T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, n. 03802/2018

R E P U B B L I C A   I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3632 del 2016, integrato da motivi
aggiunti, proposto da
Salvatore Iovine, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro Barbieri,
Andrea Torino, Raffaele Pesce, con domicilio eletto presso lo studio
Alessandro Barbieri in Napoli, via Loggia dei Pisani, 13;

contro
Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, in persona del
Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvoc.Distrett. dello Stato di
Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz, 11;
nei confronti
Maurizio Tessitore non costituito in giudizio;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
quanto al ricorso principale,
-) del provvedimento di mancata ammissione alla prova orale del concorso
per il reclutamento personale docente su posti comun
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grado ed afferenti alla classe di concorso a064;
-) dell’avviso di convocazione alla prova orale dell’11.07.2016;
-) dei verbali della commissione esaminatrice;
-) del verbale n. 1 del 20.06.2016 e relativi allegati;
-) dei decreti di nomina della commissione del 06.05.2016 e del 06.06.2016;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
-) del decreto di approvazione della graduatoria prot. AOO-DRCA-0012455
del 02.09.2016;
-) di tutti gli atti presupposti e consequenziali;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione
dell’Universita’ e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 maggio 2018 il dott. Luca Cestaro
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

 

FATTO

1.1. Il presente ricorso è stato proposto da Salvatore IOVINE avverso gli atti
della procedura concorsuale bandita con D.D.G. M.I.U.R. n. 106/2016 per
posti di docente nella scuola e, in particolare, per posti di docente nella classe
di concorso A64 (Teoria, analisi e composizione).
1.2. Il ricorrente, infatti, non è stato ammesso alla prova orale (con atto
pubblicato sul sito del M.I.U.R. in data 12.07.2016) a seguito di una
insufficiente valutazione della prova scritta e, con il ricorso principale,
contesta tale conclusione poiché asseritamente viziata da plurimi profili di
difetto istruttorio e carenza di motivazione.
1.3.1. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 15.09.2016 e depositato il
14.10.2016, la parte ricorrente oltre a precisare le proprie, inizialmente
generiche, censure circa l’abnormità della valutazione operata in sede di prove
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scritte, censura l’incompatibilità per conflitto di interessi del prof. Pagliarulo,
componente della commissione.
1.3.2. Il ricorrente, infatti, espone che il commissario indicato, ai sensi dell’art.
6 del CCNI del 15.06.2016 applicabile al caso di specie, potrebbe aver diritto
ad essere utilizzato quale docente nei posti eventualmente vacanti all’esito
della procedura di cui è commissario, in quanto già docente nei licei musicali
in materie affini (nelle materie afferenti alla diversa classe di concorso ex
A31). In sostanza, si lamenta che il prof. Pagliarulo potrebbe trarre un
vantaggio dalla mancata totale copertura dei posti e, invero, i vincitori di
concorso sono risultati essere appena 8 su 32 posti.
1.4. Il Collegio, che già aveva accolto l’istanza cautelare – così confermando il
precedente decreto presidenziale n. 4145/2016 – con ordinanza n.
1458/2016, rendeva una prima ordinanza istruttoria per chiarire la posizione
del prof. Pagliarulo e, inoltre, ordinava l’integrazione del contraddittorio nei
confronti dei controinteressati oltre che del medesimo Pagliarulo (ordinanza
n. 1793/2017). La parte ricorrente adempiva all’ordine di integrazione del
contraddittorio (v. doc. depositata il 25.05.2017), mentre l’Amministrazione
restava inerte, circostanza che induceva il Collegio a rendere una nuova
ordinanza istruttoria (n. 4334/2017).
1.5. La Pubblica amministrazione intimata, depositando in data 19.12.2017 la
trascrizione di una e-mail a firma del dirigente Maria Teresa De Lisa, rendeva,
al fine una scarna dichiarazione in cui confermava che il prof. Pagliarulo era,
in atto, ‘utilizzato’ quale docente della classe A64 presso l’I.S. Albertini di
Nola ai sensi dell’art. 6 bis “dell’ordinanza sulle utilizzazioni ed assegnazioni
provvisorie” e precisava che, la classe A64 era di nuovo conio (2016) di talché
non potevano esserci docenti in ruolo per tale classe di concorso.
1.6. All’esito dell’udienza pubblica del 09.05.2018, la causa era trattenuta in
decisione.

DIRITTO

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2. Preliminarmente, va detto che il ricorso principale e il ricorso per motivi
aggiunti sono entrambi tempestivi. L’atto impugnato, infatti, è stato
pubblicato sul sito del M.I.U.R. il 12.07.2016: anche il ricorso per motivi
aggiunti, notificato, il 15.9.2016 è ampiamente entro il termine di 60 giorni di
cui all’art. 29 c.p.a. in considerazione della sospensione dei termini durante il
periodo feriale.
3.1. Nel merito, assume un rilievo del tutto assorbente il conflitto di interessi
del prof. Pagliarulo che, com’è stato riconosciuto dalla stessa
Amministrazione intimata, si trova nelle condizioni di docente “utilizzato”
nella classe di concorso in esame (quale docente di ruolo nelle classi A31,
A32, A77) e, anzi, di esserlo tutt’ora.
3.2.1. Sebbene, in assenza di abilitati nella classe di concorso A64,
l’utilizzazione di docenti provenienti da diverse classi di concorso sia un
evento ordinario (ai sensi dell’art. 6 bis del C.C.N.I. applicabile; v. prod. della
parte ricorrente del 20.01.2017), l’eventuale copertura del posto da parte di un
vincitore di concorso nella specifica classe potrebbe comportare conseguenze
non favorevoli per i docenti attualmente “utilizzati”; costoro, infatti,
potrebbero diventare soprannumerari ed essere costretti, quanto meno, al
trasferimento.
3.2.2. Prima di operare una brevissima ricostruzione della disciplina di cui al
menzionato C.C.N.I., va ulteriormente evidenziato che la P.A. non ha reso la
relazione richiesta con le menzionate ordinanze istruttorie che avrebbe potuto
lumeggiare la posizione del Pagliarulo anche sul piano della normativa
contrattuale applicabile, ma ha ammesso che costui è, in atto, utilizzato quale
docente nella classe di concorso per la quale era stato nominato commissario.
3.2.3. Passando, quindi, all’esame del predetto contratto collettivo, si
evidenzia che i docenti con possibilità di richiedere l’ ”utilizzazione” sono
quelli a cui non è stata assegnata la sede richiesta poiché, ad esempio,
soprannumerari o trasferiti a domanda condizionata o trasferiti d’ufficio o
privi di sede definitiva (v. art. 2 del C.C.N.I.). Inoltre, il sistema delle
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utilizzazioni è a domanda, con formazione di una graduatoria, circostanza che
rende evidente l’interesse del prof. Pagliarulo, quale docente appunto
“utilizzato” in altra classe di concorso, a non vedersi pregiudicato nella
propria possibilità di essere ‘utilizzato’ nelle sedi richieste (quale, si è detto, è
quella in cui attualmente presta servizio).
3.3. Né il prof. Pagliarulo, evocato quale controinteressato, né, come si è
detto, la P.A. hanno fornito le basi per una ricostruzione alternativa a quella
appena proposta, volta a escludere, ad esempio in ragione di peculiari
circostanze di fatto, la ricorrenza in concreto del conflitto di interessi.
3.4. Deve, quindi, darsi per accertato che il prof. Pagliarulo versasse in una
palmare condizione di conflitto di interessi, potendo trarre un vantaggio dalla
mancata copertura dei posti della classe A64 tra i quali la conservazione della
possibilità di essere ‘utilizzato’ negli istituti scolastici della Regione Campania,
dove i posti sarebbero stati, invece, per lo più occupati dai vincitori di
concorso.
4.1. Sebbene in un caso a questo assimilabile la giurisprudenza amministrativa
abbia deciso diversamente (T.A.R. Aosta, sez. I, 10/08/2017, n. 49), il
Collegio ritiene che in questo caso il conflitto di interessi sia rilevante e, in
quanto tale, vizi irrimediabilmente gli atti della commissione di concorso.
4.2. Va ribadito che, anche se non ricorra uno dei casi espressamente previsti
dall’art. 51 c.p.c. (che regola gli obblighi di astensione del giudice), è
necessario che l’amministrazione operi in conformità ai canoni di imparzialità
e di buona amministrazione (art. 97 Cost.) che impongono di evitare
qualsivoglia conflitto di interessi in capo ai soggetti che concorrono a formare
la volontà della P.A..
4.3. Non può, invero, dubitarsi che un simile principio sia immanente
nell’ordinamento; basti richiamare, in proposito, l’art. 6 bis della
fondamentale legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990) che
impone l’obbligo di astensione al responsabile del procedimento (e ai titolari
degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti
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endoprocedimentali e il provvedimento finale) in caso di conflitto di interessi,
“segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”. È, altresì, utile
richiamare l’art. 323 c.p. che, nel delineare i presupposti per la configurabilità
del reato di abuso di ufficio, prevede, appunto l’ipotesi del conflitto di
interesse tra quelle idonee a integrare il reato (vi sono, poi, altri presupposti
che non occorre precisare in tale sede).
4.4. Va segnalato che la giurisprudenza amministrativa, specialmente in tempi
recenti, ha assunto orientamenti improntati a una crescente severità sul punto,
sanzionando, ad esempio, con l’annullamento le valutazioni delle commissioni
di concorso in cui fosse venuto in evidenza un intenso rapporto di
collaborazione scientifica tra commissario e candidato (v. Consiglio di Stato,
sez. VI, 18/07/2014, n. 3850; T.A.R. Napoli, sez. II, 25/01/2017, n. 503;
T.A.R. Palermo, sez. II, 18/10/2016, n. 2397).
4.5. La sussistenza del conflitto di interessi in capo al prof. Pagliarulo, integra,
quindi, l’illegittimità dell’atto sia per la violazione del principio di imparzialità
sia, comunque, in quanto costituisce un evidente indice sintomatico di uno
sviamento rilevante come eccesso di potere nella misura in cui è stata coperta
una percentuale minima dei posti messi a concorso (appena 8 su 32).
5.1. Neppure può farsi ricorso alla cd. prova di resistenza onde verificare se il
voto del Pagliarulo sia o meno stato determinante ai fini della bocciatura del
ricorrente e ciò in quanto la giurisprudenza ha chiarito che è già viziante la
mera partecipazione ai lavori del collegio del componente portatore
dell’interesse divergente da quello che dovrebbe guidare la valutazione tecnica
dell’organo.
5.2. Infatti, la mera partecipazione alla discussione è sufficiente per
influenzare gli altri componenti con conseguente alterazione dell’ordinario
procedimento di formazione della valutazione collegiale (Consiglio di Stato,
sez. V, 13/06/2008, n. 2970; T.A.R. Salerno, sez. II, 17/03/2014, n. 576;
T.A.R. Genova, sez. I, 15/05/2010, n. 2584).
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6.1 Le ulteriori censure svolte da parte ricorrente sono da ritenersi, quindi,
superate in quanto l’illegittima composizione della commissione rende del
tutto irrilevante l’eventuale erroneità del singolo giudizio formulato
nell’esercizio della propria attività tecnico-discrezionale (i cui margini di
sindacabilità, peraltro, sarebbero stati ridotti).
6.2. Il conflitto di interessi segnalato, peraltro, oltre a costituire una violazione
di legge per il mancato rispetto del principio di imparzialità, costituisce, altresì,
sintomo di eccesso di potere per sviamento.
7.1. Resta da esaminare la questione della perimetrazione della pronuncia di
annullamento, dovendosi considerare che, per quanto il ricorrente abbia
insistito nel proporre la domanda di annullamento limitatamente alla parte in
cui non ammette il ricorrente allo svolgimento della prova orale, la censura è
senz’altro idonea a travolgere l’intera procedura.
7.2. Invero, la giurisprudenza amministrativa qualifica la graduatoria di
concorso come atto plurimo – come tale composto da singoli atti riferibili ai
singoli partecipanti – con la conseguenza che i motivi di ricorso che si
appuntino sulla posizione soggettiva di uno o più ricorrenti non si estendono
agli altri soggetti che sono, quindi, onerati a proporre un distinto gravame.
Tuttavia, quando, come nel caso di specie, i vizi inficino l’atto “globalmente”,
si impone la diversa conclusione che anche l’annullamento debba essere
riferito all’intera procedura; si determina, infatti, “l’invalidità di tutta l’attività
compiuta dall’organo viziato, ivi compresi le prove e l’esito del concorso”
(Consiglio di Stato, sez. V, 07/10/2002, n. 5279; v. anche, Consiglio di Stato,
sez. IV, n. 2826/2013 e sez. III, n. 5413/2017. Per l’annullamento dell’intera
graduatoria in ragione dell’illegittima composizione della commissione v.
T.A.R. Napoli, IV sezione, n. 1821/2014 e n. 2037/2014 e T.A.R. Milano,
sez. III, 23/07/2015, n. 1808).
7.3. Non v’è ragione, invece, né interesse all’annullamento degli atti generali
del M.I.U.R. rispetto ai quali il ricorrente, pur menzionandoli, non muove
alcuna censura.
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8.1. Alla luce di tutto quanto precede, il ricorso deve essere accolto con
conseguente annullamento degli atti della intera sequenza procedimentale a
partire dal decreto di nomina della commissione, ivi compresi, quindi, le
prove, le valutazioni effettuate e l’intera graduatoria.
8.2. Le spese di lite – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza come
per legge.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
-) accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla gli atti della procedura concorsuale
a partire dal decreto di nomina della commissione sino agli atti di
approvazione della graduatoria;
-) condanna il M.I.U.R. al pagamento delle spese di lite in favore della parte
ricorrente che si liquidano in euro 2.000,00 oltre agli accessori di legge, al
contributo unificato nella misura effettivamente versata e alle spese di
integrazione del contraddittorio;
-) ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2018 con
l’intervento dei magistrati:

Anna Pappalardo, Presidente
Ida Raiola, Consigliere
Luca Cestaro, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

Luca Cestaro

IL PRESIDENTE

Anna Pappalardo

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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Sostegno alle imprese: innovazione tecnologica

Avviso pubblico per il sostegno alle imprese campane nella realizzazione di studi di fattibilità e progetti di trasferimento tecnologico

 

È stato pubblicato sul BURC n. 36 del 21/05/2018 l’avviso pubblico per il sostegno alle imprese campane nella realizzazione di studi di fattibilità (Fase 1) e progetti di trasferimento tecnologico (Fase 2) coerenti con la RIS3 Campania – PO FESR 2014-2020 Asse 1 OS 1.1 Azione 1.1.2 e Azione 1.1.4.

La FASE 1 riguarda gli Studi di fattibilità – Concorso per MPMI per esplorare la fattibilità e il potenziale commerciale di idee innovative sviluppate anche con il concorso di ricercatori presso l’impresa stessa. Dotazione 5 milioni di euro.

La FASE 2 riguarda i Progetti di Trasferimento Tecnologico e di prima Industrializzazione per le imprese innovative e ad alto potenziale. Dotazione 30 milioni di euro.

Inoltre, in attuazione del Protocollo di intesa tra Regione Campania e Clean Sky 2, l’intervento Fase 2 prevede una dotazione aggiuntiva di 10 milioni di euro da utilizzare con priorità per i progetti riguardanti le traiettorie previste dalla Strategia di Specializzazione Intelligente della Regione Campania (RIS3 Campania) in ambito “Aerospazio” e identificate come coerenti con gli obiettivi di Clean Sky 2.

Obiettivi

Si intende finanziare le seguenti attività di innovazione tecnologica:

  • Fase 1 – Studi preliminari per MPMI per esplorare la fattibilità tecnica ed economica, la difendibilità intellettuale ed il potenziale commerciale di idee innovative sviluppate anche con il concorso di ricercatori presso l’impresa stessa;
  • Fase 2 – Supporto di progetti, anche collaborativi, di sviluppo precompetitivo trasferimento tecnologico da parte delle MPMI campane.

Per «studio di fattibilità» si intende “la valutazione e l’analisi del potenziale di un progetto, finalizzate a sostenere il processo decisionale individuando in modo obiettivo e razionale i suoi punti di forza e di debolezza, le opportunità e i rischi, nonché a individuare le risorse necessarie per l’attuazione del progetto e, in ultima analisi, le sue prospettive di successo”.

Gli studi di fattibilità dovranno riguardare una o più Traiettorie Tecnologiche Prioritarie, rispetto ad uno o più domini tecnologici-produttivi, così come individuate dal documento RIS3 Campania, di cui alla DGR n. 773 del 28/12/2016 e in particolare le seguenti attività: Proprietà intellettuale; Ricerca partner; Progettazione tecnica; Valutazione del rischio; Analisi di fattibilità tecnica ed economico/finanziaria; Business planning;  Verifica su applicazioni pilota e proof of concept.

Nell’ambito della Fase 2, ai sensi dell’art. 25, comma 2, lettere b) e c), del Regolamento (UE) n. 651/2014, sono ammissibili le attività di:

1. ricerca industriale;

2. sviluppo sperimentale.

 

Per «sviluppo sperimentale» si intende: l’acquisizione, la combinazione, la strutturazione e l’utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti di natura scientifica, tecnologica, commerciale e di altro tipo allo scopo di sviluppare prodotti, processi o servizi nuovi o migliorati. Rientrano in questa definizione anche altre attività destinate alla definizione concettuale, alla pianificazione e alla documentazione di nuovi prodotti, processi o servizi. Rientrano nello sviluppo sperimentale la costruzione di prototipi, la dimostrazione, la realizzazione di prodotti pilota, test e convalida di prodotti, processi o servizi nuovi o migliorati, effettuate in un ambiente che riproduce le condizioni operative reali laddove l’obiettivo primario è l’apporto di ulteriori miglioramenti tecnici a prodotti, processi e servizi che non sono sostanzialmente definitivi.

Lo sviluppo sperimentale può quindi comprendere lo sviluppo di un prototipo o di un prodotto pilota utilizzabile per scopi commerciali che è necessariamente il prodotto commerciale finale e il cui costo di fabbricazione è troppo elevato per essere utilizzato soltanto a fini di dimostrazione e di convalida.

Per «ricerca industriale» si intende: ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze e capacità da utilizzare per sviluppare nuovi prodotti, processi o servizi o per apportare un notevole miglioramento ai prodotti, processi o servizi esistenti. Essa comprende la creazione di componenti di sistemi complessi e può includere la costruzione di prototipi in ambiente di laboratorio o in un ambiente dotato di interfacce di simulazione verso sistemi esistenti e la realizzazione di linee pilota, se ciò è necessario ai fini della ricerca industriale, in particolare ai fini della convalida di tecnologie generiche;

Le attività di sviluppo sperimentale devono generare almeno il 60% dei costi complessivi previsti nell’ambito del progetto di trasferimento tecnologico.

L’intervento è finalizzato altresì a perseguire gli obiettivi della RIS3 Campania che ha individuato le Aree di specializzazione intelligente nelle filiere tecnologiche regionali (Aerospazio; Trasporti di superficie e Logistica avanzata; Biotecnologie, Salute dell’uomo e Agroalimentare; Beni culturali, Turismo e Edilizia sostenibile; Energia e Ambiente; Materiali avanzati e Nanotecnologie), anche in riferimento all’evoluzione delle industrie tradizionali (es. sistema moda) e ai mercati emergenti individuati (Blue Economy, Bio-Economy, Manifattura 4.0; Industrie creative) e a stimolare la partecipazione qualificata delle imprese campane alla presentazione di progetti finanziati con altri programmi europei per la ricerca e l’innovazione.

Nell’ottica di favorire le sinergie tra i fondi strutturali e i fondi del programma Horizon 2020 in materia di ricerca, innovazione e competitività, l’Avviso intende valorizzare i progetti che hanno ottenuto il “Seal of Excellence” sullo SME Instrument.

