Tribunale Catania, sez. lav. 16/01/2018 n. 155
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE CIVILE DI CATANIA – SEZIONE LAVORO –
Il Giudice Monocratico, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona della dott.ssa
Lidia Zingales, all’udienza del 16 Gennaio 2018 ha pronunciato, ai sensi dell’art. 429,
comma 1 c.p.c. come sostituito dall’art. 53 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito
dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, dando lettura del dispositivo e dell’esposizione delle
ragioni di fatto e di diritto della decisione, la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 9397 del ruolo generale affari contenziosi dell’anno
2011 e vertente
TRA
T.F.D. S.p.A (già O. S.p.A.), in persona del legale rappresentante p.t., c.f. (omissis…), con
sede in R. (M.), Strada (omissis…), rappresentata e difesa per mandato speciale alle liti n.
12613 del 27.09.2011, a rogito in Notar N.M. di M., dagli avv.ti Cl. Bo. e Aldo
Lorenzo Feliciani del Foro di Milano, ed elettivamente domiciliata in Catania, via G. B.
Grassi n. 8, presso l’avv. Francesco Andronico.
Opponente
CONTRO
B.D., nato a C. il (omissis…), c.f. (omissis…), ivi domiciliato in via (omissis…), ed
elettivamente domiciliato in Ca., via (omissis…), presso lo studio dell’avv.
Vincenzo Gueli, che lo rappresenta e difende per mandato a margine del ricorso per
decreto ingiuntivo n. 7053/2011 R.G. del Tribunale di Catania.
Opposto
OGGETTO: Opposizione a decreto ingiuntivo n. 1916/2011.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso al Tribunale Ordinario di Catania, in funzione di giudice del lavoro, depositalo 07.09.2011, la società ricorrente proponeva opposizione al decreto ingiuntivo in epigrafe indicato ed emesso il 21.07.2011 e notificato il 10.08.2011, con cui l’opposto chiedeva il pagamento della somma di € 21.356,34, oltre interessi legali, rivalutazione e spese del monitorio.
L’opponente società premetteva che con l’opposto B.D. era intercorso un rapporto di agenzia dall’1.03.1996 fino al 21.01.2011, allorquando il rapporto cessava per volontà dell’agente che aveva esercitato il diritto di recesso di cui all’art. 2, comma 10, dell’A.E.C. Precisava che nel luglio 2010 a seguito dell’andamento del fatturato in Sicilia la società aveva ridistribuito le zone tra gli agenti e ciò aveva comportato un restringimento di quella dell’opposto, che così aveva deciso di recedere dal contratto.
Deduceva che, eseguiti i conteggi, era stato quantificato l’importo dovuto all’opposto a titolo di indennità di fine rapporto facendo applicazione dell’art. 12 dell’A.E.C. L’opposto a seguito della trasmissione dei conteggi comunicava che l’importo quantificato veniva accettato solo a titolo di acconto sul maggior avere e rifiutava di sottoscrivere il verbale di conciliazione per come previsto dall’A.E.C.
Chiedeva alla luce di quanto sopra dichiararsi non dovute le somme ingiunte stante la mancata sottoscrizione del verbale di conciliazione e la revoca del decreto ingiuntivo, con ogni statuizione in ordine alle spese.
Instaurato ritualmente il contraddittorio, si costituiva l’opposto B.D., il quale rilevava come l’opposizione non fosse fondata su prova scritta e l’importo ingiunto era pari a quello comunicato dalla società opponente che lo aveva elaborato sui conteggi trasmessi dalla stessa società. Lamentava che l’importo fosse solo una parte dell’importo spettante all’opposto qualora fosse stato conteggiato ai sensi dell’art. 1751 c.c., che doveva comunque ritenersi inderogabile e prevalente sulla disciplina pattizia, precisando che andava applicato il C.C.N.L. del 2002 e non quello del 2009, poiché non espressamente recepito dall’opposto.
