio alla città e ha invitato alcuni suoi prestigiosi esponenti ad un confronto per discutere insieme del rapporto tra il mondo delle professioni e la città, sia essa quella dolente, bisognosa di tutela e diritti, sia quella produttiva, non solo di ricchezze e posti di lavoro ma anche di idee e prospettive.

Galleria fotografica della Presentazione

UnicaMente, la prima rete multidisciplinare di professionisti

Oltre ai professionisti aderenti alla rete hanno partecipato:

 Sergio D’Angelo 

Presidente ABC

 Emilio D’Angelo 

Imprenditore CIS

 Giuseppe Oliviero 

Vicepresidente CNA

 Giandomenico Lepore 

Presidente Camera Arbitrale Camera di Commercio

 Bruno Discepolo 

Architetto

 Massimo Milone 

Direttore Rai Vaticano

 Vincenza Amato 

Consigliere Regionale

 Edoardo Imperiale 

Direttore Generale della Stazione Sperimentale per l’industria delle pelli e delle materie concianti

 Francesco Eriberto D’Ippolito 

Professore Universitario e Difensore Civico della Regione Campania

 Franco Malvano 

Commissario Antiracket Regione Campania

(Intervistati da Leandro Del Gaudio, giornalista del Mattino)

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