Destinatari

Possono presentare le proposte per l’accesso ai finanziamenti previsti dal presente Avviso, le micro, piccole e medie imprese (MPMI), che siano costituite alla data di presentazione della domanda, esclusivamente in forma singola, per la Fase 1, e in forma singola o associata, per la Fase 2.
Relativamente alla Fase 2, in caso di presentazione in forma associata, è necessario che già in sede di presentazione della domanda di agevolazione l’impresa presenti la domanda congiuntamente ad una o più MPMI e/o ad uno o più organismi di ricerca (OdR), a condizione che nessuna delle imprese partecipanti sostenga più del 70% dei costi del programma e/o che gli OdR sostengano costi per un ammontare non inferiore al 10% e non superiore al 30%.
In tal caso, la collaborazione tra le imprese partecipanti e/o gli OdR deve essere formalizzata con apposito contratto e/o documentazione comprovante la costituzione di forme di associazione anche temporanea.

La presentazione delle domande dovrà avvenire a mezzo PEC all’indirizzo avvisotrasferimentotecnologico@pec.regione.campania.it a partire dalle 12 del 45° giorno dalla pubblicazione dell’avviso nel BURC (14/08/2018). L’Avviso prevede una procedura di selezione a “sportello valutativo”, per entrambe le Fasi, e la concessione di agevolazioni in conto capitale.

 

Vittorio Caliendo Dottore Commercialista e Revisore Legale

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Sostegno alle imprese sociali: agevolazioni e programmi di investimento

Agevolazioni alle imprese per la diffusione e il rafforzamento dell’economia sociale

 

La misura Imprese dell’economia sociale è l’agevolazione messa a disposizione dal Ministero dello Sviluppo Economico per promuovere la diffusione e il rafforzamento dell’economia sociale, sostenendo la nascita e la crescita delle imprese che operano, in tutto il territorio nazionale, per il perseguimento di meritevoli interessi generali e finalità di utilità sociale.

Destinatari

Si rivolge alle:

. Imprese sociali, di cui all’art. 1 del d.lgs. 112/2017 – provvedimento che dal 20 luglio 2017 ha abrogato il previgente d.lgs. 155/2006 – iscritte nella sezione speciale delle imprese sociali del Registro delle imprese, purché costituite in forma di società (di persone o di capitali)

. Cooperative sociali, di cui alla legge 381/1991 e relativi consorzi, iscritte nella categoria «cooperative sociali» dell’Albo nazionale delle società cooperative del Ministero dello sviluppo economico- dal 20 luglio 2017 le cooperative sociali hanno acquisito la qualifica di imprese sociali (art. 1, comma 4, del d.lgs. 112/2017)

. Società cooperative con qualifica di ONLUS, di cui al d.lgs. 460/1997, iscritte nell’Albo nazionale delle società cooperative del Ministero dello sviluppo economico e nell’Anagrafe unica delle ONLUS, presso il Ministero dell’economia e delle finanze.

Che alla data di presentazione della domanda:

. sono regolarmente costituite e iscritte nel Registro delle imprese e inserite negli elenchi, albi, anagrafi previsti dalla rispettiva normativa di riferimento;

. sono in regime di contabilità ordinaria;

. sono nel pieno e libero esercizio dei propri diritti e non sono in liquidazione volontaria o sottoposte a procedure concorsuali;

. hanno sede legale e operativa ubicata nel territorio nazionale;

. sono in regola con le disposizioni vigenti in materia di normativa edilizia ed urbanistica, del lavoro, della prevenzione degli infortuni e della salvaguardia dell’ambiente e sono in regola con gli obblighi contributivi;

. hanno ricevuto una positiva valutazione del merito di credito da parte della banca finanziatrice e dispongono di una delibera di finanziamento adottata dalla medesima banca finanziatrice per la copertura finanziaria del programma di investimenti proposto. Nel caso di grandi imprese, ai sensi dei Regolamenti de minimis, la valutazione della capacità economico-finanziaria deve assegnare all’impresa richiedente un rating comparabile almeno a B -.

 

Programmi di investimento

Finanzia i programmi di investimento proposti dalle imprese operanti nell’ambito dell’economia sociale. I programmi di investimento devono prevedere spese ammissibili, al netto di IVA, non inferiori a 200.000,00 euro e non superiori a 10.000.000,00 di euro.

I programmi devono perseguire uno o più degli obiettivi previsti all’art. 8, comma 1, del decreto interministeriale 14 febbraio 2017, ossia:

1. incremento occupazionale di categorie svantaggiate;

2. inclusione sociale di soggetti vulnerabili;

3. raggiungimento di specifici obiettivi volti alla salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente, del territorio e dei beni storico-culturali;

4. conseguimento di ogni altro beneficio derivante da una attività di rilevante interesse pubblico o di utilità sociale in grado di colmare uno specifico fabbisogno all’interno di una comunità o territorio attraverso un aumento della disponibilità o della qualità di beni o servizi.

I programmi ammissibili, altresì devono essere:

. compatibili con le finalità statutarie dell’impresa proponente;

. ricadere nell’ambito dei settori di attività sociale relativi a ciascuna tipologia di impresa beneficiaria secondo le disposizioni della disciplina sociale vigente;

. funzionali all’attività di interesse generale esercitata dall’impresa nell’ambito dei settori d’appartenenza.

Le spese sostenute nell’ambito dei programmi d’investimento per essere ammissibili devono essere necessarie alle finalità del programma di investimento proposto, sostenute dall’impresa beneficiaria, a partire dalla data di presentazione della domanda e relative all’acquisto di beni e servizi rientranti nelle seguenti categorie:

. suolo aziendale e sue sistemazioni;

. fabbricati, opere edili / murarie, comprese le ristrutturazioni;

. macchinari, impianti ed attrezzature varie nuovi di fabbrica;

. programmi informatici commisurati alle esigenze produttive e gestionali dell’impresa; brevetti, licenze e marchi;

. formazione specialistica dei soci e dei dipendenti dell’impresa beneficiaria, funzionali alla realizzazione del progetto;

. consulenze specialistiche, quali studi di fattibilità economico-finanziaria, progettazione e direzione lavori, studi di valutazione di impatto ambientale;

. oneri per le concessioni edilizie e collaudi di legge;

. spese per l’ottenimento di certificazioni ambientali o di qualità;

. spese generali inerenti allo svolgimento dell’attività d’impresa.

 

Agevolazioni

Consistono nella concessione di un finanziamento di durata fino a 15 anni, comprensiva di un periodo di preammortamento massimo di 4 anni al tasso agevolato dello 0,5 per cento annuo.

Al finanziamento agevolato deve essere associato un finanziamento bancario, a tasso di mercato e di pari durata, erogato da una banca finanziatrice individuata dall’impresa nell’ambito dell’elenco delle banche che hanno aderito alla Convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico, l’Associazione Bancaria Italiana e Cassa Depositi e Prestiti del 28 luglio 2017.

Il finanziamento agevolato e il finanziamento bancario vengono regolati in modo unitario da un unico contratto di finanziamento gestito dalla banca finanziatrice, per una copertura delle spese ammissibili pari all’80% dell’importo complessivo del programma d’investimento, di cui una quota pari al 70% a titolo di finanziamento agevolato e una quota pari al 30% di finanziamento bancario.

Le agevolazioni sono concesse a titolo di “de minimis” ai sensi dei Regolamenti (UE) n. 1407/2013 e n. 1408/2013 per il settore agricoltura  e n. 717/2014 per il settore della pesca e dell’acquacoltura.

Istanza

Ai fini dell’accesso al finanziamento agevolato le imprese devono aver ricevuto positiva valutazione del merito di credito da parte di una banca finanziatrice selezionata dall’impresa nell’ambito dell’elenco delle banche aderenti alla Convenzione MiSE – ABI – CDP del 28 luglio 2017.

La domanda di agevolazione deve essere redatta in formato elettronico attraverso la compilazione dell’allegato 1, sottoscritta dal legale rappresentante dell’impresa o da un suo procuratore mediante firma digitale, e presentata al Ministero, a mezzo PEC, all’indirizzo: es.imprese@pec.mise.gov.it.

 

Vittorio Caliendo Dottore Commercialista e Revisore Legale

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PROCEDURA ESECUTIVA E DIRITTO ALL’ABITAZIONE

Secondo la Corte di Giustizia Europea va bloccato il pignoramento eseguito sulla prima casa del consumatore, se il contratto di mutuo contiene clausole vietate dalla Direttiva UE/93/2013

 

Il Giudice nazionale può bloccare provvisoriamente la Banca o la Finanziaria che mette all’asta la casa se nel contratto di mutuo sono presenti delle clausole “abusive”, ovvero tutte quelle clausole vietate dalle direttive UE e che la banca o la finanziaria hanno fatto comunque firmare al cliente. Essendo secondo la Corte di Giustizia Europea il diritto all’abitazione un diritto intangibile ed è tutelato anche dalla Unione Europea.

E’ quanto ha stabilito la Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 10 settembre 2014 III Sezione Causa C-34/13.
Infatti la Corte Europea ricorda che va rispettata la direttiva 93/13/CEE relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.
Così se la banca o la finanziaria ha fatto firmare clausole abusive, l’ipoteca è nulla ed il pignoramento (come la successiva vendita all’asta) vanno bloccate.

Il diritto all’abitazione in sostanza prevale nel caso di applicazione di clausole vietate dall’UE.
Inoltre al fine di preservare i diritti attribuiti ai consumatori dalla direttiva 93/13, gli Stati membri sono tenuti, in particolare, in forza dell’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, ad adottare meccanismi di tutela tali da far cessare l’utilizzazione delle clausole qualificate come abusive. Ciò è del resto confermato dal “ventiquattresimo considerando” di tale direttiva che precisa che le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi devono disporre di mezzi adeguati ed efficaci rispetto a tale obiettivo.

In particolare, in base alla giurisprudenza costante della Corte europea relativa al principio di leale cooperazione, ora sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, pur conservando la scelta delle sanzioni applicabili alle violazioni del diritto dell’Unione, gli Stati membri devono vegliare a che esse abbiano un carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo.
Per quanto riguarda il carattere proporzionale della sanzione, occorre prestare particolare attenzione alla circostanza che il bene oggetto del procedimento di esecuzione stragiudiziale sulla garanzia di cui al procedimento principale è il bene immobile che costituisce l’abitazione della famiglia del consumatore.
Infatti, la perdita dell’abitazione familiare non è solamente idonea a violare gravemente il diritto dei consumatori, ma pone i familiari del consumatore interessato in una situazione particolarmente delicata.

A tale proposito, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato, da un lato, che la perdita dell’abitazione costituisce una delle più gravi violazioni al diritto al rispetto del domicilio e, dall’altro, che qualsiasi persona che rischi di esserne vittima deve, in linea di principio, poter far esaminare la proporzionalità di tale misura (v. sentenze Corte EDU, McCann c. Regno Unito, n. 19009/04, § 50, CEDU 2998, e Rousk c. Svezia, n. 27183/04, § 137).
Nel diritto dell’Unione, il diritto all’abitazione è un diritto fondamentale garantito dall’articolo 7 della Carta, che il giudice del rinvio deve prendere in considerazione nell’attuazione della direttiva 93/13.

Per quanto riguarda in particolare le conseguenze che comporta l’espulsione del consumatore e della famiglia dall’abitazione che costituisce la loro residenza principale, la Corte ha già sottolineato l’importanza, per il giudice competente, di emanare provvedimenti provvisori atti a sospendere un procedimento illegittimo di esecuzione ipotecaria o a bloccarlo, allorché la concessione di tali provvedimenti risulta necessaria per garantire l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13.
Nella fattispecie, la possibilità per il giudice nazionale competente di adottare un qualsiasi provvedimento provvisorio, sembra costituire uno strumento adeguato ed efficace per far cessare l’applicazione di clausole abusive, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio.

Dalle considerazioni svolte risulta che le disposizioni della direttiva 93/13 devono essere interpretate nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che consente il recupero di un credito fondato su clausole contrattuali eventualmente abusive, attraverso la realizzazione stragiudiziale di un diritto reale di garanzia costituito sul bene immobile dato in garanzia dal consumatore, qualora tale normativa non renda praticamente impossibile o eccessivamente arduo l’esercizio dei diritti che tale direttiva conferisce al consumatore, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio.

Infatti, il quadro normativo dell’unione su cui si è mossa la Corte di Giustizia è stato così succintamente rappresentato prevede all’articolo 7 della Carta così recita: «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni».
L’articolo 38 della Carta prevede che nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori.

L’articolo 47 della Carta prevede quanto segue:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo».

Il dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo e ventiquattresimo considerando della direttiva 93/13 sono formulati come segue:
«considerando tuttavia che per le legislazioni nazionali nella loro forma attuale è concepibile solo un’armonizzazione parziale; che, in particolare, sono oggetto della presente direttiva soltanto le clausole non negoziate individualmente; che pertanto occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato [CE], un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle della presente direttiva;
considerando che si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive; che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative (…); che a questo riguardo l’espressione “disposizioni legislative o regolamentari imperative” che figura all’articolo 1, paragrafo 2, comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo;
considerando che spetta agli Stati membri fare in modo che clausole abusive non siano incluse nei contratti stipulati con i consumatori; (…)
considerando che le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi degli Stati membri devono disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori».

L’articolo 1 della direttiva 93/13 prevede quanto segue:
«1. La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore.
Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative (…) non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva».

L’articolo 4, paragrafo 1, della sesta direttiva così stabilisce:
«Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende».

L’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva dispone che «[g]li Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali (…)».

L’articolo 7, paragrafo 1, della medesima direttiva così dispone:
«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

Ci si domanda a questo punto quali siano le clausole abusive previste dalla direttiva 93/13.
Ne fornisce la definizione il suo art. 3 dove sono indicate come clausole contrattuali, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.
Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto. Il fatto che taluni elementi di una clausola o che una clausola isolata siano stati oggetto di negoziato individuale non esclude l’applicazione del presente articolo alla parte restante di un contratto, qualora una valutazione globale porti alla conclusione che si tratta comunque di un contratto di adesione.

Qualora il professionista affermi che una clausola standardizzata è stata oggetto di negoziato individuale, gli incombe l’onere della prova. E’ la stessa Direttiva 93/13 che nell’allegato alla stessa contiene un elenco indicativo e non esauriente di clausole che possono essere dichiarate abusive a cui poter far riferimento per poter fermare e bloccare il pignoramento della prima casa ad opera delle procedure esecutive di banche e finanziarie per mutui concessi con clausole considerate nulle dalle previsione della Direttiva 93/13.

 

 

 

Avvocato presso il Consiglio dell’Ordine di Napoli. Diritto civile, in particolare nel contenzioso, procedure esecutive immobiliari, diritto comunitario, arbitrato e mediazione nazionale ed internazionale, diritto di famiglia, risarcimento del danno nell’ambito della responsabilità medica.

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T.A.R. Brescia, (Lombardia), sez. II, 17/10/2017,  n. 1246

Massima

Il dato letterale dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lg. n. 50 del 2016 esclude la possibilità di dare rilevanza alla precedente risoluzione del contratto, stipulato tra la stessa Stazione Appaltante e lo stesso imprenditore partecipante alla gara successiva, in tutti i casi in cui la risoluzione sia sub judice. Invero, la lettura obbligata in tal senso induce a ritenere la norma sospetta di incostituzionalità e di violazione dei principi comunitari, nella misura in cui, di fatto, vanifica gli effetti propri della risoluzione contrattuale, non precludendo alla parte in danno della quale è stato risolto il contratto di partecipare alla gara per l’affidamento dello svolgimento della parte residua del medesimo contratto che, per definizione, si è dimostrata inidonea a eseguire.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 770 del 2017, proposto da:

(omissis)  S.r.l.,  in  persona  del  legale  rappresentante    p.t.,

rappresentata e difesa dagli avvocati Marianna  Saldigloria  e  Carlo

Ablondi, con domicilio eletto in Brescia, presso lo  studio  Stefania

Curci, via Mantova N. 38;

contro

Comune di Brescia, rappresentato e difeso  dagli  avvocati  Francesca

Moniga e Andrea Orlandi, con  domicilio  eletto  in  Brescia,  presso

l’avvocato Andrea Orlandi, Corsetto Sant’Agata, 11/B;

nei confronti di

Consorzio Stabile A.L.P.I. Scarl non costituito in giudizio;

per l’annullamento

– del provvedimento, datato 13.07.2017 e ricevuto in  pari  data,  di

esclusione  della  (omissis)  s.r.l.  dalla  procedura  ad   evidenza

pubblica espletata  dal  Comune  di  Brescia  per  l’affidamento  del

servizio di manutenzione ordinaria del verde  pubblico  comunale  con

clausola che  prevede  l’inserimento  di  persone  svantaggiate  zona

sud-ovest – periodo 1.1.2018 – 31.12.2020;

– dell’atto di avvio del procedimento di  esclusione  del  21.06.2017

PG106390/2017 e della nota del Comune di Brescia dell’11.07.2017 – PG

117760  inviata  ad  ANAC,  tutti,  espressamente   richiamati    nel

provvedimento del 13.7.2017 che  ha  determinato  l’esclusione  dalla

gara;

– della comunicazione del 28.07.2017 con cui il Comune di Brescia  ha

confermato l’esclusione  dalla  gara  e  rigettata  la  richiesta  di

annullamento in autotutela del provvedimento espulsivo;

– dei verbali di gara del 20.06.2017 e del 17.07.2017 per le parti di

interesse;

– di ogni  verbale  di  gara,  atto  e/o  provvedimento  presupposto,

successivo e/o consequenziale  e/o  comunque  connesso  ancorché  non

cognito  afferente  i  provvedimenti  impugnati  ivi   compreso    il

disciplinare di gara ove interpretato in maniera difforme  da  quanto

rappresentato nel presente ricorso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Brescia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 2 bis, cod. proc. amm.;

Relatore nella camera di consiglio del  giorno  11  ottobre  2017  la

dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi  per  le  parti  i  difensori  come

specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Il Comune di Brescia ha disposto l’esclusione della (omissis) s.r.l. dalla gara per l’affidamento del servizio di manutenzione ordinaria del verde pubblico comunale per il periodo 1.1.2018 – 31.12.2020, a causa della risoluzione per inadempimento del contratto di appalto precedentemente sottoscritto con la stessa ditta per l’esecuzione del medesimo servizio di manutenzione ordinaria del verde, sullo stesso lotto (Zona sud-ovest) e delle gravi infrazioni compiute, che hanno determinato la risoluzione stessa.

Appare opportuno precisare, per una migliore comprensione dei fatti, che, successivamente al provvedimento di risoluzione, il Comune di Brescia ha provveduto, ai sensi dell’art. 140 del D.lgs. 163/2006, all’interpello degli operatori economici che seguivano l’impresa (omissis) nella graduatoria riguardante il lotto n. 4 (approvata con la determinazione dirigenziale n. 510 del 23.2.2016), ma tale procedura ha avuto esito negativo. Per tale ragione, il Comune è stato costretto – previo affido del servizio, medio tempore, a una impresa aggiudicataria di un altro lotto – ad avviare (con bando pubblicato il 14 aprile 2017) una nuova procedura di gara per l’affidamento del medesimo servizio, alle medesime condizioni contrattuali di cui al contratto stipulato con (omissis) e risolto in danno dell’impresa, che, ciononostante, ha ritenuto di avere titolo per partecipare alla gara.

Il primo, essenziale, punto fermo che si deve assumere, al fine della corretta risoluzione della controversia è, dunque, il fatto che il contratto oggetto della gara, l’esclusione dalla quale è avversata, è esattamente lo stesso contratto precedentemente affidato alla ricorrente e ora risolto (si tratta, infatti, del quarto lotto di cinque, unitari e collegati, avente il medesimo oggetto e la stessa scadenza di quello già risolto, collegata con quella degli altri cinque, gestiti sempre unitariamente).

Non ci si trova, dunque, in presenza, come sostiene, invece, parte ricorrente, di una nuova e autonoma gara d’appalto, ma della rinnovazione del procedimento di scelta del contraente per l’esecuzione del medesimo contratto risolto in danno di (omissis).