Concludeva chiedendo il rigetto dell’opposizione con la conferma del decreto ingiuntivo e con vittoria di spese e competenze.
Con ordinanza del 19.12.2011 veniva rigettata la richiesta di concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo.
Anticipata l’udienza per la trattazione del merito del giudizio, con ordinanza del 14.07.2012 veniva concessa la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto e la causa, istruita documentalmente, veniva rinviata per discussione e decisione, con la concessione di un termine per note conclusive.
Con provvedimento della presidenza sezionale di questo Tribunale del 06.09.2017, il sottoscritto giudicante, veniva incaricato della trattazione del presente giudizio, che chiamato all’udienza già fissata veniva differito per la discussione e decisione.
Chiamato all’odierna udienza, sulle conclusioni rassegnate dalle parti come in atti ed all’esito della discussione, veniva pronunciata la presente sentenza, della quale è stata data lettura del dispositivo e dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
Preliminarmente non può ritenersi condivisibile la tesi sostenuta dall’opposto che al caso di specie si applica il C.C.N.L. del 26 febbraio 2002 e non quello stipulato il 16.02.2009.
Infatti, per costante esegesi giurisprudenziale, ai rapporti – qualora essi fanno riferimento per la loro disciplina ai contratti collettivi – si applica il C.C.N.L. vigente al momento della cessazione del rapporto e quindi nel caso di specie si applica quello del 16.02.2009 vigente alla data del 21.01.2011 di cessazione del rapporto tra le parti.
Prima di esaminare i motivi di opposizione è necessario esaminare il quadro normativo di riferimento.
L’agente, al termine del contratto d’agenzia, ha diritto a ricevere dal preponente una indennità di fine rapporto che risulta regolata dall’art. 1751 c.c., modificato dai D.Lgs. n. 303 del 1991 e D.Lgs. n. 65 del 1999, che hanno recepito la direttiva n. 86/653/CEE.
Prima che intervenissero le modifiche legislative, l’articolo in questione stabiliva che: “all’atto dello scioglimento del contratto a tempo indeterminato, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità proporzionale all’ammontare delle provvigioni liquidategli nel corso del contratto e nella misura stabilita dagli accordi economici collettivi, dai contratti collettivi, dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità” (testo introdotto dalla L. n. 911 del 1971).
L’indennità era dunque dovuta a prescindere dagli eventi che caratterizzavano il rapporto negoziale, così che la posizione dell’agente veniva avvicinata – sotto il profilo in esame – a quella del lavoratore subordinato avente diritto a ricevere sempre il trattamento di fine rapporto.
Ad integrare l’articolo in esame intervenivano, secondo il disposto legislativo, gli accordi economici collettivi.
Questi disciplinavano e disciplinano tuttora l’indennità di cessazione del rapporto prevedendo due distinte voci, del tutto svincolate da ogni valutazione meritocratica circa l’attività prestata dall’agente (Cfr.: Cass. 716/88;
4955/88;
4586/91):
1) il c.d. F.I.R.R. (fondo indennità risoluzione rapporto) o indennità di scioglimento del rapporto, da corrispondere sempre e comunque all’agente alla cessazione dello stesso, con liquidazione a carico dell’Enasarco presso cui il preponente – durante il contratto, anno per anno – deve accantonare le relative somme da determinarsi in percentuale sulle provvigioni. Il F.I.R.R. viene riconosciuto anche se non c’è stato, da parte dell’agente, alcun incremento di clientela/fatturato e viene determinato, nella misura, dagli stessi A.E.C.;
2) la c.d. Indennità suppletiva di clientela, in aggiunta al F.I.R.R. da corrispondere solo se il contratto si scioglie su iniziativa del preponente per fatto non imputabile all’agente (così ad es. AEC 27.11.92), con liquidazione a carico del preponente (cfr.: Cass. 4586/91; 6114/88).
