Inadempimento e responsabilità nel decreto cura Italia. Avv. Raimondo Nocerino
Il Decreto Legge n. 18 del 20 marzo 2020 – cd. Cura Italia – “trapianta” la fenomenologia dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, della quale a più titoli esso si interessa, nella materia delle obbligazioni e del relativo adempimento. Ciò avviene, in particolare, attraverso la disposizione dell’art. 91 co. 1 del Decreto citato: disposizione che aggiunge infatti un comma 6 bis all’articolo 3 del decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13. Secondo la previsione normativa: “il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. Vi è stata, in prima battuta, la tentazione di leggere nella disposizione l’introduzione opelegis di una sorta di “autotutela” del debitore, quasi che il contesto emergenziale che l’Italia – e la sua economia nazionale – vive sia in sé ragione sufficiente a “scriminare”, e sempre, il debitore inadempiente. Ancora, una ulteriore lettura della disposizione parrebbe ricondurre il suo contenuto precettivo all’istituto della impossibilità della prestazione, quale cristallizzato dall’art. 1256 c.c. Chi scrive è in disaccordo con entrambe le declinazioni ermeneutiche offerte, essendo viceversa persuaso che il legislatore d’urgenza abbia avuto comunque un –diverso – merito nell’introdurre il dettato normativo qui in considerazione. Chiarisco le conclusioni che ho succintamente anticipato, con alcune brevi argomentazioni. I) Anzitutto, l’ambito oggettivo di applicazione della disposizione posta dall’art. 91 co. 1 del D.L. cit. è ben più ampio della materia contrattuale e, segnatamente, dei contratti a prestazioni corrispettive (1467 c.c.); la previsione normativa, come si è visto, si riferisce al “debitore” e cioè al soggetto passivo del rapporto obbligatorio, il quale ultimo, come è noto, non origina esclusivamente da contratto (art. 1173 c.c.). Ora, questa precisazione preliminare non deve essere trascurata. Infatti, l’impossibilità della prestazione è elevata dalla disciplina codicistica, rispettivamente, a causa estintiva della obbligazione (art. 1256 c.c.) e a ragione di risoluzione del contratto (art. 1463 c.c. e ss.). Sicché, apparirebbe quanto meno curioso che un intervento emergenziale – che si ispira, per definizione, alla necessità di superare le difficoltà del momento – abbia inteso identificare la fenomenologia emergenziale in considerazione con una ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione: l’effetto che ne deriverebbe sarebbe, per i contratti, l’impossibilità per la controparte di richiedere la (contro) prestazione e l’obbligo di restituirla se già l’avesse ricevuta; in parole diverse, sarebbe stata introdotta una ulteriore causa legale estintiva/risolutiva. Le conseguenze pratiche di un tale ragionamento condurrebbero a ritenere, allora, che a) il conduttore inadempiente dovrebbe rilasciare l’immobile locato; b) il mutuatario inadempiente all’obbligo di pagare alcune rate dovrebbe restituire la somma mutuata. Un approdo draconiano del tipo di cui si è detto mi pare vada escluso, e, sul piano dei criteri ermeneutici che fondano l’attività interpretativa, è, a ben considerare, lo stesso art. 91 co. 1 cit. ad escluderlo; così, in particolare, quando – non casualmente – esso disposto non opera richiamo letterale all’art. 1256 c.c. (ovvero all’art. 1463 c.c.). Non casualmente, appunto. La disposizione posta dall’art. 1256 c.c., del resto, tradizionalmente avvince la casistica della impossibilità fisica di esecuzione piuttosto che quella giuridica (Cass., sez. III, n. 26959/2007, richiamata più recentemente da Cass., sez. III, 29/03/2019, n.8766, riferisce il campo applicativo della disposizione codicistica al caso in cui “impossibile [è] l’esecuzione della prestazione del debitore”). Orbene, nel conduttore che, in ragione del contesto emergenziale, non adempia al pagamento dei canoni medio tempore dovuti non si registra alcuna impossibilità tecnica o esecutiva nell’adempimento. II) In senso diverso, l’art. 91 co. 1 cit. ha riguardo non all’adempimento della prestazione ma, propriamente, all’inadempimento di essa ed alla responsabilità che ne consegue (art. 1218). E, per questo, introduce, per così dire, un criterio (relativo) di esonero di responsabilità per l’inadempimento, il quale – è bene sottolinearlo – non dispiega (se verificato come ricorrente nel caso di specie) portata caducante di un più ampio rapporto nel quale la prestazione inadempiuta si innestasse. In estrema sintesi, l’art. 91 co. 1 cit. valorizza l’impossibilità soggettiva di adempiere ai soli fini della eventuale esclusione della affermazione della responsabilità da inadempimento del debitore ex art. 1218 c.c. Non si tratta di un semplice gioco di parole. Il legislatore (come visto), lungi dal tipizzare una causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione, ha, propriamente, tipizzato il perimetro della valutazione giudiziale, la quale sarà chiamata a considerare il presupposto normativo (del “rispetto delle misure”) ex art. 91 cit. ai fini della affermazione della “non imputabilità dell’inadempimento” e, dunque, dell’esonero della responsabilità ex art. 1218 c.c. III. Il criterio introdotto dall’art. 91 co.1, inoltre, è relativo in quanto “il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto” va sempre valutato (dal Giudice) ai fini della affermazione della responsabilità da inadempimento ovvero del suo esonero, ma non esonera esso stesso dalla responsabilità. Ciò significa, si ribadisce, che la disposizione non ha portata sostanziale, etero-regolando il rapporto debito-credito; si tratta, in sintesi, di una direttiva che il legislatore dell’emergenza impone al Giudicante in sede di eventuale controversia (o alle parti stesse in sede di ipotetica prodromica negoziazione/mediazione). Si è al cospetto, ancora, di direttiva che è senz’altro obbligatoria per il Giudicante, fermo l’esito della “valutazione” che questi condurrà in concreto. Un tale valutazione, diversamente detto, potrà conchiudersi nel ritenere che il rispetto delle misure escluda, nel caso concreto, la responsabilità da inadempimento ovvero, ed all’opposto, nel senso che il rispetto di tali misure non valgano ad escludere la responsabilità in argomento. In ultima analisi, in costanza di emergenza cd. coronavirus, il decreto legge si limita a chiarire che, ai fini dell’art. 1218 c.c., la non imputabilità dell’inadempimento dovrà essere apprezzata, caso per caso, alla luce del rispetto“delle misure di contenimento di cui presente decreto”. Il che, né più e né meno, significa imporre al Giudicante l’osservanza di una direttiva ermeneutica in sede di “concretizzazione” di una clausola generale (nella specie, art. 1218 c.c. in parte qua si legge “a lui non imputabile”).
Avv. Raimondo Nocerino
Raimondo Nocerino, classe 1976, si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli
Federico II nel 2000 con lode, maturando esperienze di studio in Spagna.
Dottore di ricerca.
Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Diritti dell’Uomo presso l’Ateneo Federiciano nel marzo 2006 e presso la stessa Università, nel2012, il diploma di perfezionamento in “Diritto dell’unione Europea: la tutela dei diritti”.