Ciò chiarito, il provvedimento di esclusione dalla rinnovata procedura richiama, a fondamento della stessa, il potere riconosciuto alle stazioni appaltanti di precludere la partecipazione alla gara a imprese che non siano idonee a garantire la corretta esecuzione del contratto ai sensi delle lettere a) e c) del comma 5 dell’art. 80 del d. lgs. 50/2016. Il Comune, infatti, oltre a ritenere rilevante la risoluzione del precedente contratto, ha inteso valorizzare anche la ravvisata gravità delle infrazioni in materia di sicurezza, lavoro e ambiente contestate dal Comune stesso alla ricorrente, sempre nell’esecuzione del precedente contratto.

La (omissis), però, considerato che la risoluzione contrattuale invocata dal Comune di Brescia è stata contestata (con atto di citazione notificato il 27 marzo 2017), ha ritenuto che la esclusione fosse stata disposta in violazione dell’art. 80, comma 5, lett c) del Codice degli appalti (che limita la possibilità della stessa ai soli casi in cui la risoluzione contrattuale sia incontestata o confermata da una sentenza passata in giudicato) e, conseguentemente, ha avviato un procedimento di precontenzioso presso l’Autorità Nazionale Anticorruzione.

Il Comune ha rigettato la richiesta di aderire alla procedura di precontenzioso e, secondo la (omissis), solo in tale occasione avrebbe rappresentato, non direttamente all’impresa, ma ad ANAC, a giustificazione del proprio rifiuto, di aver ravvisato, nei confronti della (omissis), anche gravi infrazioni in materia di sicurezza, lavoro e ambiente, ex art. 80, comma 5, lett. a), pur omettendo di indicare alcuna circostanza o verbale di accertamento riferiti alle asserite gravi infrazioni.

Ciò sarebbe, secondo parte ricorrente, ulteriormente lesivo della propria posizione, a causa della possibile annotazione nel Casellario che potrebbe essere disposta da ANAC a seguito della segnalazione e, pertanto, la (omissis) si è determinata a notificare il ricorso in esame.

Con esso è stata dedotta, in primo luogo, l’illegittimità del provvedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d. lgs. 50/2016 e s.m..

L’avviso di avvio del procedimento di esclusione riporterebbe solo il riferimento all’art. 80, comma 5, lett.re a) e c) del Codice degli appalti e si sarebbe limitato a dare conto di quanto già contestato nel provvedimento di risoluzione del contratto e nel correlato giudizio. Ciò integrerebbe, secondo la ricorrente, la palese violazione dell’art. 80, lett. c), in quanto tale disposizione imporrebbe l’esclusione delle sole imprese cui sia imputabile un inadempimento contrattuale non contestato o confermato in giudizio, non potendosi configurare gravi illeciti professionali nelle ipotesi in cui sia intervenuta la contestazione giudiziale della risoluzione.

Il motivo di ricorso risulta, però, solo parzialmente fondato. Non lo è nella parte in cui prende le mosse dal presupposto che alla (omissis) sarebbe stata correttamente contestata la sola applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d. lgs. 50/2016.

Anche nella comunicazione di avvio del procedimento di esclusione, infatti, si fa espressamente riferimento alle ipotesi di legge individuate alle lettere a) e c) della disposizione in parola, nonché al “provvedimento di risoluzione del contratto n. 450 del 17.2.2017”, ma anche a “tutti gli atti di contestazione e documenti del relativo procedimento” che riguardano proprio quelle violazioni di legge che sono state elencate negli atti successivi a dimostrazione dell’inaffidabilità della concorrente ai sensi della lettera a) del comma quinto dell’art. 80 citato.

Solo apparentemente, dunque, la stazione appaltante si sarebbe limitata a soffermarsi sulla risoluzione, dovendosi, invece, ritenere che la stessa abbia considerato parimenti rilevanti, rispetto alla risoluzione in sé (solo in parte dovuta alla non corretta esecuzione del contratto), i fatti e le conseguenti violazioni di legge che hanno determinato il ricorso alla risoluzione, integrando la violazione delle disposizioni poste a tutela dell’ambiente e dei lavoratori, per tutto quanto si avrà modo di meglio evidenziare nel prosieguo.

Ciò chiarito, la doglianza merita apprezzamento laddove deduce la non corretta applicazione, nella fattispecie, dell’esclusione ex art. 80, comma 5, lettera c).

Il dato letterale delle norma esclude la possibilità di dare rilevanza alla precedente risoluzione del contratto, stipulato tra la stessa stazione appaltante e lo stesso imprenditore partecipante alla gara successiva, in tutti i casi in cui la risoluzione sia sub judice.

Invero la lettura obbligata in tal senso induce a ritenere la norma sospetta di incostituzionalità e di violazione dei principi comunitari, nella misura in cui, di fatto, vanifica gli effetti propri della risoluzione contrattuale, non precludendo alla parte in danno della quale si è risolto il contratto di partecipare alla gara per l’affidamento dello svolgimento della parte residua del medesimo contratto che, per definizione, si è dimostrata inidonea a eseguire.

In altre parole, la mancata previsione di un’eccezione per i casi come quello in esame, consentirebbe agli operatori di strumentalizzare il fatto di avere contestato giudizialmente il provvedimento di risoluzione, per vedersi riassegnato lo stesso contratto dal quale potrebbe anche, come nel caso di specie, aver richiesto essa stessa, in via riconvenzione, al giudice, di essere sciolta.

Ne deriva una normativa fortemente sospetta di incompatibilità con la direttiva comunitaria (considerando 101 e art. 57 paragrafo 4 lett. g) della direttiva 2004/24) e di illegittima costituzionale, come già rilevato, peraltro, anche dal Consiglio di Stato, sez. V, nella sentenza del 27 aprile 2017, n. 1955 in cui si è, però, ritenuto non sussistere l’interesse a sollevare la questione di compatibilità, così come si dimostrerà, anche nel caso in esame.

L’esclusione, infatti, è stata disposta dal Comune di Brescia anche in ragione della lettera a) dello stesso comma 5 dell’art. 80 del d. lgs. 50/2016.

Poiché, quindi, il provvedimento risulta reggersi anche solo su tale presupposto, come meglio si chiarirà, la questione non può essere qualificata come “rilevante” ai fini della definizione della controversia, con la conseguenza che il giudizio di legittimità costituzionale e rinvio pregiudiziale sono preclusi a causa della carenza del necessario presupposto.

Precisato, dunque, che la censurata esclusione trova fondamento nelle previsioni delle direttive comunitarie, così come recepite e attuate dal legislatore nazionale e, dunque, non può in alcun modo ritenersi improprio o tantomeno illegittimo il richiamo operato dal Comune ai principi comunitari, come invece sostenuto nella seconda censura, si può passare all’esame delle doglianze sub 3 e 4, che possono essere trattate congiuntamente.

Con la prima di esse, (omissis) ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 80, comma 5, lettera a) per carenza assoluta di motivazione: l’astratto e generico richiamo ad atti e provvedimenti adottati in seno al procedimento di risoluzione anticipata del contratto, non integrerebbe l’adempimento dell’obbligo c.d. “rinforzato” di motivare i provvedimenti espulsivi dalle gare pubbliche. Inoltre, (censura n. 4) la ricorrente aveva chiesto che fossero espunti, in sede di autotutela, i riferimenti a fattispecie delittuose e debitamente accertate cui si riferirebbe la lettera a) del comma 5 dell’art. 80 del d. lgs. 50/2016 e che non sussisterebbero nel caso di specie. L’istanza è stata rigettata sulla scorta di una lettura della norma – per cui alla stazione appaltante sarebbe consentito di dimostrare con qualunque mezzo adeguato la sussistenza di gravi infrazioni alla norme in materia di sicurezza e in materia ambientale – avversata da parte ricorrente, ritenendo non ipotizzabile che il legislatore abbia inteso trasferire alla stazione appaltante competenze spettanti alla polizia giudiziaria, agli ispettori del lavoro o dell’INPS o addirittura all’Autorità Giudiziaria, precludendo la possibilità all’impresa di difendersi.

 

Il Collegio non ritiene condivisibile la tesi.

In primo luogo, come evidenziato dal Comune, il provvedimento avversato è stato adottato, per quanto qui di interesse, sulla scorta della norma che consente alle Stazioni Appaltanti di escludere gli operatori economici da una gara pubblica dimostrando le gravi infrazioni in cui gli stessi sarebbero precedentemente incorsi con qualunque mezzo adeguato.

Tali violazioni coincidono, nel caso di specie, con quelle già contestate alla odierna ricorrente (e che hanno condotto alla risoluzione del contratto) e rappresentate dalla violazione di norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e, più in generale, di quelle che impongono, ai sensi del comma 3 dell’art. 30 del medesimo codice degli appalti, agli operatori economici di rispettare “gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell’allegato X)”. A (omissis), infatti, sono stati contestati: il mancato rispetto della clausola sociale, il non aver impiegato le figure professionali né i mezzi tecnici proposti nell’offerta tecnica; l’aver smaltito i residui degli sfalci eseguiti nel SIN Caffaro, potenzialmente contaminati da PCB, come se fossero stati rifiuti biodegradabili e quindi destinati al compostaggio, l’aver violato, sotto più profili ed in più occasioni, le norme a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Il Collegio ritiene, dunque, di poter condividere la tesi del Comune, secondo cui “Si trattava di condotte assolutamente rilevanti nella valutazione dell’inaffidabilità di (omissis) nella selezione dell’aggiudicatario del servizio di manutenzione del verde pubblico nel lotto già affidato alla cura della ricorrente.” (così la memoria del Comune a pag. 8).

È pur vero che si tratta di contestazioni mosse dal Comune e che non vi sono state fattispecie delittuose accertate da sentenze penali e/o civili e verbali di accertamento provenienti da autorità giudiziarie e/o amministrative.

Ciononostante, tenuto conto di quanto evidenziato nelle apposite linee guida ANAC, può ritenersi legittimo il provvedimento di esclusione fondato anche solo sull’applicazione delle penali e l’avvio del procedimento di escussione della polizza fideiussoria, entrambi intervenuti nella fattispecie e di per sé soli sufficienti a giustificare il giudizio di inaffidabilità dell’impresa ai sensi del punto 2.1.1.1 lett. b) delle linee guida stesse.

Ad abundantiam, peraltro, la corretta applicazione della disposizione può essere desunta considerando che la lettera a) del comma 5 dell’art. 80 del d. lgs. 50/2016, prevede che “la stazione appaltante possa dimostrare con qualunque mezzo adeguato la presenza di gravi infrazioni debitamente accertate”.

La disposizione attua il considerando 101 della direttiva, a mente del quale le amministrazioni aggiudicatrici “dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili”, ed in particolare dovrebbero “mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi”.

Un’interpretazione comunitariamente e costituzionalmente orientata impone, dunque, di qualificare come adeguatamente dimostrata la sussistenza di gravi infrazioni quando la loro contestazione abbia condotto alla risoluzione della precedente relazione contrattuale intercorrente tra la stessa stazione appaltante e la stessa impresa, per l’esecuzione del medesimo appalto.

Può, dunque, concludersi che il Comune di Brescia, abbia, sia nel corso del procedimento, sia nella presente sede giudiziaria, debitamente dimostrato la gravità dell’inadempimento contestato a (omissis), risultando del tutto indifferente, ai fini che qui ci occupano, il fatto che le violazioni ravvisate siano negate dall’impresa: non può, infatti, formare oggetto del giudizio avanti al giudice amministrativo l’accertamento dell’effettiva sussistenza delle violazioni che hanno condotto alla risoluzione del contratto (che riguardano sia il profilo ambientale, dal momento che alla (omissis) è contestato il mancato rispetto del corretto conferimento dei rifiuti, che sarebbe stato desunto dalla mancata produzione dei formulari di raccolta attestanti il conferimento al punto di raccolta di “Aprica A2A” con riguardo al codice CER 2002203 (non biodegradabili), pur essendo prevedibile che vi sia stato lo sfalcio di una certa quantità di erba nel sito della ex Caffaro, di cui, però, non vi è traccia), che la sicurezza dei lavoratori, che, in più occasioni, avrebbero operato senza l’impiego dei presidi di sicurezza.

Se, dunque, si negasse che le violazioni contestate alla ricorrente e puntualmente ricostruite nella determinazione che ha disposto la risoluzione del contratto, siano riconducibili a quelle “gravi infrazioni debitamente accertate” che il legislatore ha indicato come presupposto per escludere dalla gara un concorrente, si finirebbe per riconoscere un indebito spazio a un vero e proprio abuso del diritto da parte dell’impresa che ha invocato il fatto dell’avvenuta contestazione in giudizio della risoluzione del contratto per paralizzare il potere del Comune di Brescia di escluderla dalla gara.

Come chiarito dal Consiglio di Stato, nella sentenza n. 693 del 2014, infatti, “l’abuso del diritto, lungi dal presupporre una violazione in senso formale del diritto, comporta l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal legislatore”.

Prendendo, quindi, le mosse dalla considerazione che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che, nel caso della lettera a), vi sia la discrezionalità della stazione appaltante nell’individuare la “grave infrazione” (con conseguente onere motivazionale, debitamente espletato nel caso di specie) e è sufficiente che si riscontri un’infrazione che sia stata oggetto di un’autonoma verifica da parte dell’Amministrazione (Cons. Stato, 4519/2012, Tar Marche, 292/2005), la previsione deve ritenersi integrata, nel caso di specie. Il provvedimento che contiene l’accertamento amministrativo delle violazioni è, infatti, individuabile nella stessa determinazione n. 450 del 17 febbraio 2017, con cui il Comune ha disposto la risoluzione del contratto nei confronti della (omissis), richiamando tutte le precedenti contestazioni delle violazioni rilevate e le sanzioni applicate (di lieve entità, ma ripetute).

Ritenere che la mera contestazione di tali violazioni da parte dell’impresa destinataria di esse sia sufficiente ad impedire che la stazione appaltante possa escludere dalla partecipazione all’esecuzione della parte rimanente del contratto risolto la precedente aggiudicataria equivarrebbe, dunque, a legittimare un abuso del diritto, che precluderebbe, di fatto, all’ente pubblico contraente di avvalersi della facoltà riconosciutagli dall’ordinamento di risolvere, a determinate condizioni, il contratto.

Ancorché l’attività contrattuale dell’ente pubblico sia soggetta all’evidenza pubblica, tale possibilità è puntualmente prevista da specifica disciplina, per quanto riguarda l’accesso alla stessa, ma ciò non esclude che i principi contenuti nell’art. 1453 e riferiti agli effetti della risoluzione contrattuale non possano trovare applicazione.

È pacifica, in giurisprudenza, l’applicabilità di tale articolo e dei seguenti alla fase dell’esecuzione anche del contratto pubblico.

In particolare, tale disposizione prevede che “non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione. Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione.”.

Si tratta di puntualizzazioni che tendono ad affermare il principio secondo cui, quando ricorrono le condizioni cui il legislatore subordina la possibilità di sottrarsi unilateralmente al vincolo contrattuale, mediante la risoluzione, la controparte non può in alcun modo imporre, altrettanto unilateralmente, l’esecuzione del contratto.

Considerato che tale disposizione non attiene alla sfera della scelta del contraente, disciplinata dalla peculiare normativa dei contratti pubblici non si ravvisa alcuna ragione per cui il principio non possa trovare applicazione con riferimento all’esecuzione di un contratto stipulato con una pubblica amministrazione.

Conseguentemente:

 

  1. a) sulla base della giurisprudenza costante nel tempo, è sufficiente, ai fini di integrare una grave inadempienza, che si riscontri un’infrazione che sia stata oggetto di un’autonoma verifica da parte dell’Amministrazione: non appare ravvisabile ragione per cui tale principio, affermato in relazione alla previgente normativa, non posso trovare applicazione anche dopo l’entrata in vigore del nuovo codice che, sul punto, non pare aver introdotto alcuna sostanziale novità con riferimento alla particolare ipotesi di esclusione dalla gara oggi disciplinata alla lettera a) del comma 5 dell’art. 80 del d. lgs. 50/2016;

 

  1. b) la possibilità di risolvere il contratto stipulato con l’operatore inidoneo e responsabile di gravi infrazioni sarebbe definitivamente frustrata se questi non potesse essere escluso dalla partecipazione alla gara che la stazione appaltante sia costretta a bandire per l’esecuzione della parte restante del medesimo contratto (non potendo scegliere direttamente un diverso interlocutore);

 

  1. c) in ogni caso, ai sensi dell’art. 1453, l’operatore che, come nel caso di specie (omissis), abbia esso stesso chiesto (con domanda riconvenzionale) la risoluzione del contratto non può più chiederne l’esecuzione e anche tale disposizione risulterebbe priva di significato se tale soggetto potesse poi concorrere all’affidamento della parte residua del contratto risolto.

 

Ne deriva l’infondatezza anche della quinta censura, con cui (omissis) ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 del codice civile, laddove il Comune ha individuato un ulteriore motivo di esclusione dalla gara della ricorrente nella impossibilità per (omissis) di richiedere l’affidamento del servizio oggetto del precedente contratto risolto e, comunque, l’inapplicabilità dell’art. 1453 del c.c. nelle gare pubbliche.

Tutto quanto sin qui evidenziato vale a escludere anche la dedotta violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, semmai invocabili, per le considerazioni che precedono, a tutela della posizione dell’Amministrazione che finirebbe per vedersi preclusa la possibilità di ottenere, in un’ottica di perseguimento dell’interesse pubblico, la risoluzione di un contratto stipulato con un operatore che non ha saputo garantire il rispetto della normativa in materia di ambiente, sicurezza e lavoro.

Così respinto il ricorso, le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza.

 

P.Q.M

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, a favore dell’Amministrazione, nella somma di euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ad accessori, se dovuti. .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:

 

Alessandra Farina, Presidente

Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore

Alessio Falferi, Consigliere

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 17 OTT. 2017.

 

Raimondo Nocerino, classe 1976, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II nel 2000 con lode, maturando esperienze di studio in Spagna.

Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Diritti dell’Uomo presso l’Ateneo Federiciano nel marzo 2006 e presso la stessa Università, nel2012, il diploma di perfezionamento in “Diritto dell’unione Europea: la tutela dei diritti”.

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T.A.R. Aosta, (Valle d’Aosta), sez. I, 23/06/2017,  n. 36

Massima

 

L’art. 80 comma 5, d.lg. n. 50 del 2016, recante il Codice dei contratti pubblici, consente alle Stazioni Appaltanti di escludere il concorrente da una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di « gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità », con la precisazione che in tali ipotesi rientrano, tra l’altro, significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata. La citata disposizione codicistica, innovando rispetto al previgente assetto normativo, prevede che l’esclusione del concorrente è condizionata al fatto che la Stazione Appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della Stazione Appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare la decisione sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione. La ratio della norma risiede, dunque, nell’esigenza di verificare l’affidabilità complessivamente considerata dell’operatore economico che andrà a contrarre con la p.a. per evitare, a tutela del buon andamento dell’azione amministrativa, che quest’ultima entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D’Aosta

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1 del 2017, proposto da:

Pellissier Helicopter S.r.l., in persona  del  legale  rappresentante

p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Emanuele Carlo  Mazzocchi,

con domicilio eletto presso il suo studio in  Aosta,  via  Torre  del

Lebbroso, 37;

contro

Comune di Courmayeur, in  persona  del  legale  rappresentante  p.t.,

rappresentato e difeso dall’avvocato  Lorenzo  Sommo,  con  domicilio

eletto presso il suo studio in Aosta, via Challand N. 30;

nei confronti di

Società  Gmh  Srl,  in  persona  del  legale  rappresentante    p.t.,

rappresentata  e  difesa  dall’avvocato  Piercarlo   Carnelli,    con

domicilio eletto presso il suo studio in Aosta, via Losanna 17;

per l’annullamento

della determinazione n. 250 a firma del Segretario Comunale  il  Sig.