L’indennità – anch’essa calcolata sulla base delle provvigioni maturate – ha origine esclusivamente collettiva, con la conseguenza che spetta solo agli agenti il cui rapporto contrattuale sia regolato, direttamente o per relationem, dagli A.E.C. (Cfr.: Cass. 2126/01; 4586/91; 6114/88).
Il sistema sopra descritto è stato pesantemente modificato prima dal D.Lgs. n. 303 del 1991 e successivamente dal D.Lgs. n. 65 del 1999 i quali, come si è anticipato, hanno dato attuazione alla direttiva comunitaria n. 653 del 1986, dando un volto nuovo all’art. 1751 c.c. ovvero all’indennità dovuta all’agente al termine del contratto.
Attualmente, infatti, la norma del codice stabilisce che – all’atto della cessazione del rapporto – il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se:
a) “l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti”;
b) “il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti”.
Oggi, in sostanza, si richiede la persistenza – al momento della cessazione del rapporto – di un portafoglio clienti procurato dall’agente, del quale approfitta la casa mandante. In quest’ottica, la prima condizione considera il vantaggio che il preponente ricava dalla disponibilità di questo portafoglio; la seconda considera la perdita, in termini di provvigioni, che l’agente subisce dalla cessazione del rapporto.
Peraltro, il diritto all’indennità è subordinato alla presenza di entrambe le condizioni esposte (apporto clientela ed equità), considerato che la modifica dell’art. 1751 c.c. introdotta dal D.Lgs. n. 65 del 1999 lo ha ancorato a criteri prettamente meritocratici (Cfr.: Cass. 5467/2000, che sottolinea come le due condizioni siano cumulative e non alternative).
L’art. 1751 c.c. nella nuova formulazione stabilisce ancora che:
– l’indennità non è dovuta quando il preponente risolve il contratto per grave inadempienza dell’agente che, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto oppure quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze per le quali non può essergli chiesta la prosecuzione dell’attività (es. malattia);
– il relativo importo non può superare una cifra pari ad una indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi 5 anni e, se il contratto risale a meno di 5 anni, sulla media del periodo in questione;
– le disposizioni in esso contemplate non possono essere derogate a svantaggio dell’agente.
Orbene, sia questa inderogabilità, sia – più in generale – la natura meritocratica assunta dall’indennità a seguito delle riforme introdotte, hanno fatto sorgere il problema della compatibilità del nuovo sistema con le disposizioni degli accordi collettivi i quali, come si è detto, prevedevano degli emolumenti automaticamente erogabili senza alcun requisito di merito.
D’altra parte, il fatto che l’art. 1751 c.c. non contenga alcuna determinazione circa il quantum della indennità, precisando solo il tetto massimo della stessa (“l’importo della indennità non può superare…”), può far nascere diversi problemi circa la specificazione degli importi spettanti all’agente.
In merito a tali questioni la giurisprudenza ha stabilito che la riformata disciplina dell’indennità di fine rapporto può essere derogata dalla contrattazione individuale e collettiva, purché ovviamente non a svantaggio dell’agente (Cfr.: Cass. 10659/2000). Può quindi essere consentita alla contrattazione collettiva una deroga pattizia dei criteri di cui all’art. 1751 c.c., poiché l’inderogabilità ivi prevista è solo in peius (Cfr.: Cass. 11402/2000).
Rimane comunque controverso il rapporto tra l’art. 1751 c.c. e gli accordi collettivi, dato che il problema fondamentale consiste nello stabilire se questi prevedano complessivamente una disciplina più favorevole di quella codicistica.
Sul punto si fronteggiano prevalentemente due orientamenti opposti. Secondo il primo, la validità degli accordi collettivi va valutata ex post, dopo la cessazione del rapporto, quando è possibile stabilire in concreto se ed in che misura spetta l’indennità ex art. 1751 c.c. Pertanto, le disposizioni degli A.E.C. saranno valide solo ove non sussistano i presupposti dell’art. 1751 c.c., mentre saranno nulle laddove – sussistendo la dimostrazione di detti presupposti – comportino in concreto un trattamento inferiore a quello del codice (Cfr.: Trib. Napoli 13.10.2001; conformi Trib. Piacenza 6.6.2002; Trib. Milano 11.10.2001; Trib. Treviso 21.06.2001).