Al. Ro. del Comune di Courmayeur, emesso in data 01/12/2016 (doc. 1),

pubblicata nell’albo pretorio digitale il 5/12/2016 con  il  quale  è

stato determinato quanto segue:

1.di affidare temporaneamente il servizio di eliski nel  comprensorio

  1. 1 di Courmayeur, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e

164 del nuovo codice degli appalti, alla ditta GMH srl – C.F. e  P.I.

01169760079 – alle seguenti condizioni:

–  periodo  dal  20/12/2016  e  nelle  more  dell’espletamento  delle

procedure di gara;

– canone: 467 minuti di volo, pari ad euro 8.873,00;

– come  da  convenzione  predisposta  come  da  modello  regionale  e

allegata sub a)”

2) della delibera  della  Giunta  Comunale  n.  160  emessa  in  data

11/11/2016 nella parte in cui  costituisce  presupposto  della  sopra

citata determina n. 250/2016 (doc. 2)

3) dell’eventuale atto e/o contratto  di  affidamento  del  servizio,

eventualmente emesso o stipulato (si veda  istanza  di  accesso  agli

atti doc. 14 e risposta del Comune doc. 15)

nonché avverso ogni  ulteriore  atto  presupposto  e/o  connesso  e/o

conseguente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Courmayeur  e

di Società Gmh Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13  giugno  2017  il  dott.

Carlo Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato  nel

verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con il presente gravame, ritualmente notificato e depositato, parte ricorrente impugna gli atti in epigrafe indicati nell’ambito di una complessa vicenda procedimentale-processuale, che così può riassumersi sulla base degli atti del giudizio e della concorde rappresentazione delle parti.

In data 11 gennaio 2013, a seguito di procedura di gara, viene stipulata la Convenzione rep. n° 1282 con cui viene assegnata all’A.T.I. Helops s.r.l. (capogruppo) e Air Service Center .r.l.(mandante) l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di trasporto sciatori per gli anni operativi 2012/13 – 2013/14 – 2014/15 con possibilità di proroga per ulteriori due anni operativi.

In data dell’11 marzo 2015 con la Determinazione del Segretario comunale n. 42 si prende atto che la società “Air Service Center s.r.l.” ha ceduto il ramo d’azienda alla “G.M.H. s.r.l.” di Gressoney-La-Trinité a far data dal 15 gennaio 2015 comprendente l’esecuzione dell’attività di trasporto di cui trattasi. Con determinazione del Segretario comunale n° 146 del 2 settembre 2015 si proroga, ai sensi dell’art. 57, comma 5., lettera b) del D. d.lgs. 163/2006 all’A.T.I. Soc. Helops srl (capo gruppo) e Soc. G.M.H. srl (mandante) per ulteriori due anni operativi (2015/16 e 2016/2017) la convenzione di assegnazione dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di trasporto di sciatori con aeromobili (eliski) di cui all’art. 2 della l.r. 4/3/1988 n. 15 e s.m.i. e contestuale concessione in gestione delle elisuperfici di quota e di recupero alle medesime condizioni e patti dell’atto iniziale, dandosi atto che l’aggiudicazione definitiva sarebbe divenuta efficace dopo la dimostrazione del possesso dei requisiti previsti dagli atti di gara.

Il Comune, con nota del 4 settembre 2015, prot. n. 12309, comunica all’A.T.I. la proroga dell’autorizzazione, chiedendo, nel contempo, la produzione entro 10 giorni della documentazione necessaria per verificare il possesso dei requisiti richiesti dagli atti di gara.

L’A.T.I. con nota pervenuta al protocollo comunale in data 16 settembre 2015, prot. n. 12940, trasmette gran parte della documentazione richiesta e con nota, pervenuta al protocollo comunale in data 2 dicembre 2015, prot. n. 17627, dimostra la disponibilità del secondo elicottero in capo alla Soc. Helops s.r.l.

Con Convenzione stipulata in data 22 dicembre 2015, rep. n. 1322, viene assegnata all’A.T.I. Soc. Helops s.r.l. (capogruppo) e soc. G.M.H. s.r.l. (mandante) l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di trasporto sciatori per gli anni operativi 2015/16 e 2016/17.

In data 30/12/2015, con nota prot. in entrata n. 19220, la Helops s.r.l. manifesta il recesso dall’A.T.I. espressamente consentendo l’esecuzione e prosecuzione del servizio da parte della GMH srl.

Con lettera pervenuta al protocollo comunale il 30 dicembre 2015, prot. n. 19221, la GMH s.r.l. manifesta l’intendimento a proseguire quanto previsto dalla convenzione rep. n. 1322.

Con determinazione del Segretario comunale n. 241 del 30 dicembre 2015 viene autorizzata la sostituzione dell’impresa mandataria condizionando l’efficacia della stessa alla verifica del requisito relativo alla disponibilità del secondo elicottero.

Con nota a mezzo Posta Elettronica Certificata del 31 dicembre 2015 la GMH s.r.l., pervenuta al protocollo comunale il 4 gennaio 2016, prot. n. 56, viene attestata la disponibilità in esercenza del secondo elicottero con relativo certificato di immatricolazione e con PEC della stessa società pervenuta al protocollo comunale il 13 gennaio 2016, prot. n. 680, vengono trasmessi i certificati di aeronavigabilità ed il certificato acustico del secondo elicottero.

Avverso la determinazione del segretario Comunale n. 241 del 30 dicembre 2015 la società Pellissier Helicopter s.r.l. propone ricorso e il Tribunale Amministrativo Regionale per la Valle d’Aosta che con sentenza n. 29/2016 annulla gli atti impugnati in ragione del fatto che al momento dell’aggiudicazione della domanda uno degli elicotteri, pur se tecnicamente completo non aveva ancora la possibilità di volare perché mancante di un’autorizzazione, acquisita, in ogni caso prima dell’inizio dell’effettivo servizio (c.d. principio della continuità nel possesso dei requisiti).

Il Comune di Courmayeur con determinazione n. 235 del 17/11/2016 dichiara la GMH srl decaduta dalla concessione con conseguente risoluzione della Convenzione che la disciplinava, dandosi atto che, a titolo meramente prudenziale, si sarebbe proceduto alla comunicazione all’ANAC dell’avvenuta risoluzione.

Con deliberazione n. 164 del 18 novembre 2016 la Giunta Municipale nel confermare l’interesse per il Comune ad affidare in concessione il servizio di eliski e nel ritenere spettante alla Centrale Unica di Committenza la competenza ad espletare la gara che si sarebbe conclusa sicuramente dopo il 31 gennaio 2017, delibera di esprimere l’indirizzo di garantire, nelle more, dell’espletamento delle procedure la continuità del servizio sin dal 20 dicembre 2016.

Il Segretario comunale, in ottemperanza a tale indirizzo, con determinazione del 1° dicembre 2016 n. 250 affida in via diretta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 164 del nuovo codice dei contratti, temporaneamente il servizio alla GMH srl.

La Pellissier Helicopter s.r.l. con il presente ricorso impugna detto provvedimento, da un lato ritenendo l’odierna controinteressata priva del requisito ex art. 80, comma 5 lett. c del Codice dei contratti pubblici per effetto della pregressa risoluzione; dall’altro, illegittima la procedura de qua per frazionamento e sottostima del suo valore e violazione del principio di rotazione e di adeguata motivazione.

Si sono costituite la GMH srl ed il Comune di Courmayeur concludendo per l’inammissibilità, l’improcedibilità e comunque per il rigetto del ricorso. Disposti adempimenti istruttori, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 13 giugno 2017.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni che seguono, di talché può prescindersi dall’esame delle eccezioni in rito formulate dalle controparti.

Con una prima serie di censure parte ricorrente si duole dell’ammissione dell’odierna controinteressata alla procedura de qua lamentando la violazione dell’art. 80, comma 5 lett. c del D. Lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) per effetto dell’intervenuta “risoluzione per inadempimento” della convenzione Rep. n. 1322 del 22.12.2015 dal Comune di Courmayeur con il RTI Helops Srl e Airservice Center, nel quale RTI, il 30.12.2015, GMH Srl è succeduta quale prosecutore in proprio del servizio, risoluzione che sarebbe ragione di esclusione di GMH Srl dall’affidamento per cui è controversia. Secondo parte ricorrente il contratto di eliski concluso con il Comune di Courmayeur si è concluso anticipatamente per fatto e colpa della GMH srl, in quanto come accertato da questo Tar con sentenza n. 29/2016, passata in giudicato: “47. la contro interessata ha prodotto due documenti (doc. 5,6, e 13 di GMH srl) dai quali risulta che, al momento del subentro nell’autorizzazione, essa aveva sì la disponibilità di un secondo elicottero, il quale, tuttavia, non era ancora in possesso delle prescritte autorizzazioni per essere da essa utilizzato (in pratica il velivolo non poteva all’epoca volare). 48.Ritiene il Collegio che avere la disponibilità di elicotteri che, sebbene tecnicamente completi, non possano, per ragioni giuridiche, volare non soddisfi il requisito previsto dalla lettera d’invito; è infatti evidente che se tali mezzi non sono in grado di svolgere la loro funzione, il soggetto che ne ha la disponibilità non è a sua volta in grado di svolgere l’attività oggetto dell’autorizzazione”. Secondo parte ricorrente la gravità dell’inadempimento è in sé atteso che la ditta che non è in grado di svolgere l’attività oggetto dell’autorizzazione, sicché non è dunque più possibile discutere se vi sia stato o meno inadempimento rilevante della GMH srl in quanto la citata sentenza n. 29/2016 ha acquistato certezza definitiva e le questioni da essa decise non possono più essere messe in discussione. Pertanto, è incontrovertibile che la ditta GMH srl si sia resa inadempiente.

La censura non può essere condivisa

In diritto deve osservarsi che l’art. 80, comma 5, lett. c) del D. Lgs. n. 50/2016, recante il codice dei contratti pubblici, consente alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti da una procedura di affidamento di contratti pubblici in presenza di “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”, con la precisazione, ai fini che qui interessano, che in tali ipotesi rientrano, tra l’altro, “significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata”. La citata disposizione codicistica, innovando rispetto al previgente assetto normativo, prevede che l’esclusione del concorrente è condizionata al fatto che la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.

Il dato assiologico che emerge appare incentrarsi sulla circostanza che, per effetto degli indicati fattori o di ulteriori elementi valutativi, emerga a carico dell’operatore economico un quadro tale da rendere dubbia la sua affidabilità.

La ratio della norma de qua risiede dunque nell’esigenza di verificare l’affidabilità complessivamente considerata dell’operatore economico che andrà a contrarre con la p.a. per evitare, a tutela del buon andamento dell’azione amministrativa, che quest’ultima entri in contatto con soggetti privi di affidabilità morale e professionale

Orbene, nel caso di specie, non solo non viene in rilievo un profilo immediatamente correlato al momento esecutivo di un pregresso rapporto contrattuale in termini di specifico inadempimento al complesso di obbligazioni dallo stesso scaturente; ma deve anche rilevarsi come la censurata carenza di requisito alla partecipazione, pur astrattamente non sottratto in quanto tale ad un più ampio giudizio di inadempimento mediato o di rimbalzo, in concreto non possa in alcun modo qualificarsi in tali termini.

Ed invero s’osserva in fatto che al subentro di GMH Srl in proprio al citato RTI di cui faceva parte, a seguito di recesso di Helops per propri motivi organizzativi, la PA di Courmayeur ha verificato il possesso dei relativi suoi requisiti di capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria, nonché di qualificazione, adeguati al servizio ancora da eseguire, atteso che con determinazione n. 241 del 30.12.15 il Segretario comunale ha autorizzato detto subentro condizionando l’efficacia della determinazione alla verifica del requisito relativo alla disponibilità del secondo elicottero e che la documentazione a tal fine trasmessa al fine di attestare la disponibilità in esercenza del secondo elicottero è stata positivamente riscontrata dalla stessa stazione appaltante. Va precisato che se è vero che detta documentazione non comprendeva ancora, per il secondo elicottero, l’aggiornamento del COA n. IT AOC 166/ COLA I – 110LA – che era in corso di rilascio ed successivamente pervenuta in data 26.1.2017 – per un verso tale circostanza non risulta in alcun modo celata o falsamente rappresentata; e per altro verso entrambe le parti abbiano ritenuto che tale elemento in corso di rilascio non incidesse sulla disponibilità della macchina, nella sua accezione materiale o dominicale, ovvero nella sua “esercenza”. Ne discende che la diversa interpretazione della prescrizione di lex specialis operata in sede giurisdizionale non solo, in concreto e per il successivo dipanarsi della vicenda, non ha in alcun modo inciso sul profilo esecutivo in corso; ma, a monte ed in via di astratta rilevanza, non può configurare alcun inadempimento o illecito, tanto meno grave, tale da porsi come contegno negativamente incidente sulla affidabilità professionale dell’operatore economico.

Del resto come emerso a seguito della disposta istruttoria, in data 20.2.2017 l’ANAC con proprio atto prot. 0026887 – in disparte la valenza processuale della stessa all’interno del presente giudizio e le modalità di sua contestazione -, ha comunicato la avvenuta archiviazione della segnalazione del Comune, sulla base della rilievo per cui “… dalla valutazione dei fatti segnalati dalla S.A. per la iscrizione nel casellario del relativo dato, prima di procedere alla prescritta pubblicità nel Casellario, non sono emersi profili di colpa grave o mala fede dell’operatore, né risultano danni o pregiudizi evidenti nei confronti del Comune”.

Né infine può, secondo la traiettoria ermeneutica proposta dal ricorrente, riconnettersi al precedente dictum giudiziale un effetto di automatismo espulsivo ai presenti fini: deve al riguardo ribadirsi che anche in siffatta evenienza persiste in capo alla Stazione appaltante un coefficiente di discrezionalità, il cui esercizio – ed il cui correlato sindacato in sede giurisdizionale – comporta la esatta riconduzione della fattispecie astratta contemplata dalla norma (grave illecito professionale) a quella concretamente palesatasi nella singola gara. Il conferimento alle stazioni appaltanti di un diaframma di discrezionalità in sede applicativa – il quale attiene non alla individuazione delle fattispecie espulsive, che senz’altro compete al legislatore, in materia di requisiti generali, secondo una elencazione da considerare tassativa, bensì alla riconduzione della fattispecie concreta a quella astratta, siccome descritta genericamente mediante l’uso di concetti giuridici indeterminati -affiora, pur in mancanza di una formulazione della norma di segno univoco come quella contenuta nel previgente Codice Appalti (laddove si discorreva di “motivata valutazione”), da quanto statuito a proposito della consacrata necessità di dare “dimostrazione con mezzi adeguati” della sussistenza della fattispecie espulsiva, nonché dall’uso di locuzione generiche (“dubbia”, “gravi”) e dalla omessa precisa elencazione di ipotesi escludenti, che il legislatore infatti si limita ad individuare a fini meramente esemplificativi. Ne consegue anche per questa via ed alla luce dei rilievi di cui sopra, la correttezza della valutazione qui in esame, ove si consideri che l’intervenuto giudicato non espleta la propria efficacia accertativo-preclusiva su di un specifico fatto di inadempimento in sede propriamente posto in diretta relazione causale con la conseguente risoluzione del rapporto contrattuale, ma, come prima detto, sulla diversa dimensione di una carenza di requisito partecipativo che solo indirettamente e di rimbalzo ha comportato, non ex se ma in via derivata e mediata, l’incidenza su di un momento esecutivo-prestazionale peraltro connotato da comprovata e non contestata conformità tutti gli obblighi contrattualmente assunti.

Parimenti infondata si presenta la seconda serie di censure volte a contestare i presupposti e le modalità dell’affidamento de quo per violazione dell’art. 36, comma 2 lettera a) D. Lgs. 50/2016 in relazione alla doppia della circostanza della erroneità dell’importo di riferimento e della inosservanza dei principi di rotazione e adeguata motivazione correlati all’acquisizione di una pluralità di preventivi.

Per un verso parte ricorrente ritiene l’importo del servizio (inferiore a € 40.000,00) sia artificiosamente frazionato e comunque sottostimato, per cui la determina dirigenziale 250/2016 sarebbe in contrasto con quanto prescritto dalla norma richiamata. Diversamente s’osserva che, posto che siffatta indagine impingendo nel merito di scelte strategico-gestionale e sulla basa di elementi di discrezionalità tecnico-amministrativa risulta scrutinabile in sede giurisdizionale solo per le ipotesi di manifesta irragionevolezza, evidente illogicità e travisamento dei fatti – gli elementi istruttori posti a giustificazione della contestata decisione risultano congruamente apprezzati e valutati: per un verso, infatti, si tratta di un “Affido nelle more della aggiudicazione’, interstizialmente collocato tra l’anticipata risoluzione del precedente rapporto e la definizione della nuova procedura per il suo integrale affidamento: ne discende che, lungi dal porsi quale frutto di artificioso frazionamento od elusivo scorporo, lo stesso risponde all’evidente esigenza di affidare in via interinale e suppletivo, in una prospettiva di necessaria continuità, un autonomo servizio idoneo a coprire l’arco temporale strettamente necessario all’avvio di quello vero e proprio, così da non pregiudicare l’avvio della stagione sciistica.

Per altro verso e quanto al valore di tale affido in relazione alla cinquantina di giorni della suo dimensionamento temporale, si rileva come gli elementi oggettivamente considerati (fatturati degli ultimi 3 anni di concessione affidati, incertezza meteo ed impossibilità di inserire il mese in oggetto in un programmazione più lunga) in quanto basati dati tratti comparativamente sulla esperienza pregressa e dalle caratteristiche temporali del servizio, non evidenziano alcuna macroscopico errore di calcolo, risultando piuttosto astratte ed impropriamente condotte secondo logiche di media le diverse conclusione cui perviene parte ricorrente.

Infine, deve escludersi che nel caso in esame l’illegittimità dell’affidamento possono ricondursi alla violazione del citato art. 36, comma 2, lett. a), nel testo illo tempore vigente, sub specie di omessa applicazione del principio di rotazione e di adeguata motivazione, intesa quale necessità dell’acquisizione di una pluralità di preventivi.

Sotto quest’ultimo riguardo, va premesso che l’orientamento della giurisprudenza in relazione alle procedure di affidamento di servizi, ex art. 36 del D. Lgs n. 50/2016, definite “semplificate”, è nel senso del riconoscimento dell’ampia discrezionalità dell’Amministrazione anche nella fase dell’individuazione delle ditte da consultare e, quindi, della negazione della sussistenza di un diritto in capo a qualsiasi operatore del settore ad essere invitato alla procedura.

Ciò comporta che, anche prima della correzione operata dal D. Lgs 56/2017, l’immanente obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi (art. 3 L. 241/1990) ed il principio di rotazione implicano certamente la necessità di esplicitare le ragioni del ricorso a tale modalità di scelta dell’operatore economico affidatario del servizio e della sua individuazione; ma ciò non necessariamente attraverso il confronto concorrenziale tra più soggetti. In tal senso, la posizione espressa dall’Anac nel vigore del testo originario del citato art. 36 (Linee guida ANAC n. 4 “3.3.2”.

Il rispetto del principio di rotazione espressamente sancito dall’art. 36, comma 1, d.lgs. 50/2016 fa sì che l’affidamento al contraente uscente abbia carattere eccezionale e richiede un onere motivazionale più stringente. La stazione appaltante motiva tale scelta in considerazione o della riscontrata effettiva assenza di alternative ovvero del grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale (esecuzione a regola d’arte, nel rispetto dei tempi e dei costi pattuiti) e in ragione della competitività del prezzo offerto rispetto alla media dei prezzi praticati nel settore di mercato di riferimento, anche tenendo conto della qualità della prestazione”), pur esprimendo un condivisibile indirizzo di massima, non poteva considerarsi del tutto inderogabile nell’assolutezza del duplice presupposto in cui rigidamente tendeva a chiudere il non predeterminabile orizzonte motivazionale connesso alla multiforme realtà dell’inafferrabile operato amministrativo.

Detto altrimenti, l’obbligo di rispettare i principi definiti dal richiamato 30, comma 1, del codice dei contratti (economicità, efficacia, tempestività , correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità), se da un lato esclude di riconnettere automaticamente la possibilità per le pubbliche amministrazioni di contrarre con uno specifico operatore economico senza procedure specifiche al solo dato oggettivo dell’importo economico, dall’altro implica che la motivazione può e deve essere costruita anche senza ricorrere all’acquisizione di una pluralità di preventivi atteso che la congruità di una proposta contrattuale può ricostruirsi anche aliunde (ad esempio, confrontandola con listini pubblici, quali i prezzi del MePa, o, ancora, con affidamenti di prestazioni analoghe di altre amministrazioni, dopo semplici ricerche in rete). Del resto, sia pure ratione temporis non applicabili, significative in tal senso appaiono le novità apportate al riguardo dal D. lgs. 56/2017 recanti integrazioni e correzioni al D. Lgs. 50/2016: in particolare il nuovo testo della norma derivante dal correttivo interviene esattamente sui problemi operativi posti dalla combinazione della precedente formulazione e dell’interpretazione rigorosa fornita dall’ANAC e compie due operazioni: una chirurgica, eliminando, come visto, il riferimento all’adeguata motivazione; una additiva, specificando che l’affidamento non deve necessariamente avvenire a valle di una consultazione tra due o più operatori economici. Trova conferma quindi il dato ermeneutico per cui l’ineliminabile obbligo motivazionale (ribadito, proprio per gli affidamenti in esame ed alla correlata cd. “determina a contrarre unificata e semplificata”, dal nuovo alinea aggiunto dal D. lgs. 56/2017 all’art. 32, comma 2, del codice dei contratti pubblici, a mente del quale nella procedura di cui all’articolo 36, comma 2, lettera a), la stazione appaltante può procedere ad affidamento diretto tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga, in modo semplificato, l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti) non si esaurisce più nel necessario confronto tra più preventivi.

Nel caso di specie, come correttamente rilevato dalla difesa dell’odierno controinteressato, viene in rilievo una duplice peculiarità del servizio in questione: da un lato, in quanto servizio di trasporto aereo-elicotteristico in alta montagna, si presenta di delicata, elevatissima, caratura tecnica, per il grado di perizia e di affidabilità degli operatori, per la necessità di conoscenza dei luoghi, del volo alle alte quote; per la complessità del rapporto con la clientela dell’heliski; per l’esperienza della interazione con gli altri operatori (guide, soccorso alpino, operatori sanitari specialistici, ecc.) del settore; per altro verso e sul versante procedimentale, pur nella sua autonoma individuabilità, si tratta di un servizio che va a collocarsi interstizialmente, e per brevissimo tempo, tra il servizio precedente, risolto, e quello futuro, in corso (al momento della assegnazione di quello per cui è questione) di affidamento. In termini più sintetici – ma da decifrare nel descritto contesto procedimentale, la stazione appaltante ha espresso siffatta indicazione sull rilievo che la scelta è caduta sull’ultimo concessionario “…in quanto già a conoscenza delle modalità di esecuzione del servizio e in base a ragioni di immediata disponibilità (base di partenza compresa) …”.

Deve ancora osservarsi come l’affidamento diretto de quo assolva alla peculiare funzione di proroga tecnica o limitata, in ragione dell’anticipata risoluzione del pregresso rapporto contrattuale e nelle more dell’espletamento della nuova procedura per il suo integrale affidamento (in tal senso differente dalla cd. proroga piena o programmata, che costituisce una modalità di affidamento alternativa alle procedure ordinarie e, in quanto riferita all’interezza del servizio a carattere ripetitivo, ammessa nei casi ed alle condizioni specifiche espressamente indicate dall’art. 63, comma 5 del codice dei contratti pubblici): in tal senso il carattere unipersonale della scelta nella direzione dell’aggiudicatario uscente risponde ad esigenze di immediata continuità in un servizio che non tollera soluzioni del servizio, di talché il principio di rotazione – che peraltro appare prioritariamente riferito al susseguirsi di una pluralità di affidamenti semplificati quale bilanciamento al loro carattere eccezionale e derogatorio rispetto alle procedure ordinarie e che, in quanto tale, dal correttivo 2017 è ora chiaramente indicato come rotazione degli inviti (e non solo degli affidamenti) – non può dirsi concretamente violato

In definitiva il ricorso va respinto. Nelle peculiarità delle questioni trattate il Collegio ravvisa, tuttavia, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c., eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d’Aosta (Sezione Unica) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Aosta nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

 

Andrea Migliozzi, Presidente

Davide Ponte, Consigliere

Carlo Buonauro, Consigliere, Estensore

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 23 GIU. 2017.

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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T.A.R. Palermo, (Sicilia), sez. III, 08/05/2017,  n. 1210

Massima

In tema di procedure di affidamento di contratti pubblici, il riferimento, contenuto nell’art. 80, d.lg. 18 aprile 2016 n. 50 all’accertamento dei gravi illeciti nell’esercizio dell’attività professionale « con adeguati mezzi », non esclude l’obbligo, in capo alla concorrente, di dichiarare l’esistenza di significative carenze, come tipizzate dal richiamato art. 80, comma 5, lett. c); dichiarazione, dalla quale scaturisce eventualmente l’avvio del contraddittorio. Va, peraltro, osservato che, poiché l’art. 86 del d.lg. n. 50/2016 non indica, rispetto a tale causa di esclusione, alcuno specifico mezzo di prova, sussiste, in atto, la libertà di acquisizione della prova stessa circa la sussistenza della « significativa carenza »; sicché, in attesa che entri in vigore il decreto previsto dall’art. 81, comma 2, dello stesso Codice, le stazioni appaltanti di norma verificano la sussistenza della cause di esclusione tramite l’accesso al casellario informatico, ma questo non esclude che possano venirne a conoscenza aliunde

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 468 del 2017, proposto da:

IGM Rifiuti  Industriali  S.r.l.,  in  proprio  e  nella  qualità  di

mandataria capogruppo del costituendo  raggruppamento  temporaneo  di

imprese con Is. S.r.l. e con S.E.A. S.r.l.,  in  persona  del  legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Riccardo

Rotigliano, con  domicilio  eletto  presso  lo  studio  del  predetto

difensore in Palermo, via Filippo Cordova n. 95;

contro

il Comune di Caltanissetta,  in  persona  del  Sindaco  pro  tempore,

rappresentato e difeso dagli avvocati Michele Lupo ed Andrea Scuderi,

con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Daniela  Macaluso  in

Palermo Via G. Ventura n. 1;

nei confronti di

Senesi S.p.A., in persona  del  legale  rappresentante  pro  tempore,

rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati    Domenico    Pitruzzella,

Alessandro Lucchetti e Elena Daniele, con domicilio eletto presso  lo

studio del primo sito in Palermo, via Nunzio Morello n. 40;

per l’annullamento

– della determinazione dirigenziale n. 88 del 6 febbraio 2017 –  Reg.

Dirig. n. 32  del  2  febbraio  2017,  con  la  quale  il  Comune  di

Caltanissetta ha aggiudicato  alla  controinteressata  l’appalto  del

“servizio di raccolta, trasporto dei RSU, spazzamento  e  servizi  di

igiene  ambientale   dell’ARO    di    Caltanissetta    nelle    more

dell’attuazione del Piano di intervento Durata anni  uno  rinnovabile

per mesi sei” (CIG 68311993BF);

– dei verbali delle sedute pubbliche e riservate del seggio  di  gara

  1. 1 dell’11 gennaio 2017, n. 2 del 13 gennaio 2017, n. 3  del  17

gennaio 2017, n. 4 del 17 gennaio 2017, n. 5 del 18 gennaio 2017,  n.

6 del 19 gennaio 2017 e n. 7 del 24 gennaio 2017, nella parte in cui,

tra l’altro, la controinteressata è stata ammessa alla gara, è  stata

valutata la sua offerta tecnica ed  economica,  sono  state  valutate

contemporaneamente entrambe le offerte tecniche ed è  stata  proposta

l’aggiudicazione in suo favore;

– dell’aggiudicazione o della proposta di aggiudicazione, comunque la

si voglia qualificare, disposta in favore della controinteressata nel

corso della seduta del 24 gennaio 2017;

– dell’approvazione della proposta  di  aggiudicazione,  disposta  ai

sensi dell’art. 33, comma 1, d. lgs. n.  50/16,  di  data  o  estremi

sconosciuti, ivi inclusa la sua adozione per silentium;

– della nota mail prot. n. 1473 del giorno 11 gennaio  2017,  con  la

quale è stato respinto il reclamo proposto dalla ricorrente con  nota

mail del precedente 9 gennaio;

– della determina dirigenziale n. 421 del 31 dicembre 2016, di nomina

della commissione;

– della determinazione dirigenziale n. 948 del 17 ottobre 2016 – Reg.

Dirig. n. 218 di pari data, con la quale è stata indetta la procedura

negoziata;

– della nota prot. n. 6023 del 26 gennaio 2017, con cui il Comune  ha

comunicato  alla  controinteressata   l’aggiudicazione    provvisoria

(recte: la proposta di aggiudicazione);

– della nota prot. n. 6030 del 26 gennaio 2017, con cui il Comune  ha

comunicato alla ricorrente l’aggiudicazione  provvisoria  (recte:  la

proposta di aggiudicazione) in favore della controinteressata;

– di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale;

E PER LA DECLARATORIA

di inefficacia del contratto eventualmente  nelle  more  sottoscritto

tra il Comune di Caltanissetta e l’a.t.i. Senesi S.pA. –  Eco  Burgos

S.c.r.l. ai sensi degli artt. 121, co. 1, e 122 c.p.a.;

E PER L’ACCOGLIMENTO

della domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto ai  sensi

dell’art. 124 c.p.a.,

OVVERO

per il risarcimento del danno per equivalente subito e provato  dalla

ricorrente anche in corso di causa, comunque non inferiore  all’utile

di impresa calcolato sull’importo a base d’asta, al netto degli oneri

di sicurezza e del ribasso offerto dalla ricorrente, maggiorato di un

ulteriore importo che tenga conto del c.d. danno  curriculare  e  del

danno emergente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di  costituzione  in  giudizio  della  controinteressata

Senesi s.p.a., con le relative deduzioni difensive;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Caltanissetta,

con le relative deduzioni difensive;

Vista l’ordinanza n. 283/2017;

Vista l’ordinanza del C.G.A. n. 329/2017;

Viste le memorie prodotte da tutte le parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il consigliere dott.ssa Maria Cappellano;

Uditi all’udienza pubblica del giorno  21  aprile  2017  i  difensori

delle parti, come da verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

FATTO

  1. – Con ricorso ritualmente notificato e depositato la società IGM Rifiuti Industriali S.r.l., in proprio e nella qualità di capogruppo del costituendo R.T.I. con Is. S.r.l. e con S.E.A. S.r.l., ha impugnato gli atti indicati in epigrafe relativi all’aggiudicazione, in favore della ditta Senesi s.p.a. (mandataria del RTI con Eco Burgus s.c. a r.l.), della gara d’appalto per il “servizio di raccolta, trasporto dei RSU, spazzamento e servizi di igiene ambientale dell’ARO di Caltanissetta nelle more dell’attuazione del Piano di intervento Durata anni uno rinnovabile per mesi sei”, indetta dal Comune di Caltanissetta ai sensi dell’art. 63, co. 2, lett. c), del d. lgs. n. 50/2016, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Espone che tale procedura negoziata è stata indetta dall’ente locale intimato nelle more della definizione della gara avviata presso l’U.R.E.G.A., i cui tempi non sarebbero definibili; e che a tale procedura hanno partecipato solo il costituendo raggruppamento temporaneo di cui la ricorrente è capogruppo mandataria, e il raggruppamento di cui la società controinteressata è mandataria, che aveva chiesto di essere invitato come previsto dalla determinazione di indizione della stessa procedura (v. determina n. 948/2016).

Dolendosi dell’ammissione del raggruppamento controinteressato, ha impugnato tutti gli atti della procedura, compresa la determinazione dirigenziale di aggiudicazione definitiva, deducendo le censure di:

I-II) VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 80, CO. 5, LETT. C), D. LG. N. 50/16 – VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEL PUNTO 4.A-6) DELLA LETTERA DI INVITO, in quanto:

– il legale rappresentante della Senesi s.p.a., nel dichiarare “di non essersi reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità (art. 80, comma 5, lett. c)”, avrebbe reso una dichiarazione quantomeno reticente, non avendo informato la stazione appaltante dell’applicazione di penali, per oltre un milione di euro, con riferimento ad uno stesso contratto di appalto stipulato con il Comune di Aversa; dell’adozione, da parte della Prefettura di Fermo, di un’informativa interdittiva a carico della controinteressata; nonché, dell’applicazione, da parte della Città Metropolitana di Napoli, di una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell’art. 258, co. 2, d. lgs. n. 152/2006, per l’omessa tenuta del registro di carico e scarico ai sensi dell’art. 190 del citato decreto;

– Eco Burgus s.r.l. – Consorzio mandante del raggruppamento di cui è capogruppo la controinteressata – non avrebbe reso noto alla stazione appaltante l’adozione di un’informativa interdittiva, da parte della Prefettura di Palermo, a carico di un’impresa socia del Consorzio ed estromessa già al momento di partecipazione alla gara; situazione, dalla quale era conseguita l’esclusione da un’altra gara, ritenuta legittima dal T.A.R. Sicilia con ordinanza n. 1440/2016, confermata dal C.G.A. (ord. n. 70/2017);

III) VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEL PARAGRAFO 6 DELLA LETTERA DI INVITO – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI IMPARZIALITÀ DEL SEGGIO DI GARA, in quanto l’attribuzione del punteggio tecnico alla controinteressata sarebbe stata effettuata quando si conosceva già il contenuto dell’offerta della seconda, pur in assenza del confronto a coppie;

  1. IV) VIOLAZIONE DELL’ 47, CO. 20, L. REG. N. 5/2014, in quanto la gara in contestazione sarebbe di competenza dell’U.R.E.G.A., ai sensi della norma regionale appena citata.

Ha, quindi, chiesto l’annullamento degli atti impugnati, previo accoglimento dell’istanza cautelare; la declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato e la domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto; in via subordinata, ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni per equivalente.

  1. – Si è costituita in giudizio Senesi s.p.a., depositando documentazione ed avversando tutte le censure. Quanto ai motivi di esclusione, sostiene la controinteressata che gli eventi indicati dalla ricorrente non rientrerebbero negli obblighi dichiarativi a carico della concorrente; e che, in ogni caso, gli stessi eventi dovrebbero costituire oggetto di un contraddittorio con la ditta, senza possibilità di una immediata esclusione.
  2. – Si è costituito in giudizio anche il Comune di Caltanissetta, il quale ha rappresentato:

– di avere individuato un proprio bacino territoriale (ARO: Area di Raccolta Ottimale) di dimensione diversa dall’ATO provinciale di appartenenza, predisponendo il relativo piano di intervento approvato dal competente Assessorato regionale;

– di avere, conseguentemente, inviato gli atti all’U.R.E.G.A. di Caltanissetta per l’avvio delle procedure di gara per l’affidamento del servizio integrato di raccolta dei rifiuti urbani per sette anni;

– nelle more della definizione della gara da parte dell’Ufficio Regionale, di avere indetto la gara oggetto del contendere al fine di far fronte all’esigenza di garantire il servizio, in atto gestito dalla ricorrente prima in virtù di proroga e, successivamente, sulla base di ordinanze contingibili e urgenti, fino al 31 marzo 2017.

Ha, quindi, avversato tutte le censure con motivazioni in parte analoghe a quelle spese dalla controinteressata, chiedendo la reiezione del ricorso e della connessa istanza cautelare; e facendo presente, quanto al quarto motivo – su cui ha eccepito l’inammissibilità per mancata impugnazione della lettera di invito in parte qua – l’impossibilità di applicare l’art. 47, co. 20, della l.r. n. 5/2014, anche a seguito dell’emanazione dell’ordinanza contingibile e urgente del Presidente della Regione Siciliana del 30 giugno 2016 n. 6/rif., con la quale è stato posto all’U.R.E.G.A. il limite temporale del 15 luglio 2016 per l’accettazione degli atti di gara relativi al servizio integrato di raccolta rifiuti.

  1. – Con ordinanza n. 283/2017 è stata accolta l’istanza cautelare e fissata la data della discussione del ricorso nel merito; ordinanza, confermata dal C.G.A. con ordinanza n. 329/2017, pubblicata il 14 aprile 2017, in considerazione dell’imminente udienza di merito innanzi a questo Tribunale.
  2. – In vista dell’udienza tutte le parti hanno ulteriormente argomentato, insistendo nelle rispettive conclusioni.

Quindi, all’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2017 le parti hanno discusso la causa e il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

  1. – Viene in decisione il ricorso proposto dalla società IGM Rifiuti Industriali S.r.l. – in proprio e nella qualità di capogruppo del costituendo raggruppamento con Is. S.r.l. e con S.E.A. S.r.l. – avverso l’ammissione, e la conseguente aggiudicazione in favore del raggruppamento di cui la ditta Senesi s.p.a. è capogruppo, della gara d’appalto per il “servizio di raccolta, trasporto dei RSU, spazzamento e servizi di igiene ambientale dell’ARO di Caltanissetta nelle more dell’attuazione del Piano di intervento Durata anni uno rinnovabile per mesi sei”, indetta dal Comune di Caltanissetta ai sensi dell’art. 63, co. 2, lett. c), del d. lgs. n. 50/2016, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
  2. – Ritiene il Collegio di confermare la delibazione assunta in fase cautelare, atteso che il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti che saranno subito precisati.
  3. 1. – È fondato, in particolare, il primo motivo, con il quale si deduce la violazione dell’art. 80, co. 5, lett. c), del d. lgs. n. 50/2016, con particolare riferimento alla posizione di Senesi s.p.a..

La disposizione appena richiamata stabilisce che:

5. Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’articolo 105, comma 6, qualora:

…(omissis)…

  1. c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione;”.

Come rilevato dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato in sede di emissione del parere sulle linee guida ANAC “indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del codice“, la norma ha introdotto una semplificazione a fini probatori, in quanto è la stessa disposizione a stabilire che, in presenza di determinati effetti giuridici “(risoluzione anticipata “definitiva” perché non contestata ovvero confermata in giudizio, penali, risarcimento, incameramento della garanzia)” un eventuale “inadempimento contrattuale” assurge, per legge, al rango di “significativa carenza”; correlativamente, sorge l’obbligo dichiarativo in capo alla concorrente.

È stato, in particolare, osservato che “…L’art. 80, c. 5, lett. c), in combinato con il c. 13, codice, demanda alle linee guida il solo compito di individuare la casistica delle significative carenze nell’esecuzione di precedenti contratti; ma indica già in modo compiuto e tassativo un indice di riconoscimento delle “significative carenze”, ancorato agli effetti giuridici che si sono prodotti, e che sono i seguenti: “risoluzione anticipata del contratto, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero una condanna al risarcimento del danno o l’applicazione di altre sanzioni”. Possono essere considerate come “altre sanzioni”, l’incameramento delle garanzie di esecuzione o l’applicazione di penali, fermo che la sola applicazione di una clausola penale non è di per sé sintomo di grave illecito professionale, specie nel caso di applicazione di penali in misura modesta.

Se, pertanto, in relazione ad un pregresso contratto, non si sono prodotti tali effetti giuridici (risoluzione anticipata “definitiva” perché non contestata ovvero confermata in giudizio, penali, risarcimento, incameramento della garanzia), un eventuale “inadempimento contrattuale” non assurge, per legge, al rango di “significativa carenza”.

Si tratta, evidentemente, di una semplificazione “a fini probatori”, in quanto se non si sono prodotti tali effetti tipizzati, è ben più complesso fornire la prova incontestabile che il pregresso inadempimento è stato “significativo”;…” (cfr. Consiglio di Stato, Commissione speciale del 26 ottobre 2016, parere n. 2286/2016)”.