Per il secondo orientamento, invece, la valutazione va effettuata ex ante e nei confronti dell’intera categoria degli agenti, per cui gli A.E.C. – prevedendo indennità non meritocratiche ma sempre erogabili – comporterebbero sempre un trattamento più favorevole dell’art. 1751 c.c. e dunque prevarrebbero sempre sul codice (Cfr.: Trib. Torino 06.07.2001; conformi, Trib. Palermo 16.05.2002; Trib. Firenze 22.04.2002; Trib. Milano 09.06.2000).
Di fatto, comunque, i nuovi accordi economici collettivi del 2002 (AEC 26.2.2002 settore commercio – AEC 20.3.2002 settore industria) ripropongono le due voci standard costituite dal F.I.R.R. e dall’indennità di clientela; dichiarano programmaticamente di costituire un’applicazione dell’art. 1751 c.c. e di creare “… complessivamente una condizione di miglior favore rispetto alla disciplina di legge”, dando ovviamente credito alla seconda delle tesi poc’anzi esposta.
In quest’ottica, introducono una terza voce “meritocratica”, ovvero un’ulteriore indennità da corrispondere se l’agente ha apportato nuovi clienti e/o sensibilmente sviluppato gli affari con quelli esistenti: e questo con il chiaro scopo di tradurre in pratica lo spirito della riforma comunitaria proprio al fine di “riequilibrare” i rispettivi vantaggi economici che le parti del contratto di agenzia hanno tratto dal rapporto.
Ebbene, nella giurisprudenza di legittimità si sono verificati orientamenti contrapposti circa la valutabili in astratto ed ex ante ovvero in concreto ed ex post del trattamento di maggior favore per come sopra esposto, per cui con ordinanza del 18.10.2004 n. 20410 la Corte di Cassazione ha ritenuto necessario investire la Corte di Giustizia delle Comunità Europee della questione pregiudiziale relativa all’interpretazione degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653 del Consiglio del 18.12.1986; apparendo necessario chiarire, in particolare, se, con riguardo alle finalità dell’art. 17 cit. il successivo art. 19 della medesima direttiva sia interpretabile nel senso che la normativa nazionale di attuazione possa consentire che un accordo economico collettivo preveda, invece che un’indennità dovuta all’agente nel concorso delle condizioni previste dal paragrafo n. 2 dell’art. 17 cit. e liquidabile secondo i criteri desumibili dal medesimo, un’indennità che sia determinata senza alcun riferimento specifico all’incremento degli affari procurato dall’agente, sulla base di determinate percentuali dei compensi ricevuti nel corso del rapporto, sicché la stessa indennità, anche in presenza della misura massima dei presupposti cui la direttiva collega il diritto all’indennità, in molti casi sia liquidata in misura inferiore a quella massima prevista dalla direttiva.
Con sentenza 23.03.2006, in causa C-465/04, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha deciso sulla domanda di pronuncia pregiudiziale statuendo che:
– l’art. 19 della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, deve essere interpretato nel senso che l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dall’applicazione dell’art. 17, n. 2, di tale direttiva non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione, a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della detta disposizione.
– all’interno dell’ambito fissato dall’art. 17, n. 2, della direttiva 86/653, gli Stati membri godono di un potere discrezionale che essi sono liberi di esercitare, in particolare, con riferimento al criterio dell’equità.
La decisione contiene in particolare le seguenti proposizioni.
L’art. 19 della direttiva prevede la possibilità per le parti di derogare alle disposizioni dell’art. 17 prima della scadenza del contratto, a condizione che la deroga prevista non sia sfavorevole all’agente commerciale. E’ quindi giocoforza constatare che la natura sfavorevole o meno della detta deroga deve essere valutata al momento in cui le parti la prevedono. Queste ultime non possono convenire una deroga di cui esse ignorano se si rivelerà, alla cessazione del contratto, a favore ovvero a scapito dell’agente commerciale.