In quella sede si è ulteriormente precisato, in ordine al dovere in capo ad ogni concorrente di rendere una dichiarazione completa, che “…Nel vigore del nuovo codice, occorre distinguere tra autodichiarazione, effettuata tramite il DGUE (documento di gara unico europeo), e prove che la stazione appaltante può acquisire o esigere dai concorrenti.

Nell’ambito del DGUE, è esigibile che il concorrente autodichiari l’assenza di gravi illeciti professionali, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza formatasi nel vigore del codice del 2006…” (cfr. Consiglio di Stato, parere n. 2286/2016 citato, paragrafo 8.2.; v. anche le linee guida ANAC, punto 2.1.1.).

Il riferimento è, in particolare, alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, come indicato nello stesso parere con ampi riferimenti, riteneva esigibile l’autodichiarazione avente ad oggetto anche le eventuali pregresse risoluzioni contrattuali, anche se relative ad appalti affidati da stazioni appaltanti diverse da quella che aveva bandito la gara.

Rispetto alla precedente disciplina contenuta nell’art. 38 del d. lgs. n. 163/2006, nel sistema del Codice approvato con il d. lgs. n. 50/2016, la nuova disposizione contenuta nell’art. 80, co. 5, lett. c), presenta un contenuto ed una portata più ampia della precedente, in quanto – se con riferimento alla risoluzione del contratto chiarisce che deve trattarsi di una risoluzione “anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio” – per l’altra fattispecie, relativa all’applicazione di “altre sanzioni“, non fa alcun riferimento all’eventuale contestazione, operando in tal modo una differenza testuale tra gli “effetti giuridici” delle “significative carenze”.

Tale dato, se per un verso induce a ritenere che le concorrenti siano obbligate a dichiarare sempre e comunque l’applicazione delle penali nell’ottica della massima trasparenza, per altro verso implica, sul piano fattuale, che le circostanze concrete – quali la tenuità della penale, l’essere stata singolarmente applicata o l’essere stata contestata – devono contestualmente essere offerte alla Stazione appaltante al fine di consentirle l’esercizio del potere discrezionale di valutazione nel modo più compiuto possibile.

Quanto appena rilevato è stato fatto proprio anche nelle linee guida ANAC n. 6 del 16 novembre 2016, recanti “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice“, le quali precisano che “La sussistenza delle cause di esclusione in esame deve essere autocertificata dagli operatori economici mediante utilizzo del DGUE. La dichiarazione sostitutiva ha ad oggetto tutte le notizie astrattamente idonee a porre in dubbio l’integrita` o l’affidabilita` del concorrente, essendo rimesso in via esclusiva alla stazione appaltante il giudizio in ordine alla gravità dei comportamenti e alla loro rilevanza ai fini dell’esclusione.”

Sicché, la valutazione deve essere rimessa, volta per volta, all’esclusiva competenza della P.A., con correlativo obbligo di ogni concorrente di indicare quantomeno le significative carenze quali tipizzate dal legislatore con la disposizione in commento.

Applicando i suddetti principi al caso di specie, deve rilevarsi che costituisce dato incontestato l’applicazione, a carico di Senesi s.p.a., di due penali, con riferimento al contratto di appalto stipulato con il Comune di Aversa, per un ammontare complessivo di poco superiore al milione di euro.

Sotto tale profilo, non è ininfluente rilevare che le penali applicate attengono al mancato raggiungimento della percentuale di raccolta differenziata, costituente un elemento qualificante la procedura negoziata indetta dal Comune di Caltanissetta.

Rispetto a tale dato obiettivo, la circostanza che, ad avviso dell’impresa, tali penali costituiscano una percentuale minima rispetto al valore del contratto, e che siano state contestate davanti all’autorità giurisdizionale, si traduce in una sostituzione della parte privata alla valutazione che è rimessa alla stazione appaltante, alla quale spetta in via esclusiva la valutazione in ordine alla rilevanza dei fatti e degli eventi occorsi.

Ne consegue che il riferimento, contenuto nel citato art. 80, all’accertamento dei gravi illeciti nell’esercizio dell’attività professionale “con adeguati mezzi”, non esclude l’obbligo, in capo alla concorrente, di dichiarare l’esistenza di significative carenze, come tipizzate dal più volte richiamato art. 80, co. 5, lett. c); dichiarazione, dalla quale scaturisce eventualmente l’avvio del contraddittorio (v., in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. V, 22 ottobre 2015, n. 4870; la sentenza di questa Sezione, n. 2983/2016, riferita tuttavia alla disciplina precedente, confermata su tale punto, dal C.G.A. con ordinanza n. 220/2017; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 15 marzo 2017, n. 96).

Va, peraltro, osservato che, poiché l’art. 86 del d. lgs. n. 50/2016 non indica, rispetto a tale causa di esclusione, alcuno specifico mezzo di prova, sussiste, in atto, la libertà di acquisizione della prova stessa circa la sussistenza della “significativa carenza”; sicché, in attesa che entri in vigore il decreto previsto dall’art. 81, co. 2, dello stesso Codice, le stazioni appaltanti di norma verificano la sussistenza della cause di esclusione tramite l’accesso al casellario informatico, ma questo non esclude che possano venirne a conoscenza aliunde.

Osserva infine il Collegio che l’espresso riferimento della disposizione, di portata più ampia della precedente, alle “altre sanzioni” senza ulteriore specificazione – tra le quali rientra pacificamente l’applicazione delle penali – consente di non procedere alla chiesta rimessione alla Corte di Giustizia per presunto contrasto con l’art. 57 della Direttiva 2014/24/UE.

Si ritiene, in particolare, che la questione della conformità del diritto nazionale a quello europeo prospettata dalla ricorrente non può trovare positivo apprezzamento, come si evince dall’esame dell’art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24/UE.

Tale disposizione, invero, fa riferimento a situazioni, relative agli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, in presenza delle quali “le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere, oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto” tali operatori: la norma, pertanto, pone una facoltà agli Stati membri in ordine alla previsione delle cause di esclusione, senza porre alcun vincolo (v. Consiglio di Stato, Sez. V, 27 aprile 2017, n. 1955).

Nel caso in esame, il legislatore nazionale ha chiaramente indicato, tra le carenze “significative”, l’applicazione di altre sanzioni, tra le quali sia il Consiglio di Stato che l’ANAC hanno incluso le penali, sicché non si riscontra nel caso concreto il lamentato ampliamento degli obblighi dichiarativi, il cui assolvimento risulta, del resto, pregiudiziale rispetto alla possibilità, per il concorrente, di fornire la prova contraria dell’addebito eventualmente mosso; circostanza, quest’ultima, che conduce ad escludere anche la prospettata incompatibilità della disposizione con il par. 6 dello stesso art. 57.

La fondatezza del primo motivo, pienamente satisfattivo dell’interesse di parte ricorrente, assorbe ogni altra questione posta anche con la seconda censura.

  1. 2. – Va, invece, dichiarato inammissibile il terzo motivo, con il quale si contesta la legittimità del confronto a coppie delle offerte tecniche.

La doglianza si presenta, in particolare, inammissibile per carenza di interesse, atteso che la ricorrente ha ottenuto il massimo punteggio stabilito per l’offerta tecnica.

  1. 3. – Anche il quarto motivo, con il quale la ricorrente deduce la violazione, dell’art. 47, co. 20, della l. r. n. 5/2014, non può trovare adesione, il che rende superabile l’eccezione di inammissibilità formulata dal Comune di Caltanissetta per mancata impugnazione della lettera di invito in parte qua.

L’art. 47, co. 20, della l.r. n. 5/2014, stabilisce che “Fuori dai casi di cui all’articolo 15 della legge regionale 8 aprile 2010, n. 9, le aree di raccolta ottimale costituite ai sensi della legge regionale 9 gennaio 2013, n. 3, in conformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che intendano affidare il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara ad evidenza pubblica si avvalgono dell’Ufficio regionale per l’espletamento di gare per l’appalto di lavori pubblici di cui all’articolo 9 della legge regionale 12 luglio 2011, n. 12.

La disposizione fa esplicito riferimento alla “gara ad evidenza pubblica”: la ricorrente ritiene tale espressione comprensiva anche della procedura negoziata oggetto del contendere, per la quale sostiene, in sintesi, che il Comune resistente avrebbe dovuto non già costituire una commissione ai sensi dell’art. 8 della l.r. n. 12/2011 – presieduta dal dirigente comunale e composta, per il resto, da componenti estratti a sorte dall’albo U.R.E.G.A. – ma avrebbe dovuto inviare gli atti all’Ufficio Regionale per la gestione anche di tale gara.

Deve precisarci che, come chiarito dal Comune di Caltanissetta, l’ente locale ha già inviato all’U.R.E.G.A., con note del 4 aprile e del 23 giugno 2016, tutta la documentazione necessaria per l’espletamento della gara, previa pubblicazione del bando di gara, per l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, per la durata di sette anni.

Per contro, la procedura in contestazione è stata indetta mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, ai sensi dell’art. 63, co. 2, lett. c), del d. lgs. n. 50/2016, la quale, ad avviso del Collegio, non può farsi rientrare nella nozione di “gara ad evidenza pubblica” utilizzata dal legislatore regionale, venendo in rilievo un’ipotesi derogatoria ed eccezionale al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità tipica della procedura aperta, alla quale fa sostanzialmente riferimento la norma regionale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 maggio 2015, n. 2272; C.G.A., 21 gennaio 2015, n. 41; T.A.R. Reggio Calabria, 29 dicembre 2015, n. 1287).

Deve anche rilevarsi, per completezza, che – come evidenziato dal Comune, e non contestato ex adverso – l’ordinanza urgente del Presidente della Regione n. 6/rif. del 30 giugno 2016 ha posto come limite temporale ai Comuni, per l’invio degli atti di gara all’U.R.E.G.A., il 15 luglio 2016, sicché, in ogni caso, l’ente locale non avrebbe potuto inviare all’Ufficio Regionale gli atti relativi alla “procedura ponte”, in quanto il relativo progetto è stato approvato dal Consiglio Comunale con delibera del 10 ottobre 2016.

D’altro canto, osserva il Collegio che – tenuto conto delle ragioni di urgenza evidentemente connesse alla gestione di tale delicato servizio – i tempi dell’Ufficio Regionale difficilmente sarebbero stati compatibili con il prevalente interesse pubblico ad una celere definizione dell’iter, da completare nelle more della definizione della gara ad evidenza pubblica per l’affidamento del servizio per sette anni.

  1. – Per tutto quanto esposto e rilevato, il ricorso, in quanto fondato nei sensi e limiti sopra precisati, deve essere accolto e, per l’effetto, devono essere annullati i verbali di gara nella parte in cui la controinteressata è stata ammessa alla gara, la conseguente aggiudicazione disposta con la determinazione n. 88 del 6 febbraio 2017, nonché la nota nota mail prot. n. 1473 del giorno 11 gennaio 2017, con la quale è stato respinto il reclamo (proposto dalla ricorrente con nota mail del 9 gennaio).

Restano salvi, invece, gli altri atti impugnati (determina dirigenziale n. 421 del 31 dicembre 2016, di nomina della commissione; determinazione dirigenziale n. 948 del 17 ottobre 2016, con la quale è stata indetta la procedura negoziata).

In accoglimento della domanda appositamente formulata, va anche accolta la domanda di conseguire l’aggiudicazione: il Comune intimato, una volta eseguiti i controlli con esito positivo, disporrà l’aggiudicazione in favore della ricorrente, unica concorrente rimasta in gara.

  1. – La parziale novità della questione – in uno alla disposta condanna in fase cautelare, che va confermata – inducono il Collegio a compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla gli atti specificamente indicati nella stessa motivazione.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Solveig Cogliani, Presidente

Nicola Maisano, Consigliere

Maria Cappellano, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 08 MAG. 2017.

 

Avv. Raimondo Nocerino

Raimondo Nocerino, classe 1976, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II nel 2000 con lode, maturando esperienze di studio in Spagna.

Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Diritti dell’Uomo presso l’Ateneo Federiciano nel marzo 2006 e presso la stessa Università, nel2012, il diploma di perfezionamento in “Diritto dell’unione Europea: la tutela dei diritti”.

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T.A.R. Catanzaro, (Calabria), sez. I, 19/12/2016,  n. 2522

Massima

L’operatore economico può essere escluso dalla gara per “gravi illeciti professionali” solo se   l’Amministrazione dimostri con mezzi adeguati che questi si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. E tra tali illeciti rientrano anche le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che ne abbiano causato la risoluzione anticipata, o il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante, o l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 1267 del 2016, proposto da:

Cooperativa Malgrado Tutto,  in  persona  del  legale  rappresentante

p.t.,  rappresentato  e  difeso  dall’avvocato  Luisa  Cimino    C.F.

CMNLSU78E53M208G, domiciliato ex art. 25 cpa presso Tar Segreteria in

Catanzaro, via De Gasperi, 76/B;

contro

U.T.G.  –  Prefettura  di  Catanzaro,  in    persona    del    legale

rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura

Distr.le Catanzaro, domiciliata in Catanzaro, via G.Da Fiore, 34;

nei confronti di

R.G. Multiservice, Euroservice S.r.l. non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

della procedura negoziata in via  d’urgenza  ex  art.  63  d.  lgs.vo

50/2016, per conclusione accordo quadro  affidamento  in  convenzione

servizio accoglienza nella provincia di catanzaro cittadini stranieri

richiedenti    protezione    internazionale    per    il      periodo

1/8/2016-31/10/2016 (prot. agid 20160009120 del 25/10/2016)

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di U.T.G.  –  Prefettura  di

Catanzaro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno  15  dicembre  2016  il

dott. Raffaele Tuccillo  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come

specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

 

FATTO E DIRITTO

Con ricorso la Malgrado Tutto chiedeva di annullare i provvedimenti indicati in ricorso con i quali la stessa era stata esclusa dalla procedura in questione e di accertare il diritto della cooperativa stessa a partecipare alla procedura oggetto di gara.

La ricorrente è stata esclusa dalla gara avente ad oggetto procedura negoziata in via di urgenza per la conclusione di un accordo quadro per l’affidamento in convenzione del servizio di accoglienza nel territorio della provincia di Catanzaro in favore di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. L’esclusione è motivata con riferimento alle contestazioni che hanno comportato la risoluzione di precedente analogo rapporto contrattuale ai sensi dell’art. 80, comma 5, let. c) del d.lgs. n. 50 del 2016.

Il ricorso deve trovare accoglimento.

La citata disposizione prevede che l’esclusione del concorrente è condizionata al fatto che la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione. Nel caso di specie, anche in seguito alla richiesta istruttoria formulata in corso di causa e della produzione documentale da parte della resistente, emerge che non si riscontrino adeguati elementi per ritenere che l’amministrazione abbia dimostrato con mezzi adeguati che l’operatore si è reso colpevole di gravi illeciti professionali tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Gli inadempimenti allegati e relativi a precedente rapporto contrattuale risultano, infatti, essere stati tutti contestati da parte ricorrente e ciò in modo espresso (nel senso della diretta impugnazione delle note adottate dalla Prefettura) o in forma non espressa (le contestazioni di cui alla nota n. 91546 del 5.2.2016 risultano essere oggetto del procedimento civile pendente, cfr. ricorso per riassunzione allegato da parte ricorrente alla memoria del 12.12.2015). Ne discende che l’allegato inadempimento difetta della prova dei caratteri della definitività e della gravità dell’inadempimento. Parte resistente non ha, pertanto, provato con mezzi adeguati che l’operatore si è reso colpevole di gravi illeciti professionali.

La modificazione nel testo normativo rispetto alla precedente formulazione (art. 38, let. f., d.lgs. n. 163/06) implica che l’accertamento in ordine alla esistenza della violazione debba essere effettuato sulla base delle indicazioni contenute nella medesima disposizione ovvero, anche, secondo altre e differenti modalità analiticamente descritte da parte della stazione appaltante. Nel caso di specie, posta la sussistenza di un’analitica contestazione giudiziale dei vari inadempimenti allegati e la mancanza di un’adeguata descrizione di fatti estranei e differenti rispetto a quelli oggetto di contestazione giudiziale, deve ritenersi non integrata l’ipotesi descritta nella fattispecie in esame con il conseguente accoglimento del ricorso.

Si precisa che, ugualmente, la citata disposizione fa riferimento e pertanto richiede la condanna al risarcimento del danno ovvero la condanna ad altre sanzioni che devono analiticamente essere motivate nell’ambito del procedimento applicativo della relativa sanzione. Come precisato nel parere reso dalla commissione speciale del Consiglio di Stato (Linee guida ANAC “indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del codice”) “possono essere considerate come “altre sanzioni”, l’incameramento delle garanzie di esecuzione o l’applicazione di penali, fermo che la sola applicazione di una clausola penale non è di per sé sintomo di grave illecito professionale, specie nel caso di applicazione di penali in misura modesta”. Nel caso di specie, viste le contestazioni giudiziali e l’entità delle penali non contestate, non appaiono adeguatamente provati i presupposti applicativi della citata disposizione.

La domanda di caducazione dell’intera procedura non può invece trovare accoglimento in mancanza di adeguata e specifica descrizione dei motivi di caducazione dell’intera procedura. Allo stesso modo, non può trovare accoglimento la domanda diretta ad accertare il diritto della cooperativa alla stipulazione della convenzione, rientrando nei poteri istruttori e discrezionali della pubblica amministrazione, né la rimozione di altre penalità riguardanti atti o fatti estranei all’odierno giudizio.

In considerazione della parziale soccombenza reciproca nonché della novità della questione di lite, vertendo sull’interpretazione di una disposizione entrata in vigore di recente, devono ritenersi sussistenti eccezionali motivi per compensare le spese di lite tra le parti.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati nei limiti di cui in motivazione.

Compensa le spese di lite

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente

Francesco Tallaro, Referendario

Raffaele Tuccillo, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 19 DIC. 2016.

 

Avv. Raimondo Nocerino

Raimondo Nocerino, classe 1976, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II nel 2000 con lode, maturando esperienze di studio in Spagna.

Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Diritti dell’Uomo presso l’Ateneo Federiciano nel marzo 2006 e presso la stessa Università, nel2012, il diploma di perfezionamento in “Diritto dell’unione Europea: la tutela dei diritti”.

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Tar Marche, Ancona, sez. I, 08/09/2017,  n. 706

Massima

La proroga delle concessioni demaniali marittime, disposta dall’art. 1 comma 18, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, si applica anche ai porti e agli approdi turistici, essendo la finalità turistico-ricreativa, in contrapposizione ad altre finalità, l’unica connotazione rilevante ai fini dell’applicazione della norma; del resto tale significato è stato confermato, con portata esplicativa, dall’art. 1 comma 547, l. 24 dicembre 2012, n. 228

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 281 del  2016,  integrato  da motivi aggiunti, proposto da:                                         Nautica Tito Group s.n.c. di Si. e Fr. Si.,  in  persona  del  legale rappresentante p.t., rappresentata e  difesa  dall’avvocato  Riccardo Leonardi, con domicilio eletto  presso  lo  studio  del  medesimo  in Ancona, corso Stamira, 49;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Autorità Portuale  di Ancona e Capitaneria di Porto di Ancona, rappresentati e  difesi  per legge  dall’Avvocatura  Distrettuale  dello  Stato,  domiciliata   in Ancona, piazza Cavour, 29;

nei confronti di

Nautiservice s.r.l.,  in  persona  del  legale  rappresentante  p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio  Mastri,  con  domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Ancona, corso Garibaldi, 124;

per l’annullamento

–  della  comunicazione  dell’Autorità  Portuale  –  PAR  000360  del 9/02/2016  –  concernente  la  domanda  di   concessione    demaniale marittima, con cui l’Autorità portuale di Ancona comunicava  che  non avrebbe avviato la procedura comparativa per la concessione dell’area demaniale ritenendo precettiva e direttamente applicabile la  proroga ex lege di cui all’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012;

–  di  ogni  altro  atto  antecedente,  consequenziale  e,  comunque, connesso;

relativamente ai motivi aggiunti:

– del provvedimento di proroga sino al 31/12/2020  della  concessione n. 24 del 28/9/2012, rilasciata alla  Nautiservice  s.r.l.,  disposto dall’Autorità Portuale in data 6 aprile 2016 e di tutti gli  atti  ad esso preordinati, consequenziali e, comunque, connessi.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Portuale  di Ancona, di Nautiservice s.r.l. e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Capitaneria di Porto di Ancona;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 aprile 2017  la  dott.ssa

Simona De Mattia e uditi per le parti i  difensori  come  specificato

nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

  1. La società ricorrente – che opera nel settore nautico svolgendo attività di rimessaggio, manutenzione, vendita e assistenza delle imbarcazioni sino a metri 25 di lunghezza, attualmente utilizzatrice, per le operazioni di alaggio e varo connesse alla propria attività, di un pontile sito all’interno del porto turistico “Marina Dorica” di Ancona – con l’atto introduttivo del giudizio ha impugnato la nota in epigrafe, con cui l’Autorità portuale ha deciso di non avviare la procedura comparativa per la concessione dell’area demaniale in uso alla Nautiservice s.r.l. (in virtù dell’ultima concessione n. 24 del 28 settembre 2012) – che svolge la medesima attività imprenditoriale della ricorrente – ritenendo precettiva e direttamente applicabile la proroga ex lege di cui all’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012, vigente al momento della scadenza di tale ultima concessione.