L’art. 19 va, pertanto, interpretato nel senso che una deroga alle disposizioni dell’art. 17 può essere ammessa solo se, ex ante, é escluso che essa risulterà, alla cessazione del contratto, a detrimento dell’agente commerciale.
Come già rilevato dalla Cassazione, con sentenza n. 21309 del 03.10.2006, il sopra richiamato contrasto giurisprudenziale deve essere superato con l’abbandono dell’indirizzo maggioritario (seguito dalla sentenza impugnata) e l’affermazione del seguente principio di diritto: “l’art. 1751 c.c., comma 6, si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive”.
Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza (Cfr.: Cass. n. 7567 del 01.04.2014) l’articolo 1751 c.c., comma 6, si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive”.
Vi è quindi la necessità che la valutazione del carattere di maggiore favore, o non, delle indennità di fine rapporto, previsto dagli accordi collettivi rispetto alla disciplina legale, sia effettuata in concreto ed ex post (cioè dopo che il rapporto di agenzia è cessato), e non ex ante.
Ciò posto in termini generali e passando all’esame dei motivi di opposizione, si rileva come la società opponente non contesta il quantum portato dal decreto ingiuntivo, atteso che coincide con la somma quantificata dalla stessa in applicazione dell’A.E.C. e comunicata all’opposto, bensì il suo obbligo di pagamento in mancanza di sottoscrizione del verbale di conciliazione, per come previsto dalla “dichiarazione a verbale n. (omissis…)” all’art. 12 del citato A.E.C. del 2009.
Né può ritenersi che sia oggetto del presente giudizio l’accertamento della diversa entità del trattamento di fine rapporto ai sensi dell’art. 1751 c.c., in quanto il petitum in questa sede è delimitato dall’oggetto del decreto ingiuntivo, con il quale è stato richiesto il trattamento di fine rapporto limitatamente alla somma derivante comunque dall’applicazione dell’A.E.C. ed essendo inammissibile in questa sede la proposizione di una domanda riconvenzionale da parte dell’opposto in tal senso.
L’art. 12 del A.E.C. del 2009 prevede che l’indennità di fine rapporto è composta da tre emolumenti: il primo, denominato “indennità di risoluzione del rapporto”, riconosciuto all’agente anche se non ci sia stato alcun incremento della clientela o del fatturato e risponde principalmente al criterio di equità; il secondo, denominato “indennità suppletiva di clientela”, riconosciuto ed erogato all’agente secondo le modalità di cui al successivo capo II ed anche tale emolumento corrisponde al principio di equità e non necessità ai fini della sua erogazione la sussistenza della prima delle condizioni indicate dall’art. 1751, comma 1, c.c.; il terzo, denominato “indennità meritocratica,” risponde ai criteri indicati dall’art. 1751 c.c., relativamente alla sola parte in cui prevede come presupposto per l’erogazione l’aumento del fatturato con la clientela esistente e/o l’acquisizione di nuovi clienti.
I successivi capi II e III del citato articolo disciplinano in dettaglio le condizioni ed i criteri di calcolo delle suddette indennità.
La “dichiarazione a verbale n. (omissis…)” stabilisce che “… le parti firmatarie del presente Accordo Economico Collettivo convengono che le ulteriori quote dell’indennità di fine rapporto di cui ai paragrafi II e III del presente articolo 12 (indennità suppletiva di clientela; indennità meritocratica) sono riconosciute subordinatamente al rispetto di quanto previsto ai successivi commi quarto e quinto della presente dichiarazione a verbale n. (omissis…). Le parti concordano, pertanto, che la corresponsioni di quanto sopra indicato avvenga entro 30 giorni dalla cessazione del rapporto di agenzia, presso la Commissione di conciliazione territorialmente competente. All’atto del pagamento verrà redatto un verbale di conciliazione sindacale, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli articoli 2113, comma 4 c.c., 410 e 411 c.p.c., come modificati dalla L. n. 533 del 1973, dal D.Lgs. n. 80 del 1998 e dal D.Lgs.n. 387 del 1998, da depositarsi successivamente presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio”.