A sostegno del gravame lamenta, in sintesi, quanto segue:

– la proroga prevista dal legislatore italiano sarebbe affetta da rilevanti profili di illegittimità per contrasto con il diritto interno e con il diritto comunitario, come peraltro evidenziato da diverse pronunce della giurisprudenza amministrativa (si citano, Consiglio di Stato, 14 agosto 2015, n. 3936; TAR Sardegna, 28 gennaio 2015, n. 224 e TAR Lombardia, 26 settembre 2014, n. 2401), i cui principi vengono richiamati dalla ricorrente a supporto delle proprie ragioni; in particolare, quest’ultima assume che la dilazione concessa ex lege del periodo di vigenza delle concessioni demaniali consente una sostanziale elusione della normativa comunitaria, nello specifico dell’art. 12 della direttiva CE 2006/123, norma che, sebbene sia stata formalmente recepita dall’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2010, in sostanza viene disapplicata per effetto della disciplina speciale in questione, che, invece, consente una sorta di “diritto di insistenza” sulle concessioni demaniali marittime in essere. La questione, evidenzia la ricorrente, è a tal punto rilevante che la Corte di Giustizia dell’Unione europea è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla compatibilità del regime di proroga previsto dall’art. 1 del decreto legge n. 194 del 2009 con i principi comunitari posti a tutela della concorrenza (l’affare è stato definito nelle more del presente giudizio con sentenza della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016);

– contraddittorietà tra gli atti del procedimento posto in essere dall’Autorità Portuale, dal momento che quest’ultima, dalla data di pubblicazione dell’avviso ex art. 18 del DPR n. 238 del 1952 (avvenuta il 4 dicembre 2015) e sino alla deliberazione n. 5 del 25 gennaio 2016 del Comitato Portuale (con cui si confermava l’intenzione di procedere ad un confronto comparativo per l’affidamento della concessione in parola), non aveva ritenuto che la concessione di cui è titolare la Nautiservice s.r.l. rientrasse nel regime di proroga previsto dal citato art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012, salvo a cambiare improvvisamente orientamento con nota n. 360 del 9 febbraio 2016 (impugnata con l’atto introduttivo del giudizio). Di qui l’eccesso di potere che inficia l’atto impugnato, reso ancor più evidente dal fatto che, nell’ambito della procedura di rinnovo delle concessioni demaniali marittime in scadenza al 31 dicembre 2011, tra le quali rientrava anche quella in favore della Nautiservice s.r.l., nonostante fosse già in vigore l’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009 (che prevedeva la proroga automatica sino a 31 dicembre 2015), l’Autorità portuale non ha applicato detto regime di proroga, ma ha provveduto al rinnovo della concessione;

– illegittimità costituzionale dell’art. 34 duodecies della legge n. 221 del 2012, di conversione in legge del D.L. n. 179 del 2012, e dell’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012, per violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione ai principi del diritto comunitario di cui all’art. 12 della direttiva CE 2006/123; assume la ricorrente che la modifica introdotta dall’art. 34 duodecies citato, nel prevedere la proroga delle concessioni sino al 31 dicembre 2020, sostanzialmente reintroduce la preferenza accordata al concessionario uscente nell’affidamento della concessione, che invece è stata eliminata dall’ordinamento per effetto dell’abrogazione del secondo periodo del secondo comma dell’art. 37 del codice della navigazione. Anche sotto tale profilo, quindi, l’art. 12 della direttiva comunitaria innanzi menzionata è stato violato;

– sulla base delle suesposte argomentazioni, quindi, parte ricorrente chiede: in via pregiudiziale, la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea della questione esposta nel primo motivo e la sospensione del giudizio sino alla relativa decisione; in via preliminare, la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale esposta nell’ultimo motivo di ricorso, sempre previa sospensione del processo; nel merito, l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’atto gravato.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere, l’Autorità portuale di Ancona e la Nautiservice s.r.l., entrambe chiedendo il rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 180 del 2016 il Tribunale ha respinto l’istanza di concessione di misure cautelari.

Con motivi aggiunti la ricorrente ha altresì impugnato il provvedimento di proroga sino al 31 dicembre 2020 della concessione n. 24 del 28 settembre 2012, rilasciata alla Nautiservice s.r.l., disposto dall’Autorità Portuale in data 6 aprile 2016, nonché tutti gli atti ad esso preordinati, consequenziali e connessi, deducendo l’illegittimità della suddetta proroga sia in via propria che in via derivata, per i medesimi vizi che inficiano la comunicazione n. 360 del 9 febbraio 2016, fatta oggetto di impugnazione con l’atto introduttivo del giudizio; essa ha riproposto, a sostegno dei motivi aggiunti, le medesime censure già contenute nel ricorso introduttivo e ha concluso formulando le stesse richieste avanzate con tale ultimo atto.

Rispetto ai motivi aggiunti si è costituito in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Capitaneria di Porto di Ancona, che ha eccepito, in via preliminare, la propria carenza di legittimazione passiva per essere la Capitaneria estranea ai provvedimenti impugnati, e la società Nautiservice s.r.l., che ha invece eccepito, sempre in via preliminare, l’inesistenza della notifica del ricorso a mezzo PEC, modalità non contemplata nel processo amministrativo, e quindi l’inammissibilità del gravame per essere stata tardivamente espletata la notifica a mezzo posta. Nel merito, tutte le parti resistenti hanno chiesto il rigetto dei motivi aggiunti perché infondati.

Alla pubblica udienza del 7 aprile 2017, sulle conclusioni delle parti, la causa è stata posta in decisione.

  1. Reputa il Collegio di poter trattare congiuntamente sia il ricorso introduttivo che i motivi aggiunti data l’identità delle censure proposte.
  2. 1. Preliminarmente, occorre affrontare la questione, sollevata dalla controinteressata, dell’ammissibilità, nel processo amministrativo, della notifica del ricorso a mezzo PEC, anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 14 del DPCM n. 40 del 2016.

Detta questione è stata di recente rimessa all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr., Cons. Stato, sez. III, ordinanza n. 1322 del 23 marzo 2017), atteso che in giurisprudenza si registrano, allo stato due orientamenti: quello, attualmente minoritario, secondo cui, in assenza di apposita autorizzazione presidenziale ex art. 52, comma 2, c.p.a., è inammissibile la notifica del ricorso giurisdizionale mediante posta elettronica certificata ai sensi della legge 21 gennaio 1994, nr. 53 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17 gennaio 2017, n. 130 e n. 156; 13 dicembre 2016, n. 5226; sez. III, 20 gennaio 2016, n. 189); l’altro, al momento prevalente, che riconosce l’immediata applicazione nel processo amministrativo delle norme di cui agli artt. 1 e 3-bis della legge n. 53 del 1994, in base alle quali la notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale può essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 2016, n. 4895; sez. V, 4 novembre 2016, n. 4631; sez. VI, 26 ottobre 2016, n. 4490).

Come è noto, questo Tribunale ha ormai da tempo aderito a tale ultimo orientamento – che peraltro è quello a cui mostra di aderire anche la citata ordinanza di rimessione – ammettendo la notifica a mezzo PEC nel processo amministrativo come modalità alternativamente consentita in luogo di quelle tradizionali, sicché l’eccezione proposta dalla Nautiservice s.r.l., volta a far valere la nullità della notificazione dei motivi aggiunti e quindi l’irricevibilità degli stessi per tardività con riferimento alla notifica effettuata a mezzo posta, deve essere respinta.

  1. 2. Sempre in via preliminare, va preso atto della tardività della costituzione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Capitaneria di Porto di Ancona, avvenuta solo in data 3 aprile 2017. Il Collegio, pertanto, non terrà conto, ai fini della presente trattazione, delle deduzioni difensive contenute nella relativa memoria (pacificamente ammissibili, in caso di costituzione tardiva, solo nei limiti in cui si siano tradotte in una difesa orale).

Giova tuttavia evidenziare che l’eccezione della resistente Amministrazione in merito alla carenza di legittimazione passiva in capo alla Capitaneria di Porto di Ancona è rilevabile anche d’ufficio, sicché la tardività della memoria con cui essa è stata sollevata non ne impedisce la trattazione da parte del Tribunale (Cons. Stato, sez. V, 31 agosto 2015, n. 4043).

Ciò posto, si osserva che, poiché i gravami concernono l’impugnazione di atti non provenienti dalla Capitaneria di Porto di Ancona, quest’ultima deve essere estromessa dal giudizio.

III. Passando, quindi, all’esame del merito, occorrono innanzitutto talune precisazioni.

La questione oggetto della controversia verte sull’applicabilità dell’art. 1 del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, nel testo modificato dal comma 1 dell’art. 34-duodecies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e, successivamente, dal comma 547 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante disposizioni in materia di proroga ope legis fino al 31 dicembre 2020, di alcune tipologie di rapporti concessori afferenti a beni demaniali marittimi.

In particolare, il citato art. 34-duodecies ha posticipato al 31 dicembre 2020 il termine per la proroga previsto dall’art. 1, comma 18, del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, per le concessioni aventi finalità turistico-ricreativo e per quelle destinate alla nautica da diporto (art. 2, comma 1, del D.P.R. 2 dicembre 1997, n. 509), di cui all’art. 3, comma 8 lett. b) del D.L. n. 70 del 13 maggio 2011, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106. Il comma 547 dell’art. 1 della citata legge n. 228 del 2012, poi, ha apportato ulteriori modifiche al testo dell’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009 sopra menzionato, estendendo la proroga anche alle concessioni con finalità sportive, nonché a quelle destinate a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto.

III. 1. Tanto premesso, occorre sin da subito evidenziare che i provvedimenti impugnati non possono dirsi illegittimi rispetto al diritto interno, atteso che l’Autorità portuale di Ancona ha operato in attuazione delle suddette disposizioni, applicabili ratione temporis e dalla portata immediatamente precettiva per l’Amministrazione.

Giova richiamare, in proposito, quanto statuito dal Consiglio di Stato proprio nella sentenza della VI sezione del 14 agosto 2015, n. 3936, con cui è stata disposta, sulla scia di quanto deciso dal TAR Lombardia con la pronuncia del 26 settembre 2014, n. 2401 (entrambe citate dalla ricorrente), la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della seguente questione pregiudiziale: “Se i principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56, e 106 del TFUE, nonché il canone di ragionevolezza in essi racchiuso, ostano ad una normativa nazionale che, per effetto di successivi interventi legislativi, determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale di rilevanza economica, la cui durata viene incrementata per legge per almeno undici anni, così conservando in via esclusiva il diritto allo sfruttamento a fini economici del bene in capo al medesimo concessionario, nonostante l’intervenuta scadenza del termine di efficacia previsto dalla concessione già rilasciatagli, con conseguente preclusione per gli operatori economici interessati di ogni possibilità di ottenere l’assegnazione del bene all’esito di procedure ad evidenza pubblica”.

Afferma il Consiglio di Stato nella pronuncia testé richiamata che l’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009, nel disporre la proroga ex lege delle concessioni demaniali in essere, si applica a tutte le concessioni con finalità turistico-ricreative senza distinzioni (il legislatore ha infatti inteso distinguere queste ultime rispetto a quelle con altre finalità, ad esempio mercantili o industriali), quindi ricomprendendo anche quelle relative ai porti e gli approdi turistici; in altri termini, la citata disposizione, interpretabile alla luce dell’art. 2, del DP.R. 2 dicembre 1997 n. 509, include anche le più ampie strutture nell’ambito di quelle dedicate alla nautica da diporto. “Tale significato, già immanente nel testo della norma che dispone la proroga, è stato enucleato, con portata esaustivamente esplicativa, dall’art. 1, comma 547, legge 24 dicembre 2012 n. 228, il quale aggiunge all’art. 1, comma 18, dopo le parole: ” turistico-ricreative”, le seguenti: ” e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto”, con ciò rendendo palese che il comune denominatore dell’essere attinenti alle medesime finalità pareggia tali strutture nel regime di proroga” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 3936 del 2015, cit.; negli stessi termini, 18 aprile 2013, n. 2151, secondo cui “la proroga delle concessioni demaniali marittime disposta dall’art. 1, comma 18, d.l. 194/2009, si applica anche ai porti e agli approdi turistici, essendo la finalità turistico-ricreativa, in contrapposizione ad altre finalità, l’unica connotazione rilevante ai fini dell’applicazione della norma. Del resto, tale significato è stato confermato, con portata esplicativa, dall’art. 1, comma 547, l. 24 dicembre 2012 n. 228”).

Pertanto, stante la vigenza dell’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012 al momento di scadenza della concessione in parola, non può dubitarsi che il regime di proroga di cui si discute sia applicabile anche al caso in esame.

III. 2. Il fatto, poi, che l’Autorità portuale abbia, in un primo momento, previsto un confronto competitivo per l’affidamento della concessione di che trattasi, avendo anche proceduto alla pubblicazione dell’avviso di cui all’art. 18 del DPR n. 238 del 1952, non è elemento sufficiente a giudicare contraddittorio il successivo operato dell’Amministrazione, sia perché è evidente che l’inserimento di detta concessione nell’elenco di quelle aperte ad una possibile selezione è stato il frutto di un errore di valutazione in ordine alla disciplina concretamente applicabile, al quale l’Autorità portuale si è fatta immediatamente e correttamente carico di rimediare (ed invero la procedura comparativa non è stata mai avviata), sia perché l’esiguo tempo trascorso dall’emanazione del predetto avviso all’adozione della nota del 9 febbraio 2017 qui gravata non ha consentito neppure la maturazione di un affidamento tutelabile in capo alla ricorrente.

Né alcun eccesso di potere per contraddittorietà dell’azione amministrativa può essere rinvenuto per il fatto che, nell’ambito della procedura di rinnovo delle concessioni demaniali marittime in scadenza al 31 dicembre 2011, tra le quali rientrava anche quella in favore della Nautiservice, nonostante fosse già in vigore l’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009 (che prevedeva la proroga automatica sino a 31 dicembre 2015), l’Autorità portuale non ha applicato detto regime di proroga.

Ciò in quanto la proroga di cui all’art. 1, comma 18 del D.L. n. 194 del 2009, allora applicabile ratione temporis, non si riferiva specificamente anche alle concessioni aventi ad oggetto beni destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio destinati alla nautica da diporto; tale estensione è avvenuta solo successivamente, ad opera dell’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012. Ed invero, come recentemente chiarito dal Consiglio di Stato nella pronuncia della sezione VI, 10 aprile 2017, n. 1658 (che, ancorché pubblicata dopo il passaggio in decisione della presente controversia, contiene dei principi che possono essere richiamati ad ulteriore conferma del convincimento di questo giudice) e ad un più maturo esame rispetto ai precedenti della medesima sezione, “…la disposizione di cui all’articolo 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012 non si qualifica in termini di interpretazione autentica dell’articolo 1, comma 18 del decreto legge n. 194 del 2009, né contiene espressioni verbali da cui si possa desumere una sua portata retroattiva. Essa, del resto, non è stata redatta nel senso che nelle concessioni di beni con finalità turistico-ricreative vanno ricomprese anche quelle di beni destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio destinati alla nautica da diporto. L’art. 1, comma 547, ha operato aggiunte ed integrazioni all’originario testo dell’art. 1, comma 18, del decreto legge n. 194 del 2009, lasciando inalterata la originaria categoria prevista (delle concessioni di beni con finalità turistico-ricreative) ed ha aggiunto una distinta categoria, che mantiene una sua autonomia, con valenza innovativa”.

III. 3. Ciò posto, ferma l’assenza di contrasto dei provvedimenti impugnati con il diritto nazionale, la questione in esame va affrontata nella prospettiva di un possibile contrasto delle norme interne applicate con il diritto comunitario, anche tenendo conto dei principi affermati in materia nelle diverse pronunce dei giudici italiani ed europei.

Reputa il Collegio che, a tal fine, occorre prendere le mosse dalla già citata sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. V, n. 458 del 14 luglio 2016, intervenuta nelle more del presente giudizio (affari C-458/14 e C-67/15), senza, peraltro, ignorare che, successivamente alla pubblicazione di quest’ultima, il Governo italiano ha approvato il D.L. 24 giugno 2016 n. 113, convertito in legge 7 agosto 2016 n. 160, il cui art. 24, comma 3 septies, recita testualmente: “Nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25”.

I principi enunciati nella citata pronuncia dei giudici europei possono essere sintetizzati come segue:

– L’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, recepito dall’art. 16 del D.L. n. 59 del 2010, dispone quanto segue:

“1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.

  1. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.
  2. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto [dell’Unione]”; la norma riguarda il caso specifico in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili;

– spetta al giudice nazionale verificare, in concreto, ai fini dell’applicabilità dell’art. 12 citato, se le concessioni demaniali marittime e lacuali rilasciate dalle autorità pubbliche – che mirano allo sfruttamento di un’area demaniale a fini turistico-ricreativi – debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali e che non si tratti di concessioni di servizi pubblici che possano, invece, rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/23/CE;

– nell’ipotesi in cui le concessioni in questione rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE, non si può prescindere da una procedura di selezione tra i candidati potenziali che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza, in particolare un’adeguata pubblicità;

– conseguentemente, “l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati”;

– inoltre, precisa la sentenza in esame che le concessioni che riguardano un diritto di stabilimento nell’area demaniale finalizzato a uno sfruttamento economico per fini turistico-ricreativi, rientrano, per loro stessa natura, nell’ambito di applicazione dell’articolo 49 del TFUE;

– pertanto, qualora siffatte concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo, la loro assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione concedente costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione; tale disparità di trattamento è, in linea di principio, vietata dall’articolo 49 del TFUE;

– l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo deve essere valutato sulla base di criteri rilevanti, quali l’importanza economica dell’attività, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche;

– le proroghe attuate dalla normativa italiana che mirano a consentire ai concessionari di ammortizzare i loro investimenti, in quanto determinano una disparità di trattamento, possono essere giustificate solo da motivi imperativi di interesse generale, in particolare dalla necessità di rispettare il principio della certezza del diritto (ad esempio, nel caso di una concessione risalente nel tempo, quando non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza, la sua risoluzione potrebbe necessitare di un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico);

– ne consegue, che l’articolo 49 del TFUE “deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo”.