A questo punto bisogna valutare quale sia la rilevanza giuridica della suindicata “dichiarazione a verbale n. (omissis…)”. La costante e concorde giurisprudenza di legittimità (Cfr.: Cass., Sez. Lav., n. 5820 del 22.04.2002; Cass., Sez. Lav., n. 17776 del 12.12.2002; Cass., Sez. Lav., n. 4926 del 03.03.2014), ha ritenuto che le “dichiarazioni a verbale”, concordemente fatte dalle parti sociali nel testo del contratto collettivo, anche se non hanno contenuto normativo, hanno la finalità di chiarire il significato e la portata delle norme cui si riferiscono e rivestono quindi un’importanza essenziale nell’interpretazione di esse.
Inoltre, per la finalità dichiarata in seno al C.C.N.L., (v. art. 12, comma 1, “Con la presente normativa le parti intendono dare piena ed esaustiva applicazione all’art. 1751 c.c., anche in riferimento alle previsioni dell’art. 17 della Direttiva CEE 86/653, individuando modalità e criteri applicativi, particolarmente per quanto attiene alla determinazione in concreto della misura dell’indennità in caso di cessazione del rapporto”) il criterio ermeneutico prioritario per la individuazione della volontà delle parti va attributo al criterio di letteralità, riconoscendo nella titolazione “dichiarazione a verbale” il fatto sintomatico di un intento di valorizzare e riequilibrare i rispettivi vantaggi economici che le parti del contratto di agenzia hanno tratto dal rapporto.
Pertanto la “dichiarazione a verbale” ha valore e funzione di lex specialis rispetto a quanto previsto dalla norma che ha carattere di generalità. Né ciò viola il criterio della sistematicità, inteso come ricerca della volontà delle parti, contenuta nella norma da interpretarsi, in relazione al contesto complessivo della contrattazione collettiva.
Alla luce della nuova disposizione, pertanto, solo se verrà sottoscritto un verbale di conciliazione in sede protetta (Direzione Provinciale del Lavoro o sede sindacale) entro 30 giorni dalla cessazione del rapporto di agenzia, il preponente sarà tenuto a corrispondere le indennità suppletiva di clientela e meritocratica. In caso contrario l’agente avrà diritto di agire nei confronti del preponente unicamente al fine di verificare la sussistenza o meno dei requisiti per il riconoscimento dell’indennità ex art. 1751 c.c., ma quest’ultimo non avrà alcuna obbligazione di corrispondere alcunché all’agente nemmeno sulla base delle disposizioni dell’A.E.C.
Conseguentemente non avendo il B.D. acconsentito a sottoscrivere il verbale di conciliazione in sede sindacale, nessun obbligo gravava sulla società preponente di pagare il trattamento di fine rapporto derivante dall’applicazione dei criteri di cui all’A.E.C. e quindi l’opposizione va accolta ed il decreto ingiuntivo n. 1916/2011 revocato.
Stante la peculiarità della vicenda, le spese del presente grado di giudizio possono trovare integrare compensazione.
P.Q.M.
Il Giudice Monocratico, ritenuta la propria competenza e definitivamente pronunciando sul ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo n. 1916/2011 emesso il 21.07.2011, in favore di B.D. e nei confronti T.F.D. S.p.A (già O. S.p.A.), in persona del legale rappresentante p.t., disattesa ogni contraria domanda ed eccezione, così provvede:
1. Revoca il decreto ingiuntivo n. 1916/2011 emesso dal Tribunale di Catania, Sezione Lavoro, in data 21.07.2011.
2. Compensa le spese di giudizio.
Così deciso in Catania, il 16 gennaio 2018.
Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2018.
Articoli dell'Avvocato Dario De Landro