III. 4. Orbene, alla luce dei suesposti principi, è possibile affermare che la concessione in questione (volta ad ottenere uno scalo a mare per le operazioni di alaggio e varo di imbarcazioni) non presenta un interesse transfrontaliero certo, avuto riguardo al tipo di attività, che è strumentale rispetto all’attività principale di vendita, manutenzione, assistenza e rimessaggio di natanti da diporto, svolta in zona necessariamente limitrofa all’area demaniale oggetto di concessione da soggetti che già stabilmente operano nell’ambito territoriale considerato; pertanto, in ragione della specificità delle operazioni di alaggio e varo di imbarcazioni e quindi delle finalità della concessione demaniale in parola, non può dubitarsi del fatto che l’interesse a conseguirla riguardi le sole imprese stabilite nel delimitato ambito territoriale considerato (che è appunto quello limitrofo al porto turistico di Ancona), essendo inverosimile – non fosse altro per i costi che si andrebbero a sostenere, ma anche per la difficile praticabilità di una siffatta soluzione – che operatori del settore i quali esercitano dette attività di vendita, manutenzione, assistenza e rimessaggio di natanti da diporto in altre zone o addirittura fuori dai confini italiani, siano interessati ad effettuare le operazioni di alaggio e varo delle predette imbarcazioni nel porto del capoluogo Marchigiano.

Infondata è quindi la questione pregiudiziale sollevata dalla ricorrente nel primo motivo del ricorso introduttivo e riproposta nei motivi aggiunti, volta a far valere il contrasto con il diritto comunitario dell’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009, come successivamente integrato e modificato, nei termini innanzi precisati.

III. 5. A ciò va aggiunto che, proprio sulla base di quanto affermato dalla stessa Corte di Giustizia nella richiamata sentenza del 17 luglio 2016, secondo cui le proroghe attuate dallo Stato italiano possono essere eccezionalmente giustificate in ragione di motivi imperativi di interesse generale quali, in particolare, la necessità di tutelare il legittimo affidamento dei titolari delle autorizzazioni, al fine di permettere loro di poter ammortizzare gli investimenti effettuati, il legislatore nazionale è intervenuto a disciplinare la materia in conformità a tali principi; pertanto, in sede di conversione in legge del D.L. n. 113 del 2016, recante “Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio”, è stato introdotto, all’art. 24, il comma 3-septies innanzi citato, che praticamente conserva la validità ex lege dei rapporti concessori già instaurati e pendenti in base all’art. 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009 e ss.mm.ii., ovvero con validità sino al 31 dicembre 2020, “nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea, per garantire la certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità”.

Per tali ragioni non si ravvisano i profili di contrasto con il diritto europeo evidenziati dalla ricorrente, neppure con riferimento all’art. 24, comma 3 septies, del D.L. n. 113 del 2016; in particolare, in merito alla mancata introduzione di un termine certo entro il quale il legislatore dovrebbe provvedere al riordino della materia in conformità ai principi comunitari, si osserva che tale indeterminatezza di fatto non sussiste, atteso che il periodo transitorio coinciderà, al massimo, con il periodo di validità delle concessioni in essere, fissato, ex lege, al 31 dicembre 2020.

Peraltro, tali procedure di revisione e di riordino normativo risultano essere già in atto, atteso che è in corso l’esame del disegno di legge contenente la delega al Governo per l’attuazione della riforma in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo, con l’indicazione dei principi e dei criteri direttivi, nel rispetto della normativa europea (come risulta dal sito ufficiale della Camera dei Deputati www.camera.it).

III. 6. In subordine, vanno esaminate le seguenti questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla ricorrente con riferimento:

1) all’art. 34 duodecies della legge n. 221 del 2012, di conversione in legge del D.L. n. 179 del 2012, e all’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012, per violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione ai principi del diritto comunitario di cui all’art. 12 della direttiva CE 2006/123, atteso che tali disposizioni di fatto reintrodurrebbero la preferenza accordata al concessionario uscente a parità di condizioni nell’affidamento della concessione;

2) dell’art. 24, comma 3 septies, del D.L. n. 113 del 2016, per violazione dell’art. 11 e 117 della Costituzione in relazione ai principi del diritto comunitario di cui all’art. 6 CEDU e all’art. 12 della direttiva CE 2006/123.

Partendo da quest’ultima, essa è innanzitutto inammissibile, atteso che è stata formulata in via apodittica e generica, non essendo state in alcun modo indicate le ragioni dell’asserito contrasto.

Comunque, a voler ritenere che dette ragioni siano le medesime già esposte dalla ricorrente per sostenere l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 duodecies della legge n. 221 del 2012 e dell’art. 1, comma 547, della legge n. 228 del 2012, il Collegio osserva che entrambe le questioni sub 1) e sub 2) sono infondate e vanno respinte.

Ed invero, la proroga ovvero il mantenimento delle concessioni in essere sino a una certa data – peraltro giustificati, come sopra evidenziato, da motivi imperativi di interesse generale – avendo un’efficacia limitata nel tempo, non equivalgono, come sostenuto dalla ricorrente, alla reintroduzione, di fatto, della previsione in passato contenuta nell’art. 37 del codice della navigazione e ora espunta dall’ordinamento, in base alla quale si accordava un diritto di preferenza a favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo, consentendogli in tal modo di occupare il bene demaniale senza soluzione di continuità. La proroga in questione, infatti, è consentita in virtù di una previsione eccezionale e transitoria, che non disciplinando, con efficacia durevole, il rinnovo automatico e periodico delle concessioni alla loro scadenza, non ha l’effetto sostanziale di autorizzare il concessionario all’occupazione sine die del bene oggetto della concessione, analogamente a quanto accadeva in attuazione del diritto di preferenza di cui all’art. 37 citato.

III. 7. Per tutte le suesposte considerazioni, il ricorso è infondato e va respinto.

  1. La novità e la complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del giudizio tra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Dichiara la carenza di legittimazione passiva del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Capitaneria di Porto di Ancona e, per l’effetto, dispone la sua estromissione dal giudizio.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Maddalena Filippi, Presidente

Tommaso Capitanio, Consigliere

Simona De Mattia, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 08 SET. 2017.

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 28/07/2017,  n. 1329

Massima

A seguito della richiesta di un privato di rilascio di una concessione demaniale marittima, l’Amministrazione ha due possibilità: respingere la richiesta con un provvedimento debitamente motivato; oppure, ove intenda e possa pervenire alla concessione, indire una procedura selettiva nel rispetto dei principi di parità di trattamento, concorrenza, buon andamento ed efficienza. Per il rilascio di una nuova concessione demaniale marittima è infatti necessario il ricorso a procedure ad evidenza pubblica, in quanto tali concessioni hanno come oggetto un bene/servizio “limitato” nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali. La spiaggia è un bene pubblico demaniale (art. 822 c.c.) e perciò inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritto a favore di terzi (art. 823 c.c.), sicché proprio la limitatezza nel numero e nell’estensione, oltre che la natura prettamente economica della gestione (fonte di indiscussi guadagni), giustifica il ricorso a procedure comparative per l’assegnazione .

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce – Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 281 del  2016,  integrato  da motivi aggiunti, proposto da:                                      Nautica Tito Group s.n.c. di Si. e Fr. Si.,  in  persona  del  legale rappresentante p.t., rappresentata e  difesa  dall’avvocato  Riccardo Leonardi, con domicilio eletto  presso  lo  studio  del  medesimo  in Ancona, corso Stamira, 49; ul ricorso numero di registro generale 403 del 2017, proposto da:

Buenavida  S.r.l.,  in  persona  del  legale  rappresentante    p.t., rappresentata  e  difesa  dall’avvocato  Daniela  Anna  Ponzo,    con domicilio eletto presso il suo  studio  in  Lecce,  via  Michelangelo Schipa 35;

contro

Comune  di  Nardò,  in  persona  del  legale  rappresentante    p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato  Paolo  Gaballo,  con  domicilio eletto presso lo studio Paolo Avv. Gaballo in Lecce, via  Rubichi  23 Presso Tar;

per l’esatta esecuzione-ottemperanza

– della Sentenza del T.A.R. Puglia -Sede di Lecce, Sezione Prima,  n. 724, pubblicata mediante deposito in Segreteria  in  data  04  maggio 2016, resa sul Ricorso R.G. n. 3192/2015, non appellata e,  comunque, notificata al Comune di Nardò, munita di formula  esecutiva  (apposta in data 06.12.2016) , il successivo 15.12.2016;

nonché per la declaratoria della nullità

della Nota racc.ta a.r.  del Comune di Nardò, prot. n. 38442/14 -22336/16, in data 19.05.2016  (di seguito: nota Comune di Nardò in data 19.05.2016) e  della  Nota  pec del Comune di  Nardò,  prot.  n.  0008636,  in  data  28.02.2017  (di seguito: nota Comune di Nardò in data 28.02.2017).

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Nardò;

Viste le memorie difensive;

Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio  del  giorno  21  giugno  2017  la dott.ssa Patrizia Moro e uditi per  le  parti  i  difensori  come  da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La società ricorrente espone quanto segue:

– in data 17.10.2014 presentava domanda per il rilascio di una concessione demaniale finalizzata a realizzare uno stabilimento balneare nel Comune di Nardò;

– stante il silenzio opposto dall’A.C. sull’istanza adiva il Tar di Lecce al fine di sentir dichiarare l’illegittimità del silenzio e la condanna del Comune all’adozione di un provvedimento espresso;

– con sentenza n. 724/2016 questo Tribunale dichiarava l’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza;

– con nota del 19.5.2016 il Dirigente comunale, preso atto della citata sentenza, invitava la ricorrente a partecipare alla selezione per il rilascio della concessione demaniale marittima messa a bando sul lotto di mq2209 n. 31 del PCC./2016

– Buonavida, nella convinzione che la sua istanza di concessione non potesse ritenersi esitata con un invito a partecipare a un bando pubblico, sollecitava nuovamente il Comune a concludere il procedimento anche in esecuzione della sentenza del TAR 724/2016;

– il dirigente dell’Area Funzionale 1^ del Comune di Nardò, comunicava che il Comune “non può e non intende annullare in autotutela il bando già pubblicato…ciò in quanto, con il provvedimento nota di protocollo del 19.5.2016 ha già riscontrato l’istanza di rilascio della richiesta di concessione demaniale pervenuta in data 17.0.2014…”.

A seguito di ciò la ricorrente, ritenendo non sussumibili nell’accezione di provvedimento amministrativo e, quindi, di esatta esecuzione ottemperanza della sentenza n. 724/2016, né la nota del Comune di Nardò del 19.5.2016, né quella del 28.2.2017, con il ricorso all’esame ha richiesto l’esatta esecuzione della sentenza citata rilevando l’illegittimità delle note suindicate.

Questi i motivi a sostegno del ricorso:

Nullità delle note del Comune di Nardò, prot. 38442/14-22336/2016 del 19.5.2016 e prot. 0008636 del 28.2.2017, ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui all’art. 21 septies della L. 241/1990 e s.m.i. – violazione ed elusione del giudicato e, comunque, inesatta esecuzione della Sentenza del TAR Puglia-Lecce n. 724/2016 – violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui al combinato disposto degli artt. 2 e 3 della L. 241/1990 e s.m.i. sotto i profili di seguito specificati- violazione dei principi di cui all’art. 97 Cost – eccesso di potere per sviamento della causa tipica attributiva del potere concessorio – eccesso di potere per evidente disparità di trattamento, difetto/omessa istruttoria, ingiustizia manifesta e malgoverno .

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Il Collegio ritiene che il Comune di Nardò, adottando il provvedimento del 19.5.2016 di invito della ricorrente a partecipare alla selezione per il rilascio della concessione demaniale marittima messa a bando sul lotto di mq2209 n. 31 del PCC./2016, abbia pienamente ottemperato all’obbligo scaturente dalla sentenza n. 724/206, la quale aveva sancito il mero obbligo della stessa di provvedere sull’istanza di rilascio di concessione demaniale marittima con un provvedimento espresso, sia esso di accoglimento, sia di rigetto.

Deve infatti chiarirsi che, a seguito della richiesta di un privato di rilascio di una concessione demaniale marittima, l’Amministrazione abbia due possibilità: ossia, respingere la richiesta con un provvedimento debitamente motivato( esplicitando ad es. le eventuali ragioni impeditive stabilite nel PCC o, in mancanza, nel PRC, o le ragioni di interesse pubblico); oppure, ove intenda e possa pervenire alla concessione, indire una procedura selettiva nel rispetto dei principi di parità di trattamento, concorrenza, buon andamento ed efficienza.

Invero, come ricordato di recente dalla Corte Costituzionale (nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 8 e 9, della legge della Regione Puglia 10 aprile 2015, n. 17 (Disciplina della tutela e dell’uso della costa) con la sentenza del gennaio 2017, n. 40, ( dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 14:a) comma 8, secondo periodo, e b) comma 9, della legge della Regione Puglia 10 aprile 2015, n. 17 ) “per il rilascio di nuove concessioni (in tal senso anche Consiglio di Stato, sezione sesta, 28 gennaio 2014, n. 432, con riferimento alla variazione del titolo concessorio), legittimamente la legge reg. Puglia n. 17 del 2015 prescrive, correttamente, il ricorso a procedure di evidenza pubblica” (non previste, invece, dal comma 9 dell’art. 14 della legge reg. Puglia n. 17 del 2015, che stabiliva che “il PCC , nelle disposizioni transitorie volte a disciplinare le modalità di adeguamento dello stato dei luoghi antecedenti alla pianificazione, salvaguarda le concessioni in essere fino alla scadenza del termine della proroga di cui all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, salve le esigenze di sicurezza”. ).

“Il mancato ricorso a procedure di selezione aperta, pubblica e trasparente tra gli operatori economici interessati determina, infatti, un ostacolo all’ingresso di nuovi soggetti nel mercato, non solo risultando invasa la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ma conseguendone altresì il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., per lesione dei principi di derivazione europea nella medesima materia (sentenze n. 171 del 2013, n. 213 del 2011, n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010)”.

Peraltro, la Corte di Giustizia ( sent. 14 luglio 2016) ha dichiarato l’illegittimità della proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per finalità turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura trasparente di selezione tra i potenziali candidati, qualora queste presentino un interesse transfrontaliero certo.

Del resto, le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative hanno come oggetto un bene/servizio “limitato” nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali. La spiaggia è un bene pubblico demaniale (art. 822 cc) e perciò inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritto a favore di terzi (art. 823 c.c.), sicché proprio la limitatezza nel numero e nell’estensione, oltre che la natura prettamente economica della gestione (fonte di indiscussi guadagni), giustifica il ricorso a procedure comparative per l’assegnazione.

Osserva il Collegio che le concessioni demaniali marittime sono concessioni amministrative aventi ad oggetto l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni facenti parte del demanio necessario dello Stato (art. 822, comma 1, c.c.) e il rilascio delle stesse è disciplinato dal Codice della Navigazione che, all’art. 37, prevede che nel caso di più domande di concessione sia preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che risponda ad un più rilevante interesse pubblico e, a tal fine, l’art. 18 del Regolamento di esecuzione al Codice della Navigazione prevede un iter procedimentale finalizzato alla pubblicazione delle istanze di rilascio di concessione.

Quanto previsto dal Codice della navigazione è confortato dai principi Europei la cui attuazione si ritiene non possa prescindere dall’assoggettamento delle pubbliche Amministrazioni all’obbligo di esperire procedure ad evidenza pubblica ai fini della individuazione del soggetto contraente anche in materia di concessioni di beni pubblici.

Applicando tali principi è quindi da escludere che l’A.C., dinanzi a una richiesta di concessione demaniale marittima, possa rilasciarla, anche ove possibile in base alle disposizioni del PRC o del PCC(ove approvato), senza indire una procedura selettiva.

Da tanto discende, che l’unico provvedimento favorevole che poteva adottare l’a.C., a seguito della citata sentenza n. 724/2016 era quello dell’invito della ricorrente alla partecipazione a una procedura selettiva

Non può neppure sostenersi che l’istanza della ricorrente, in quanto presentata prima dell’entrata in vigore della L.R. 17/2015 (la quale all’art. 8 prescrive che “La concessione è rilasciata all’esito di selezione del beneficiario effettuata attraverso procedura a evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, proporzionalità, efficienza e parità di trattamento, nonché della libera concorrenza) non richiedesse alcuna valutazione comparativa o procedura selettiva.

Invero, secondo i principi espressi dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (dalla sentenza n. 11 del 2016), pronunciatasi proprio sulla questione dell’applicabilità della normativa sopravvenuta alle ipotesi di riesercizio del potere amministrativo dopo la formazione di un giudicato favorevole al ricorrente, occorre innanzitutto interpretare il contenuto dispositivo della pronuncia passata in giudicato da ottemperare, al fine di verificare se in esso sia stata sancita espressamente la spettanza del bene della vita (ipotesi nella quale le nuove norme non possono incidere pregiudicando la pretesa sostanziale dell’interessato già riconosciuta come spettante dal Giudice Amministrativo), ovvero se a seguito del giudicato il potere dell’Amministrazione di esprimersi sulla fondatezza sostanziale della pretesa sia rimasto inalterato, essendosi il Giudice Amministrativo limitato ad affermare l’obbligo per l’Ente di esercitare nuovamente il potere, senza invece vagliare la fondatezza della domanda sostanziale (e quindi il diritto al bene della vita) articolata dal privato (caso quest’ultimo, invece, nel quale la normativa sopravvenuta va applicata, anche laddove da ciò derivi il necessario respingimento della domanda articolata dal ricorrente, sulla base della nuova legge applicabile).

Nel caso in esame la sentenza n. 724/2016 ha semplicemente dichiarato l’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza con qualsiasi provvedimento, senza pronunciarsi sulla spettanza del bene della vita, sicché bene ha fatto il Comune ad applicare la normativa portata dal citato art. 8 della LR. 17/2015, in vigore al momento dell’istruttoria e dell’adozione del provvedimento citato, rispettando quindi perfettamente il principio del tempus regit (regolatore dell’adozione dei provvedimenti amministrativi).

Non può neppure sostenersi la illegittimità della seconda nota del 28.2.2017 con la quale il Comune di Nardò ha rilevato di non poter annullare in autotutela in bando già pubblicato.

Come chiarito, giusta provvedimento 19.5.2016, lo stesso aveva già prestato ottemperanza alla sentenza n. 724/201 e, comunque, per consolidata giurisprudenza, dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, la pubblica amministrazione non ha l’obbligo giuridico di pronunciarsi su un’istanza diretta a sollecitare l’esercizio del potere di autotutela, che costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui essa è titolare per la tutela dell’interesse pubblico e che, in quanto tale, è incoercibile dall’esterno (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 4 maggio 2015, n. 2237; id., Sez. IV, 26 agosto 2013, n. 4309).

In particolare, la giurisprudenza è costante nell’affermare che “non è ravvisabile alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile ab extra l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità di atti amministrativi mediante l’istituto del silenzio-rifiuto, costituendo l’esercizio del potere di autotutela facoltà ampiamente discrezionale dell’Amministrazione, che non ha alcun dovere giuridico di esercitarla, con la conseguenza che essa non ha alcun obbligo di provvedere su istanze che ne sollecitino l’esercizio; per cui sulle stesse non si forma il silenzio e la relativa azione, volta a dichiararne l’illegittimità, è da ritenersi inammissibile” (T.A.R. Lazio, Sez. I ter, 18 luglio 2016, n. 9563).

Stante quanto sopra, i provvedimenti impugnati sfuggono alle censure rassegnate nel ricorso il quale deve quindi essere respinto.

Sussistono nondimeno giustificati motivi (in ragione della peculiarità e novità della questione) per disporre la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima, respinge il ricorso.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonio Pasca, Presidente

Patrizia Moro, Consigliere, Estensore

Roberto Michele Palmieri, Primo Referendario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 28 LUG. 2017.

 

Avv. Alessandro Barbieri

Alessandro Barbieri, classe 1977, si è laureato in giurisprudenza nel 2002 presso l’Università Federico II di Napoli.

Nel 2008, ha conseguito il diploma di Specializzazione in “Amministrazione e finanza degli Enti Locali” presso l’Università Federico II di Napoli e nel 2012, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in “Diritto dell’Unione Europea: la tutela dei diritti”.  Seconda generazione dello Studio Legale Barbieri, si è formato professionalmente presso lo Studio Legale Associato Prof. Avv. Felice Laudadio – Avv. Ferdinando Scotto.

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